La storia celebre e forse falsa della contessa assassina del Seicento

Elizabeth Báthory fu condannata per aver ucciso più di 600 ragazze, ma secondo alcuni storici le accuse furono gonfiate

Elizabeth Báthory in un quadro anonimo (Wikimedia Commons)
Elizabeth Báthory in un quadro anonimo (Wikimedia Commons)
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In vari articoli storici e perfino nel Guinnes dei primati si parla della contessa ungherese Elizabeth Báthory come della più prolifica assassina seriale della storia, i cui presunti orrori entrarono a far parte del folklore europeo: conosciuta con epiteti come la “contessa sanguinaria” o “contessa Dracula”, a inizio Seicento Báthory fu accusata di aver torturato e ucciso più di 600 ragazze e si racconta che facesse il bagno nel sangue delle vergini oppure lo bevesse per restare più giovane.

Alcuni autori ritengono che le accuse nei suoi confronti siano sostenute dalle centinaia di testimonianze raccolte all’epoca, in cui si descrivevano corpi mutilati e ragazze trovate imprigionate nel suo castello. Altri storici e accademici ritengono invece che le storie sul suo conto fossero state esagerate e che Báthory potesse essere finita al centro di un piano per screditare la sua famiglia e diminuirne l’influenza.

Elizabeth Báthory (Báthori Erzsébet in ungherese) nacque nel 1560 a Nyírbátor, nell’estremo est dell’Ungheria, da una potente casata nobiliare che controllava numerosi territori che oggi fanno parte di paesi diversi, tra cui Slovacchia e Ungheria. La sua famiglia controllava la Transilvania, che oggi è una regione della Romania, mentre suo zio, Stephen Báthory, era re della Polonia.

Come ha raccontato in un saggio dedicato alla sua storia Aleksandra Bartosiewicz, ricercatrice dell’Università di Łódź, in Polonia, Báthory fu esposta alla violenza fin da bambina, in un periodo in cui era una pratica piuttosto diffusa maltrattare i servi o le persone di ranghi inferiori (che in qualche caso venivano anche uccisi). Si sposò con il conte Ferenc Nádasdy, a sua volta membro di un’importante famiglia ungherese, con cui andò a vivere a Sárvár, nell’Ungheria occidentale, ed ebbe quattro figli.

Bartosiewicz ha raccontato al National Geographic che una volta per diletto Nádasdy fece imprigionare e ricoprire di miele una ragazza per poi farla attaccare dagli insetti. Sempre secondo il suo racconto, Nádasdy regalò a Báthory dei guanti muniti di artigli con cui avrebbe potuto punire le sue serve per i loro errori, mentre una sua zia, Clara, la inserì in circoli di persone che tra le altre cose praticavano orge ed erano considerate streghe, maghi o alchimisti. Le prime storie sulle presunte atrocità di Báthory comunque cominciarono a diffondersi dopo la morte di Nádasdy, nel 1604, quando lei si trasferì nel castello di Čachtice, un centinaio di chilometri a nord-est di Bratislava, nell’attuale Slovacchia occidentale.

Tony Thorne, linguista del King’s College di Londra e autore del libro La contessa Dracula. La vita e i delitti di Erzsébet Báthory, spiega che in questo periodo circolavano voci di frequenti abusi, persone scomparse o morte in circostanze sospette. Báthory cominciò a essere accusata di aver imprigionato, torturato e ucciso assieme ad alcune sue serve centinaia di ragazze, tra cui ragazze provenienti da alcune piccole famiglie borghesi che venivano mandate al suo castello per imparare l’etichetta di corte.

Un ritratto di Elizabeth Báthory (Wikimedia Commons)

Dopo alcuni anni le autorità del regno di Ungheria decisero di investigare su di lei. Le indagini furono ordinate da Matthias II, re dell’Ungheria, e condotte da György Thurzó, cugino di Báthory e a sua volta conte palatino dell’Ungheria, al tempo il più importante rappresentante del re. Báthory fu arrestata nel dicembre 1609 assieme a quattro serve accusate di essere sue complici e poi condannata per l’omicidio di 80 giovani donne. Le serve furono processate e tre di loro condannate a morte; lei invece fu imprigionata nel castello di Čachtice, dove rimase per i successivi tre anni e morì nel 1614, a 54 anni.

Nell’ottobre del 1610 avevano testimoniato contro di lei 52 persone: alcune dissero di aver riconosciuto i cadaveri di persone note, mentre altre descrissero segni di presunte torture ritrovate su altri corpi sepolti sia nei cimiteri che in altri posti. L’anno successivo le testimonianze raccolte erano oltre 300: parlavano di più di 600 donne uccise.

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Gli unici documenti storici che testimonierebbero i presunti crimini commessi da Báthory sono quelli relativi al processo e alle deposizioni, messi insieme da Thurzó e da suoi collaboratori durante le indagini. Alcuni storici e autori li ritengono credibili e sufficienti a dimostrare le sue colpe. Negli ultimi decenni invece altri ricercatori hanno messo in dubbio queste ricostruzioni e hanno ipotizzato che le accuse nei suoi confronti potessero essere state architettate per motivazioni politiche.

Tra questi ci sono per esempio gli storici László Nagy e Irma Szádeczky-Kardoss, secondo cui altri nobili avrebbero voluto screditare Báthory, che dopo la morte del marito era diventata ancora più ricca e potente. Il loro obiettivo sarebbe stato ottenere più influenza e benefici, coerentemente con quello che sarebbe potuto accadere in un periodo pieno di conflitti religiosi e politici determinati tra le altre cose dalle guerre nell’Impero Ottomano, dalla diffusione del protestantesimo e dall’espansione del dominio asburgico.

Un’altra delle prove a sostegno di questa teoria è che nell’accordo con cui la famiglia di Báthory ottenne di farla incarcerare nel castello anziché farla punire con una condanna peggiore fu cancellato anche un grosso debito che re Matthias II aveva nei suoi confronti, osserva Bartosiewicz. In più, sempre secondo Bartosiewicz, il re la vedeva come una possibile minaccia politica, perché avrebbe potuto sostenere i tentativi del cugino Gabriel Báthory di sottrarre a Matthias II il controllo dell’Ungheria occidentale.

La prima traccia scritta della leggenda secondo cui Báthory faceva il bagno nel sangue delle giovani vergini per mantenere la sua giovinezza comunque si trova in un testo dell’accademico e gesuita László Turóczi pubblicato nel 1729: è il primo resoconto sul caso di Báthory, che probabilmente fu ricostruito in maniera più sensazionalistica anche grazie alle leggende e ai racconti tramandati per via orale, spiega Thorne.

La storia dei presunti orrori commessi da Báthory comunque è rimasta nella cultura popolare europea ed è stata citata moltissime volte, sia al cinema che a teatro, nelle serie tv e nei videogiochi. Alcuni sostengono inoltre che la sua storia abbia ispirato Bram Stoker nella scrittura del celebre romanzo Dracula (1897), ma non ci sono prove che lo dimostrano.

Intanto le sue vicende continuano ad attirare turisti e curiosi sia al castello di Čachtice, in Slovacchia, che al museo delle cere aperto nel castello di Nyírbátor, nell’Ungheria orientale, dove era nata. Come ha osservato Thorne, la sua macabra leggenda è destinata ad andare avanti: ci sono numerosi racconti di «mali spettacolari» commessi dagli uomini, ma ci sono «molte poche donne malvagie» altrettanto conosciute. Báthory pertanto «riempie un vuoto nell’iconografia dell’orrore», ha commentato.

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