L’irresistibile fascino di scavare buche

Lo facciamo da sempre per svolgere innumerevoli attività, ma a volte anche senza ragioni a parte il gusto di farlo

scavare buche
Dal film del 1989 “Ghostbusters II”
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Ci sono molti motivi pratici per scavare una buca. Per nascondere cose e più spesso per trovarle: per raggiungere una sorgente d’acqua, o un giacimento di carbone, diamanti o altri materiali preziosi. Scaviamo per recuperare e studiare pezzi di storia dell’antichità, che spesso capita di trovare addentrandosi nel suolo per altri obiettivi: costruire una fognatura o le fondamenta di un edificio, o ottenere ampi spazi necessari per i sistemi di trasporto sotterranei. A volte qualcuno scava addirittura per lasciare il posto in cui è e spuntare da un’altra parte senza essere visto.

E poi ci sono le persone che scavano buche senza un motivo: per il gusto di farlo. A volte sono storie eccezionali, che attirano l’attenzione dei media per le dimensioni della buca, le ambizioni degli autori o per altri aspetti. E in altri casi sono storie ordinarie di persone che scavano per hobby o per gioco, insieme o da sole, in spiaggia o in altri luoghi, e affermano di trarne piacere. E continuano a scavare e a scavare finché altre persone non intervengono prima che qualcuno si faccia male.

@andersonbloemers Dude didn’t care the first 8 hours we were digging until a “Civil Engineer” complained #4thofjuly #strangerthings #beachvibes #topgunmode #hole ♬ original sound – Anderson Bloemers

Nel 2015 la polizia di Toronto, in Canada, scoprì in un parco nel quartiere di Driftwood un tunnel nascosto e in costruzione lungo oltre nove metri e alto due. C’erano sostegni, luci elettriche e una pompa idraulica, alimentate tramite un generatore sistemato in una camera sotterranea insonorizzata. Circolarono diverse ipotesi, tra cui quella che il tunnel fosse opera di un gruppo terroristico che aveva in programma un attacco a uno stadio vicino.

Alla fine la polizia concluse le indagini, ordinando che il tunnel venisse ricoperto e facendo sapere che era stato scavato da due persone per «ragioni personali». Ci aveva lavorato per due anni – con una pala, un piccone, una scala e l’aiuto di un amico – un ragazzo di 22 anni che abitava da quelle parti con la famiglia, aveva lavorato nell’edilizia e usava quel tunnel come una specie di rifugio. «Onestamente non so perché mi piacesse così tanto [scavare]», disse il ragazzo, Elton McDonald, aggiungendo che all’inizio non immaginava che sarebbe arrivato fino a quel punto.

Senza necessariamente eguagliare i livelli di competenza di McDonald, le persone che scavano buche come passatempo utilizzano di solito un’attrezzatura limitata. Quelle che lo fanno di nascosto possono impiegare molto tempo – a volte diversi anni – per raggiungere un certo punto di completamento della loro attività. E di solito quell’attività si conclude per caso: perché qualcuno la scopre o ne viene a conoscenza.

In altri casi scavare buche è un’attività portata avanti nel tempo libero e senza nascondere niente, da persone che lo trovano rilassante e piacevole, come ha raccontato al Wall Street Journal Charlie Mone, un ragazzo che vive e studia a Saint Andrews, una città universitaria sulla costa orientale della Scozia. Mone ha detto di aver cominciato a scavare buche in spiaggia dopo aver trovato quest’attività molto appagante durante una vacanza con gli amici alle isole Canarie.

Da allora, più o meno un paio di volte al mese, Mone attraversa la città in bicicletta per raggiungere la spiaggia, portandosi dietro delle pale in una borsa. E insieme ad altre persone con cui si dà appuntamento comincia a scavare nella sabbia per vedere fino a che punto riescono ad arrivare prima che la marea riempia le buche.

Se non ci pensa la marea, a riempire di sabbia le buche ci pensano comunque ogni volta Mone e gli altri prima di andare via. E senza tanti rimpianti: l’aspetto più importante dal loro punto di vista non è lo scavo ma stare insieme e fare nuove amicizie. Ci sono giornate in cui arriva a partecipare una trentina di persone in totale, e alcune tra loro la considerano un’attività paragonabile alla palestra e certamente più economica.

Quello di Mone non è un caso isolato, ha scritto il Wall Street Journal, a giudicare dai molti video che circolano su social network come TikTok e che mostrano persone che arrivano a scavare buche profonde due metri e oltre. Spesso sono persone in vacanza, che scavano buche in spiaggia con un certo grado di improvvisazione. Altre volte sono persone che lo fanno invece in modo più sistematico e organizzato, anche in altri luoghi, con particolare dedizione e abilità.

@sometimes_turnt What do you think?? #holes #irl #digginglife ♬ Supalonely – Instrumental – Starlite Karaoke

Una delle ipotesi formulate per spiegare il fascino recente di scavare buche è il tipo di attenzione e impegno che questo genere di attività manuale richiede in un’epoca per altri versi contraddistinta da continue distrazioni. Ma scavare buche senza un obiettivo pratico non è un’attività soltanto recente, e gli aspetti per cui è stata apprezzata e praticata da molte persone nel corso del tempo sono spesso diversi da caso a caso.

Harrison Dyar, un entomologo statunitense del primo Novecento, è noto tra gli esperti per i suoi studi sullo sviluppo degli artropodi (esiste una legge che porta il suo nome) e per una sua bizzarra passione segreta per i tunnel, raccontata nella biografia Moths, Myths, and Mosquitoes: The Eccentric Life of Harrison G. Dyar, Jr., scritta nel 2016 dall’entomologo statunitense Marc Epstein.

Dyar cominciò a scavare tunnel nel 1906 mentre faceva giardinaggio nel cortile di casa, a Washington D.C., e continuò a scavare per una decina di anni. La rete sotterranea da lui costruita, che si sviluppava su tre livelli e scendeva fino a circa dieci metri di profondità, fu scoperta soltanto nel 1924, quando la strada del vicolo dietro casa crollò parzialmente sotto il peso di un camion.

I tunnel erano abbastanza alti e larghi da permettere il passaggio delle persone, e le pareti erano state realizzate con mattoni bianchi. Sui soffitti erano appesi fogli di giornali tedeschi che parlavano di attività dei sottomarini utilizzati all’epoca dalla Germania: dettaglio che avvalorò l’ipotesi che i tunnel fossero opera di spie tedesche. Alla fine Dyar, che non abitava più in quella casa da qualche anno, si fece avanti e spiegò quella sua passione. A una rivista che lo intervistò nel 1932 disse che scavare tunnel era «un’attraente forma di esercizio per alleviare l’intenso sforzo della sua giornata di lavoro».

Al quotidiano Washington Star disse: «Quando mi trovai a circa due metri di profondità, circondato soltanto dalle umide pareti marroni della vecchia Madre Terra, fui colto dall’innegabile voglia di proseguire».

Uno dei tunnel scavati da Dyar (Library of Congress/Loc.gov)

Un altro caso noto è quello dell’ingegnere elettronico statunitense Seymour Cray, fondatore dell’azienda produttrice di supercomputer Cray, con sede a Seattle. Anche Cray costruiva tunnel sotto casa per hobby, utilizzando lastre di legno di cedro per la pavimentazione. Disse che scavare lo aiutava a trovare ispirazione per risolvere i problemi nella progettazione dei suoi computer.

Anche l’artista, regista e grafica olandese Leanne Wijnsma scava buche e brevi tunnel per ragioni in parte simili a quelle di Cray: concentrarsi su problemi da risolvere. Lo fa di solito in luoghi pubblici, segnando il punto in cui intende cominciare a scavare e quello in cui conta di fuoriuscire una volta completato il tunnel, in genere lungo tra due e quattro metri. Wijnsma ha scavato tunnel in vari paesi tra cui Germania, Italia, Belgio e Sudafrica, filmando ogni suo scavo.

Per Wijnsma, come scrisse il sito Atlas Obscura, che la intervistò, scavare è «una fuga da una società in cui tutto è pianificato e strutturato, dal suo lavoro meno fisico, seduta a una scrivania davanti a un computer».

Durante la Guerra fredda, raccontò nel 2015 lo Smithsonian, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica furono in competizione, tra le altre cose, anche su quale paese tra i due fosse in grado di scavare la buca più profonda. Il tentativo americano negli anni Sessanta, intitolato Project Mohole, prevedeva di raggiungere il confine tra la crosta terrestre e il mantello attraverso la perforazione in mare aperto. Guidato da un gruppo di scienziati chiamato American Miscellaneous Society, il programma fu successivamente accantonato per mancanza di finanziamenti.

Nell’ambito di un programma simile condotto a Zapoljarnyj, nella penisola di Kola, l’Unione Sovietica riuscì alla fine degli anni Ottanta ad arrivare a una profondità di 12.262 metri con un pozzo di 23 centimetri di diametro, noto come il pozzo superprofondo di Kola. Anche quel programma fu in seguito messo da parte per mancanza di fondi.

Secondo il geologo e paleontologo inglese Jan Zalasiewicz, coautore di un articolo pubblicato nel 2014 sulla rivista scientifica Anthropocene, gli esseri umani scavano e hanno scavato talmente tante buche e tunnel nel corso della loro storia, e in particolare dagli anni Cinquanta in poi, che le trasformazioni geologiche provocate da queste attività – a prescindere dai vari scopi – potrebbero essere uno dei fenomeni destinati a durare più a lungo e più evidenti tra quelli direttamente riconducibili ad azioni degli esseri umani.

Riguardo alle buche destinate a durare molto meno, scavate per divertimento e per passatempo, il Wall Street Journal ha scritto che l’estate scorsa le autorità delle località costiere del North Carolina hanno cercato di limitare la possibilità che le persone si facciano male scavando le buche o finendo in quelle scavate da altri. Hanno chiesto pubblicamente alle persone che frequentano le spiagge di ricoprire ogni volta le buche, dopo aver finito di scavarle, e di non esagerare con la profondità.