Cosa stanno facendo i musei per proteggersi dalle dimostrazioni ambientaliste

In alcuni casi aumentano le misure di sicurezza, ma prevenire queste azioni non è facile e per ora non sembra così fondamentale

Attacco di alcuni attivisti al Seminatore di Van Gogh con minestra di verdura, Roma, Palazzo Bonaparte, 4 novembre (ANSA)
Attacco di alcuni attivisti al Seminatore di Van Gogh con minestra di verdura, Roma, Palazzo Bonaparte, 4 novembre (ANSA)

Nelle scorse settimane ci sono stati vari casi di dimostrazioni ambientaliste in cui giovani attivisti hanno gettato vari tipi di cibo – come salsa di pomodoro, puré o zuppa di piselli – contro quadri famosi, come I girasoli di Vincent Van Gogh e I mucchi di fieno di Claude Monet. Benché finora nessun quadro sia stato effettivamente danneggiato, perché i dipinti erano protetti da vetri, molti musei grandi e piccoli in Europa e negli Stati Uniti stanno rivedendo le misure di sicurezza applicate in occasione delle proprie mostre. Ma fermare queste proteste prima che accadano è più complesso del previsto.

Fin da quando esistono, i musei e le mostre d’arte sono sempre stati protetti da misure di sicurezza, considerato che spesso contengono opere di grande valore che qualcuno potrebbe voler rubare. E in passato c’erano già state persone che avevano cercato di vandalizzare quadri famosi, per un motivo o per l’altro. Le dimostrazioni portate avanti dai manifestanti che vogliono attirare l’attenzione sull’emergenza climatica, però, vengono svolte con modalità a cui il personale che si occupa di sicurezza nei musei non è abituato, né è addestrato a riconoscerle e a rispondere.

In un recente articolo per il Wall Street Journal, la giornalista Kelly Crow racconta che, negli Stati Uniti, una decina di musei si è rivolta ad agenzie di sicurezza private che solitamente lavorano con aeroporti e grandi eventi sportivi per addestrare i propri addetti alla sorveglianza. 

La Chameleon Associates, agenzia californiana fondata da ex membri dell’esercito israeliano, viene pagata per inviare nei musei, senza preavviso, delle “squadre rosse”, ovvero agenti in borghese che si comportano come farebbe un manifestante, girando per le gallerie alla ricerca di telecamere di sicurezza, dirigendosi subito verso i dipinti più famosi senza guardarsi attorno come farebbe un turista normale, o comunicando tra loro attraverso gesti. L’obiettivo è insegnare alle guardie dei musei a riconoscere più velocemente eventuali manifestanti, in futuro. 

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La prevenzione funziona: recentemente, le guardie del Musée d’Orsay hanno fermato una donna che indossava una maglietta con scritto Just Stop Oil (che vuol dire “fermate il petrolio e basta” ed è il nome di uno dei gruppi ambientalisti i cui membri stanno protestando nei musei) che era entrata nell’edificio con una bottiglietta d’acqua piena di zuppa, che le è stata confiscata. La donna se n’è andata volontariamente prima che la polizia fosse coinvolta.

Molti musei però stanno semplicemente cominciando ad essere molto più rigidi su ciò che si può o non si può portare all’interno delle mostre. Al Barberini di Potsdam, dove a fine ottobre due attivisti del gruppo ambientalista radicale Letzte Generation avevano gettato puré contro il vetro dei Mucchi di fieno di Claude Monet, si è per esempio cominciato a impedire ai visitatori di entrare con le borse ed è stato istituito il controllo dei cappotti prima di cominciare la visita. Il museo sta anche cambiando le cornici di quanti più quadri possibili, in modo da aggiungere un vetro protettivo a quelli che ancora non lo avevano.

«A molti musei non piace mettere il vetro sui dipinti perché ne distorce la bellezza», ha detto John Barelli, un consulente per la sicurezza delle istituzioni culturali che in passato è stato capo della sicurezza al Metropolitan Museum di New York. La probabilità che i manifestanti attacchino opere che non hanno questo genere di protezione, però, gli sembra molto bassa: «Vogliono attirare l’attenzione, ma non vogliono finire nei guai. Per ora quello che fanno non è un reato molto grave, se nulla è seriamente danneggiato, almeno secondo la legge americana. Ma se qualcuno per esempio tagliasse un dipinto, probabilmente finirebbe in prigione».

I portavoce della maggior parte dei musei italiani ed europei che custodiscono opere di Monet e Van Gogh, e che quindi hanno una più alta probabilità di essere prese di mira dai manifestanti, non hanno voluto discutere col Post di eventuali nuove misure di sicurezza adottate in questo contesto. Ma Iole Siena, presidente di Arthemisia, la società che ha organizzato la mostra di Van Gogh a Roma dove la settimana scorsa quattro giovani avevano lanciato una minestra di verdura contro il quadro Il seminatore, dice che è impossibile che non stiano tenendo conto di questo fenomeno. 

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«Noi ci aspettavamo la protesta, dato che ad essere attaccate sono le opere d’arte con maggior visibilità mediatica e la nostra mostra era piuttosto in vista», spiega Siena. «Prima di inaugurare la mostra abbiamo organizzato moltissime riunioni con le forze dell’ordine e i responsabili della sicurezza per mettere a punto un piano: noi di misure di sicurezza da attuare ne avevamo già, considerato il valore dei beni assicurati».

Nel caso della mostra di Arthemisia su Van Gogh al Palazzo Bonaparte di Roma, da protocollo i visitatori non potevano introdurre nella mostra alcun tipo di zaino, borsa, casco o altri oggetti voluminosi, che andavano lasciati obbligatoriamente al guardaroba gratuito. Era consentito portare con sé solo una piccola borsa, controllata all’ingresso, e le sale erano controllate dalla vigilanza, pronta a chiamare la polizia in caso di necessità. I quattro manifestanti, però, avevano introdotto la zuppa in dei piccoli vasetti nascosti nei pantaloni, sotto a una felpa. 

«Neanche un metal detector rileva barattolini in vetro o bustine di plastica», spiega Siena. «Finché quelli portati avanti sono attacchi mediatici contro le opere non c’è moltissimo che si può fare: i protocolli stessi di sicurezza prevedono che, se un guardasala è presente nel momento in cui qualcuno tira fuori una busta o un barattolo, non può intervenire, perché non si possono aggredire fisicamente le persone. E, dato che di danni veri alle opere non ne sono stati fatti, non penso sia necessario intensificare ulteriormente le misure di sicurezza».

Nonostante le preoccupazioni sulla sicurezza delle opere, infatti, molti sono reticenti a trasformare i musei in luoghi eccessivamente controllati. «I musei devono essere spazi aperti e sicuri. Per non trasformarli in aree di massima sicurezza come gli aeroporti, è importante che troviamo un equilibrio tra le misure di sicurezza che proteggano i nostri visitatori e le opere d’arte e il preservare i musei come luoghi di libertà», ha detto Christina Haak, vicedirettrice dei Musei statali di Berlino.