“Queer” e “LGBT” hanno sostituito la parola “gay”?

Almeno negli Stati Uniti sta succedendo, tra qualche perplessità e protesta, per ragioni diverse

(AP Photo/Brittainy Newman)
(AP Photo/Brittainy Newman)
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Negli ultimi anni i concetti di orientamento sessuale e identità di genere hanno cominciato a comparire più spesso sui mezzi informazione e nei prodotti culturali, e a essere compresi e maneggiati meglio da molte persone. Con essi anche le parole che aiutano a definirli sono diventate più comuni: oltre a “gay” e “lesbiche”, che erano molto diffusi anche prima, hanno cominciato a circolare sempre di più anche termini che fino a qualche tempo fa erano poco usati, come “transgender”, “bisessuale” “gender fluid”, “non-binary”, “LGBTQ+”, “queer”.

Qualche giorno fa un articolo molto controverso dell’opinionista del New York Times Pamela Paul ha fatto notare come recentemente, in molti contesti, le parole che esprimono l’orientamento sessuale delle persone (lesbica, gay, omosessuale) siano state sostituite da parole più generiche e di diffusione più recente, come LGBTQ o queer. L’articolo ha fatto molto discutere: per chi si occupa di questi temi infatti l’uso di certi termini nasce dalla necessità di rendere in modo accurato la composizione di gruppi e comunità sempre più attivi e visibili nella società, i cui membri però non sono accomunati necessariamente dall’orientamento sessuale, quanto da vissuti, filosofie e istanze politiche.

Negli Stati Uniti il sopravvento di parole come LGBT e queer su altre come omosessuale e gay è avvenuto in modo più marcato di quanto non sia successo nei canali di comunicazione e informazione italiani, dove in generale l’attenzione all’uso di queste parole è più blanda. A sostegno della propria tesi, Paul ha fatto un calcolo della ricorrenza di alcuni termini all’interno del New York Times, e ha trovato che nel 2012 la parola queer era stata usata 85 volte, mentre è già stata usata 632 volte nel 2022. Allo stesso tempo, confrontando gli stessi due anni, la ricorrenza della parola gay è passata da 2.228 a 1.531 (in inglese, con gay si indicano spesso anche le donne lesbiche, cosa che in italiano di solito non succede). E LGBTQ è passato da due menzioni a 714.

In un breve monologo televisivo, anche lo scrittore comico americano David Sedaris, che ha 65 anni, ha recentemente notato e criticato questa tendenza a cambiare le parole per definire il gruppo di persone a cui appartiene: «Non vedo perché dovrei essere ribrandizzato per la quarta volta nella mia vita: all’inizio ero omosessuale, poi sono diventato gay, poi LGBT e ora queer».

Per districarsi in questo dibattito è innanzitutto importante sapere cosa vuol dire LGBT e cosa vuol dire queer, due parole che hanno un significato più ampio di “gay”.

Dare una definizione al termine LGBT (o LGBTQ+ o LGBTQIA+ nelle versioni più estese) è relativamente facile, perché essendo una sigla indica l’insieme dei gruppi identificati da ciascuna lettera. Include gruppi di persone definite per il loro orientamento sessuale (L sta per donne lesbiche, G per uomini gay, B per bisessuali, cioè che provano attrazione per più generi), per la loro identità di genere (T sta per trans, che è un termine cappello in cui rientrano tutte le persone che non si riconoscono nel genere associato al sesso di nascita, quindi anche le persone di identità di genere non binaria) e per altre identità sessuali considerate non conformi a quelle tradizionalmente accettate. Per esempio la A identifica le persone asessuali (cioè che non provano desiderio sessuale per nessun genere), e la I sta per intersessuali, cioè persone con caratteristiche biologiche riconducibili sia al sesso femminile che a quello maschile.

– Leggi anche: Cosa vuol dire LGBTQI

Definire la parola queer – che compare anche nella sigla con la lettera Q – invece, è più difficile. Queer in inglese significa letteralmente “strano”: veniva usata in modo dispregiativo per rivolgersi a persone omosessuali, con identità sessuali non conformi o che semplicemente si discostavano dai comportamenti ritenuti appropriati per il loro genere. Negli anni è avvenuto un processo di riappropriazione da parte delle persone che un tempo subivano o avrebbero subito questa parola, e oggi è usata per comprendere tutte le identità sessuali non conformi, ma anche per descrivere le filosofie legate alla prospettiva delle persone queer (le cosiddette “teorie queer”) e le culture da loro sviluppate.

Nel saggio Queer. Storia culturale della comunità LGBT+ (Einaudi, 2021), l’autrice Maya De Leo, docente di storia dell’omosessualità all’Università degli Studi di Torino, spiega così il suo utilizzo di questa parola: «in linea con l’utilizzo che ne è stato fatto negli ultimi trent’anni queer appare qui come “termine ombrello” o significante aperto, che raccoglie i diversi scarti rispetto alle norme di genere e sessualità senza proporre una cornice identitaria univoca».

Queer e LGBT quindi hanno significati diversi: il primo è un termine aperto, mentre il secondo è un elenco di definizioni molto precise per quanto numerose. Soprattutto vogliono dire cose molto diverse da “gay” o “omosessuale” o “lesbica”, tutti termini che si limitano a definire l’orientamento sessuale di una persona. Come fanno notare Paul e Sedaris, è certamente vero che non tutte le persone omosessuali si riconoscono anche nella definizione di “queer”: almeno per quanto riguarda quella che si rifà alle teorie filosofiche e a certe sottoculture. Una persona omosessuale può esserlo benissimo senza mettere in discussione il binarismo e i ruoli di genere imposti dalla società tradizionale, per esempio.

In Italia poi queer è una parola il cui significato è molto meno noto e immediato rispetto agli Stati Uniti, motivo per cui il rischio di usarlo a sproposito è maggiore.

Allo stesso tempo però è vero che quando si passa dal definire una singola persona a definire un gruppo, i termini che fanno riferimento solo all’orientamento sessuale sono in molti casi limitanti. Quella che un tempo veniva definita “comunità gay” è oggi riconosciuta come un gruppo di persone accomunate da battaglie, vissuti e idee e non dipendono solo o non necessariamente dal proprio orientamento sessuale. Anche definire “gay” un gruppo composto da persone che hanno relazioni con altre del loro stesso genere è limitante, perché non tiene conto del fatto che alcune di queste potrebbero essere bisessuali.

Il motivo per cui LGBT e queer hanno cominciato a essere così usati è lo stesso per cui da diversi anni si è smesso di parlare di “Gay pride” e si è cominciato a parlare di “Pride” e basta, o di parate per l’orgoglio LGBT. Non si parla infatti di una manifestazione organizzata solo per i diritti delle persone omosessuali, ma anche delle persone bisessuali, transessuali e intersessuali, e di ogni soggettività con un’identità sessuale considerata non conforme. Tornare alla definizione precedente renderebbe il nome della manifestazione poco rappresentativo di quello che è realmente.

Più in generale, un motivo per cui le parole che definiscono l’orientamento sessuale di una persona, e quindi un aspetto molto intimo della sua vita, stanno perdendo di centralità è probabilmente il fatto che l’attenzione e il dibattito pubblico si stanno spostando dalla vita privata al ruolo sociale e politico delle comunità LGBT e queer, che comprendono persone omosessuali ma non necessariamente e non solo.