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  • Mercoledì 19 ottobre 2022

L’ultima volta che sfiorammo ed evitammo una guerra nucleare

La crisi dei missili di Cuba, sessant'anni fa, rientrò soprattutto perché né Stati Uniti né Unione Sovietica volevano davvero usare l'atomica

L'incontro del 29 ottobre 1962 fra il presidente John F. Kennedy e il generale David Shoup, a sinistra, e l'ammiraglio George Anderson, al centro (AP Photo/William J. Smith, File)
L'incontro del 29 ottobre 1962 fra il presidente John F. Kennedy e il generale David Shoup, a sinistra, e l'ammiraglio George Anderson, al centro (AP Photo/William J. Smith, File)
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A metà di ottobre di sessanta anni fa, il mondo entrò pericolosamente nella più grave crisi diplomatica dalla fine della Seconda guerra mondiale: Stati Uniti e Unione Sovietica arrivarono a un passo da un conflitto nucleare su larga scala. La crisi dei missili a Cuba cominciò il 16 ottobre 1962, quando il presidente americano John Fitzgerald Kennedy fu informato, con prove fotografiche, che l’Unione Sovietica stava costruendo a Cuba delle basi per lanciare missili nucleari in grado di colpire gli Stati Uniti. Terminò il 28 ottobre, quando per decisione di Nikita Kruscev, leader del Partito Comunista, l’Unione Sovietica ritirò i missili.

In mezzo ci furono 13 giorni di altissima tensione politica e militare, in cui il conflitto nucleare fu non solo minacciato, ma sfiorato. E forse evitato anche con un po’ di fortuna. Ma soprattutto furono decisive le trattative diplomatiche segrete e l’individuazione di una soluzione che permisero a entrambe le parti in causa di ridurre la tensione, mantenendo l’apparenza di una conclusione senza vincitori né vinti.

In questi mesi, a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, si è tornati a parlare della possibilità dell’utilizzo di un’arma nucleare in un contesto di guerra, e delle possibili, e durissime, conseguenze che ne deriverebbero: la ricorrenza della crisi dei missili di Cuba assume quindi un altro valore e benché siano differenti premesse, contesto internazionale e livelli di minaccia, può essere importante ricordare non solo come si arrivò sull’orlo di un conflitto atomico, ma soprattutto come lo si evitò.

Il contesto del 1962 era quello della Guerra fredda, la lunga fase di ostilità tra Unione Sovietica e Stati Uniti successiva alla Seconda guerra mondiale. La vittoria di Fidel Castro a Cuba, nel gennaio del 1959, e l’instaurazione nell’isola di un regime sempre più vicino all’Unione Sovietica furono vissute come inaccettabili dall’amministrazione americana. Il presidente Kennedy provò a sovvertire il regime prima con una maldestra invasione nella Baia dei Porci, poi con l’operazione Mongoose, una serie di attentati e sabotaggi che sarebbero dovuti culminare con una sollevazione di popolo: non funzionò.

L’Unione Sovietica nel frattempo si trovava a gestire la difficile situazione di Berlino, dove l’alleata Repubblica Democratica Tedesca era stata appena costretta a erigere il Muro e doveva fare i conti con l’inferiorità nel confronto nucleare con i rivali americani. Nel 1962 la Russia era dotata soltanto di 20 missili balistici intercontinentali, (ICBM, Inter-continental Ballistic Missile, in grado di portare testate nucleari) per di più piuttosto imprecisi. Gli Stati Uniti invece potevano contare su una numerosa flotta di bombardieri B52 in grado di colpire con armi nucleari gran parte del territorio sovietico con un’ottima precisione e sui missili Jupiter posizionati in Turchia.

L’idea di installare missili a medio raggio a Cuba nacque con l’intento di riequilibrare la situazione, fu accolta con favore dal governo castrista cubano che vedeva come prossima un’invasione americana e fu presa sottovalutando le possibili reazioni della controparte. Kruscev era convinto che gli Stati Uniti si sarebbero dovuti adattare alla situazione: così come, secondo molti esperti, il presidente russo Vladimir Putin otto mesi fa riteneva di poter invadere l’Ucraina suscitando una reazione limitata da parte della comunità internazionale.

Il 22 ottobre Kennedy annunciò che erano stati scoperti missili nucleari sovietici a Cuba e che la risposta scelta, dopo aver valutato un’invasione o un bombardamento dell’isola (prima che i missili fossero attivi), sarebbe stato un blocco navale, definito quarantena.

Il momento più rischioso arrivò il 26 ottobre, quando una nave da guerra americana rilevò un sottomarino sovietico in rotta per Cuba e sganciò alcune bombe di avvertimento. Gli americani non lo sapevano, ma il sottomarino era armato con 15 testate nucleari. Si trovava a corto di aria ed era circondato da navi da guerra americane. Il comandante ordinò che venissero armate le testate nucleari, ma il suo secondo, Vasili Arkhipov, lo convinse all’ultimo momento ad emergere senza sparare. Il direttore dell’archivio di stato americano scrisse nel 2002, quando l’episodio fu rivelato al pubblico: «Un tizio di nome Vasili Arkhipov ha salvato il mondo».

Fidel Castro, al centro, con Nikita Kruscev, a destra, e il ministro degli Esteri cubano Raul Roa, a sinistra, in una foto del settembre 1960 (AP Photo/Prensa Latina via AP Images)

Mentre sul piano militare la tensione saliva enormemente, rischiando di continuo l’incidente che avrebbe potuto portare alla guerra nucleare, segretamente procedevano le trattative, in un modo lento e non senza ostacoli.

Erano complicate anche a causa della difficoltà di comunicazione tra Kennedy e Kruscev, visto che mancavano canali ufficiali e di ogni messaggio bisognava valutare l’affidabilità e decidere se era un’offerta vera e se proveniva da una controparte autorizzata a trattare. Potevano passare anche 11 ore prima che un messaggio criptato arrivasse a destinazione, tanto che dopo questa crisi fu istituito il celebre “telefono rosso”, la linea telefonica sempre aperta e protetta fra Mosca e Washington. In quei giorni alcune comunicazioni passarono da Robert Kennedy, fratello del presidente e procuratore generale, all’ambasciatore sovietico a Washington, Anatoly Dobrynin.

Le prime richieste sovietiche per ritirare i missili sembrarono prevedere solo una promessa degli Stati Uniti a non invadere Cuba, ma in una seguente lettera Kruscev, che a differenza di Putin doveva confrontarsi con i vertici del partito che avevano un’influenza pesante su di lui, chiese anche lo smantellamento dei missili dalle basi italiane e soprattutto turche. La richiesta fu accolta da Kennedy, anche perché, hanno raccontato alcuni storici in seguito, il Pentagono aveva già avvertito il presidente prima di questa crisi che i Jupiter erano «obsoleti e non aggiungevano nulla alla sicurezza americana».

La mattina del 28 ottobre, Kruscev lesse un messaggio a Radio Mosca in cui annunciava lo smantellamento dei missili da Cuba. Nelle settimane seguenti, 42 missili nucleari a medio raggio furono imbarcati su otto cargo e rimandati in Unione Sovietica. Undici mesi dopo anche i missili americani in Italia e Turchia furono disattivati.

Kruscev trovò quindi un modo per salvare le apparenze e uscire da una situazione potenzialmente catastrofica in modo che nell’immediato sembrò dignitoso, anche se una parte della nomenclatura sovietica negli anni seguenti gli rinfacciò quella che riteneva un’umiliazione. Un paio di anni dopo il Comitato Centrale votò a favore delle sue dimissioni da ogni incarico nel partito e nel governo: Kruscev fu deposto, anche per gli errori in politica estera.