L’eterna storia delle indagini sulla scomparsa di Emanuela Orlandi

Una serie di Netflix presenta una nuova teoria su uno dei casi di cronaca più intricati della storia d'Italia

Manifestazione a Roma in piazza san Pietro per chiedere che il Vaticano riveli le informazioni in suo possesso sul caso Orlandi (ANSA/GIUSEPPE LAMI)
Manifestazione a Roma in piazza san Pietro per chiedere che il Vaticano riveli le informazioni in suo possesso sul caso Orlandi (ANSA/GIUSEPPE LAMI)

Il 20 ottobre uscirà su Netflix la serie documentario Vatican girl – La scomparsa di Emanuela Orlandi, realizzata dalla società di produzione televisiva inglese Raw: sono quattro puntate su uno dei casi di cronaca più intricati e indagati della storia d’Italia. La serie ipotizza il coinvolgimento nel rapimento di un alto prelato vaticano, non identificato: è una donna, all’epoca amica della Orlandi, a rivelarlo alle telecamere. Secondo il suo racconto, Orlandi le raccontò che un prelato l’aveva avvicinata tentando un approccio. Lei ne era rimasta molto turbata. 

È l’ultima delle tante rivelazioni che hanno accompagnato 39 anni di indagini e che hanno coinvolto Vaticano, organizzazioni criminali, servizi segreti italiani e stranieri ma anche millantatori, delinquenti, approfittatori. Diversi magistrati si sono alternati nelle indagini, che hanno seguito anche le piste più improbabili. Periodicamente, come è accaduto l’ultima volta qualche mese fa, sono apparsi nuovi indizi, rivelazioni, spunti investigativi.

Alla fine di luglio del 2022 si era tornati a parlare del caso in relazione alla sparizione, nel cimitero romano del Verano, della salma di Katty Skerl, una diciassettenne di origini svedesi rapita e uccisa nei dintorni di Roma nel 1984. Un uomo, Marco Accetti, che si autodenunciò per il rapimento Orlandi, disse che l’omicidio Skerl era direttamente collegato alla lotta tra due fazioni rivali del Vaticano a cui era riconducibile, secondo lui, anche il rapimento di Emanuela Orlandi. Queste dichiarazioni, su cui occorrerà tornare più avanti, arrivarono però solo nel 2015. Prima le indagini, a partire dal 1983, avevano percorso molte strade diverse senza mai arrivare a elementi realmente concreti. 

Emanuela Orlandi, 15 anni, figlia di un funzionario del Vaticano, commesso alla Prefettura della casa pontificia, scomparve a Roma nel tardo pomeriggio del 22 giugno 1983. Era stata quel giorno a lezione di musica (suonava il flauto) in piazza Sant’Apollinare. All’uscita telefonò a casa da una cabina del telefono, rispose una sorella: Emanuela disse che avrebbe tardato perché non arrivava l’autobus. Raccontò brevemente di essere stata avvicinata da un uomo che le aveva proposto di distribuire volantini della ditta di cosmetici Avon nel corso di una presentazione presso la sede della casa di moda Sorelle Fontana che si sarebbe dovuta svolgere qualche giorno dopo. La Avon, interpellata dalla polizia, spiegò poi di non avere in programma nessuna distribuzione di volantini.

Quella sera Orlandi non tornò a casa, e la famiglia denunciò la scomparsa. Nei giorni seguenti arrivarono a casa della famiglia le telefonate di un uomo che disse di chiamarsi Pierluigi e affermò di aver incontrato vicino a Campo de’ Fiori due ragazze: una delle due aveva in mano un flauto e somigliava molto alla fotografia pubblicata, due giorni dopo la scomparsa, dal quotidiano Il Tempo

Ali Agca (ANSA/MN ITALIA)

Il 3 luglio Papa Giovanni Paolo II, durante l’Angelus, lanciò un appello ai responsabili della scomparsa di Orlandi perché la liberassero, accennando così apertamente a un rapimento. Sempre a luglio, la famiglia Orlandi ricevette le telefonate di un uomo che parlava con un forte accento anglosassone (i giornali lo soprannominarono “l’amerikano”) che, in cambio della liberazione della ragazza, chiese la scarcerazione del turco Ali Agca, l’uomo che il 13 maggio 1981 aveva sparato a Papa Giovanni Paolo II in piazza San Pietro. Il 17 luglio una telefonata fece anche ritrovare un nastro in cui si sentiva la voce di una ragazza che chiedeva aiuto. Le telefonate dell’uomo noto come “amerikano” furono in tutto 16, ma non contennero mai prove concrete sul fatto che Orlandi fosse realmente sua prigioniera. 

Nel 1995 alcuni giornali scrissero che secondo una nota riservata del servizio segreto Sisde, Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica, l’amerikano aveva un’ottima conoscenza del latino, un elevato livello culturale e una notevole dimestichezza con il mondo del Vaticano. Nel 2011, durante una trasmissione dell’emittente Romauno a cui partecipava anche Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, telefonò un uomo che sostenne di essere un ex agente del servizio segreto Sismi (Servizio per le informazioni e la sicurezza militare) e che il rapimento Orlandi fosse da collegare all’omicidio del banchiere Roberto Calvi, trovato morto a Londra, sotto il Ponte dei Frati Neri il 18 giugno 1982, e al fallimento del Banco Ambrosiano.

Anche i Lupi grigi, organizzazione di estrema destra turca a cui apparteneva Ali Agca, rivendicarono il sequestro di Orlandi. Fecero trovare un comunicato in cui sostenevano di avere nelle loro mani sia la quindicenne sia un’altra ragazza scomparsa a Roma nel 1983, Mirella Gregori. In cambio della loro liberazione chiesero anche loro la liberazione di Agca. 

La madre di Gregori, due anni dopo, durante una visita del Papa nella parrocchia romana di San Giuseppe, riconobbe in un agente della Gendarmeria vaticana della scorta un uomo che a suo dire si intratteneva spesso con la figlia. Anche le indagini sulla scomparsa di Gregori non sono mai arrivate a un risultato. Dopo la caduta del muro di Berlino, un ex agente della Stasi, il servizio segreto della Germania Est, rivelò che era stata proprio la Stasi a inviare i falsi comunicati dei Lupi Grigi e che l’aveva fatto per allontanare, dai servizi segreti dell’est europeo, il sospetto che fossero coinvolti nell’attentato al Papa.

Mirella Gregori (ANSA/OLDPIX)

Durante le prime indagini sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, un agente di polizia e un vigile urbano sostennero di aver visto la ragazza, il pomeriggio del 22 giugno, vicino al Senato. Il vigile disse che la ragazza era in compagnia di un uomo. 

Nel corso degli anni, più volte sono emersi elementi che hanno condotto le indagini a concentrarsi verso gli ambienti vaticani. Nel 2010, Pietro Orlandi incontrò in carcere Ali Agca, il quale gli disse che sua sorella era stata rapita dai Lupi Grigi su ordine del Vaticano, ma non spiegò quale potesse essere il movente del sequestro. Agca disse anche che il cardinale Giovanni Battista Re sapeva tutto del sequestro e che la Orlandi stava bene e viveva in Svizzera in una villa di lusso. Pietro Orlandi andò a parlare con il cardinale Re che negò e sostenne di non avere nessuna informazione. 

Alla procura di Roma giunsero anche indiscrezioni anonime secondo cui Emanuela Orlandi era morta durante un “incontro” a casa di un alto prelato nei pressi del Gianicolo. 

Enrico “Renatino” De Pedis (Ansa)

Nel 2005 le indagini coinvolsero la banda della Magliana, organizzazione criminale molto potente a Roma tra gli anni Ottanta e Novanta e legata sia ad ambienti dei servizi segreti sia dell’estrema destra. Durante una telefonata anonima alla trasmissione Chi l’ha visto, in onda su Rai 3, un uomo disse che per capire il movente della scomparsa della ragazza bisognava andare a vedere chi era sepolto in una tomba nella basilica di Sant’Apollinare e «controllare il favore che “Renatino” fece al cardinale Poletti». Renatino era il soprannome di Enrico De Pedis, boss della banda. Ugo Poletti, cardinale morto nel 1997, era stato presidente della Conferenza episcopale italiana. 

Si venne così a sapere che in effetti Enrico De Pedis era sepolto a Sant’Apollinare accanto a cardinali e a personaggi illustri vicini alla Chiesa. La pubblicazione della notizia sui giornali suscitò molto imbarazzo in Vaticano. Il boss della banda, assassinato nel 1990, aveva fatto ingenti donazioni alla chiesa e questo sarebbe stato il motivo per cui la famiglia aveva ottenuto quella sepoltura. Alcuni mesi dopo le rivelazioni, la tomba di De Pedis venne spostata dalla basilica di Sant’Apollinare: i resti vennero cremati al cimitero di Prima Porta. I resti contenuti nella tomba vennero anche controllati per assicurarsi che fossero proprio quelli dell’ex boss.

La chiesa di Sant’Apollinare a Roma (Ansa)

Che la banda della Magliana fosse coinvolta nel rapimento di Emanuela Orlandi lo sostennero anche alcuni pentiti dell’organizzazione. Antonio Mancini, detto Accattone, esponente di spicco della banda, rivelò ai magistrati che in carcere aveva saputo che «la ragazza era roba nostra, che l’aveva presa uno di noi». Sabrina Minardi, ex moglie del calciatore della Lazio Bruno Giordano e poi a lungo compagna di De Pedis, disse che a rapire e a uccidere Orlandi era stato lo stesso Renatino su ordine dell’allora presidente dell’Istituto opere religiose (Ior), monsignor Paul Marcinkus, che aveva voluto così mandare un messaggio a «qualcuno molto in alto».

Secondo Minardi, dopo essere stata uccisa, Orlandi era stata gettata da De Pedis in una betoniera a Torvaianica. Il racconto di Minardi risultò però molto confuso: la donna associò l’uccisione della Orlandi a quella di un bambino di 11 anni, figlio di un membro della banda, che però avvenne nel 1990, tra l’altro quando De Pedis era già morto.

Minardi raccontò che Emanuela Orlandi venne tenuta prigioniera in un appartamento di via Pignatelli 13, nel quartiere Monteverde Nuovo di Roma. Di lei si sarebbe occupata una governante, Daniela Mobili, vicina ad alcuni esponenti della banda della Magliana. Mobili ha sempre negato di conoscere Sabrina Minardi. Altri ex membri della banda della Magliana hanno poi affermato che in via Pignatelli esisteva realmente un appartamento nella disponibilità dell’organizzazione, ma serviva come covo per i latitanti.

Il collegamento tra banda della Magliana e Vaticano venne fatto da Antonio Mancini in diverse occasioni. L’ex componente del gruppo criminale associò il rapimento al tentativo da parte della banda di ottenere la restituzione di ingenti somme di denaro investite nello Ior attraverso il Banco Ambrosiano. Quei soldi non vennero mai restituiti. Dei legami tra esponenti vaticani e membri della banda parlò anche un altro collaboratore di giustizia, Maurizio Abbatino, detto Crispino. Anche lui si disse certo che il rapimento di Orlandi fosse avvenuto per ottenere la restituzione del denaro investito e parlò di legami tra De Pedis e un altro capo dell’organizzazione, Franco Giuseppucci (detto Er Negro), con l’allora segretario di Stato vaticano, Agostino Casaroli.

L’inchiesta nata dalle dichiarazioni di Sabrina Minardi venne archiviata nel 2015. Le indagini però ripresero tre anni dopo quando il Vaticano autorizzò l’analisi del DNA su ossa ritrovate durante alcuni lavori di restauro all’interno della nunziatura di via Po, a Roma. L’ipotesi era che quelle ossa potessero appartenere a Emanuela Orlandi e Mirella Gregori. Le analisi stabilirono però che i reperti erano precedenti al 1960, quindi non attribuibili alle due ragazze. Nel 2019, dopo alcune segnalazioni anonime, vennero analizzati altri resti, contenuti in due tombe del cimitero Teutonico, quella di Sofia di Hohenlohe-Waldenburg-Bartenstein e quella della principessa Carlotta Federica di Meclemburgo-Schwerin. Anche quelle analisi diedero esito negativo.

Il fotografo romano Marco Accetti comparve nella vicenda Orlandi nel 2015. Il suo era un nome già conosciuto negli uffici della procura di Roma. Trentadue anni prima, il 20 dicembre 1983, un bambino di undici anni, figlio di un diplomatico uruguayano, uscì di casa, nel quartiere romano dell’Eur, per andare dal barbiere. Fu ritrovato morto quella sera nella pineta di Castel Porziano, a Ostia, distante venti chilometri. Sul posto venne fermato un uomo, Marco Accetti, che disse subito: «Il bambino l’ho ucciso io, l’ho investito accidentalmente». L’uomo venne condannato a un anno per omicidio colposo. La madre del bambino commissionò un’indagine a un detective privato e si convinse che suo figlio fosse in realtà stato rapito e ucciso e che Accetti avesse avuto un ruolo nella vicenda.

Nel 2015 Accetti andò alla procura di Roma e ottenne di parlare con un magistrato. Diede le indicazioni per ritrovare un flauto che, secondo lui, era quello di Emanuela Orlandi. La famiglia Orlandi disse che quel flauto poteva realisticamente essere quello di Emanuela ma, come ha spiegato al Post Pietro Orlandi, non è mai esistita una prova concreta che si trattasse in effetti di quello strumento. Il DNA presente sul flauto era troppo esiguo per essere analizzato.

Antonio Mancini detto Accattone, membro della banda della Magliana (Ansa)

Accetti disse che era in possesso del flauto perché aveva partecipato al rapimento. Aggiunse che la ragazza era stata vittima di uno scontro tra due fazioni avverse presenti allora in Vaticano. Da una parte c’era la fazione che voleva esercitare pressioni su Papa Giovani Paolo II affinché abbandonasse la sua politica anticomunista e di sostegno ai movimenti anti-regime dell’Est Europa, come il sindacato polacco Solidarność. Dall’altra parte c’era la fazione che invece sosteneva il Papa nella battaglia contro il blocco comunista. 

Accetti sostenne che la fazione avversa al Papa era responsabile del rapimento Orlandi mentre la fazione anticomunista, in risposta al sequestro della figlia del funzionario vaticano, aveva ucciso Katty Skerl, studentessa del liceo artistico, figlia di un regista svedese. La ragazza, che aveva 17 anni, era iscritta alla federazione giovanile comunista ed era una militante femminista. 

Il 21 gennaio 1984 Skerl era uscita di casa per andare a una festa. Il suo corpo fu ritrovato il giorno dopo in una vigna di Grottaferrata un comune a sud est di Roma: era stata strangolata prima con un filo di ferro e poi con la cinghia della sua borsa. Le indagini sulla morte di Skerl non portarono a nulla. Mai nessuno però, fino alle dichiarazioni di Accetti, aveva messo in relazione il suo omicidio alla scomparsa di Orlandi.

Accetti fu indagato per sequestro di persona e occultamento di cadavere. Fornì agli inquirenti una ricostruzione dei fatti molto intricata e, per certi versi, fantasiosa. Disse che la camicia bianca indossata da Skerl al momento della sepoltura aveva scritto sull’etichetta “Via Frattina 1982”, e che quando la ragazza fu vestita per essere deposta nella bara era presente una donna che, spacciandosi per parente, assistette alla preparazione del feretro. Questa donna memorizzò un certo elemento indosso alla Skerl, e questo dettaglio fu usato in un comunicato del 1984, associandolo però a Emanuela Orlandi. 

In una delle lettere inviate negli anni Ottanta alla famiglia Orlandi, firmata dall’organizzazione Fronte Turkesh, era contenuto un riferimento, che i magistrati non erano mai riusciti a interpretare, a via Frattina. Accetti in sostanza accusò una delle due presunte fazioni interne alla Chiesa, quella che sosteneva l’anticomunismo del Papa, di aver usato quel dettaglio della camicetta per inserirlo in una lettera alla famiglia Orlandi, dando così un segnale alla fazione avversa.

Accetti disse anche che il cadavere di Skerl era stato fatto sparire proprio per eliminare quella camicia e quell’etichetta e nascondere il collegamento tra i due casi. 

In seguito alle dichiarazioni rilasciate dal fotografo ai magistrati, i giornali ricordarono un episodio avvenuto nel 2013 quando a un’amica di Emanuela Orlandi e alla sorella di Mirella Gregori erano giunte due lettere con queste parole: «Non cantino le due belle more per non apparire come la baronessa e come il ventuno di gennaio martirio di Sant’Agnese con biondi capelli nella vigna del Signore». Secondo alcune interpretazioni, le due “more” erano Emanuela Orlandi e Mirella Gregori mentre la donna bionda era Skerl, il cui corpo era stato ritrovato in una vigna.

Giuseppe Pignatone, allora procuratore a Roma, si convinse che Accetti era inattendibile e ottenne dal giudice per le indagini preliminari l’archiviazione del fascicolo di indagine. Alla decisione si oppose il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo. Nemmeno lui riteneva attendibile Accetti per quanto riguardava la storia dello scontro in Vaticano, ma credeva che si dovesse comunque continuare a indagare concentrando l’attenzione proprio sulla figura di Accetti. In quel periodo il Corriere della Sera scoprì anche che Skerl era nella stessa classe della figlia di uno dei tre uomini bulgari coinvolti nelle indagini sull’attentato al Papa.

Nel luglio del 2022, sette anni dopo le rivelazioni di Accetti, la polizia ha eseguito un controllo nel cimitero del Verano scoprendo che in effetti il cadavere della Skerl era scomparso. Pochi giorni dopo che la notizia era comparsa sui giornali Giancarlo Capaldo, che ha pubblicato un romanzo ispirato al caso Orlandi, La ragazza scomparsa, ha detto intervistato dal Giornale: «Per quale motivo la polizia è andata a fare questo controllo al Verano? Secondo alcune voci, la famiglia della Skerl voleva fare un trasferimento della salma dal Verano a un’altra parte ed è per questo che si è scoperta la mancanza dei resti. Ma è una versione che a mio avviso presenta dei punti poco chiari. Mi sembra molto strano che una famiglia decida dopo 40 anni di trasferire dei resti, piuttosto c’è da chiedersi se non stessero cercando qualcosa».

La serie documentario, che sarà su Netflix a partire dal 20 ottobre, riporterà l’attenzione sull’ipotesi del coinvolgimento di un alto prelato vaticano. Nella lunga storia delle indagini sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, più volte è stata presa in considerazione la possibilità di un delitto con movente sessuale. Già nel 2012 padre Gabriele Amorth, celebre esorcista morto nel 2016, aveva detto nel corso di un’intervista a La Stampa che Emanuela Orlandi era stata drogata e uccisa durante una festa con molti eccessi (Amorth parlò di orgia) all’interno delle mura vaticane.

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