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  • Giovedì 6 ottobre 2022

L’ora più lunga del ciclismo

Il record dell'ora ha una storia iniziata più di un secolo fa, spesso controversa e ricca di colpi di scena: sabato lo tenterà Filippo Ganna

di Gabriele Gargantini

(Gary M. Prior/Allsport)
(Gary M. Prior/Allsport)

Alle otto di sera di sabato 8 ottobre il ciclista italiano Filippo Ganna proverà a battere il record dell’ora, uno dei più antichi e peculiari record nel mondo dello sport. Mentre pedalerà nel velodromo di Grenchen, in Svizzera, con l’obiettivo di percorrere in 60 minuti più di 55 chilometri e 548 metri, Ganna aggiungerà un pezzo a una storia iniziata 150 anni fa, che come quasi tutto nel ciclismo è stata segnata da decisioni controverse, intense rivalità e costanti ragionamenti su quale ruolo debbano avere meccanica, aerodinamica e tecnologia.

In questa gara si cimentarono Fausto Coppi ed Eddy Merckx, ma anche altri meno noti: negli anni Novanta tra i protagonisti ci fu un pressoché sconosciuto ciclista scozzese che inventò due nuovi modi di stare in bici, la cui bicicletta era in parte costituita da alcuni pezzi che arrivavano dalla lavatrice di casa sua.

Il record dell’ora ha una storia tortuosa nella quale a momenti in cui i primati venivano battuti più volte l’anno si sono intermezzate lunghe fasi di stallo. Ma il record dell’ora non è mai davvero passato di moda. Perché sebbene gli manchi quasi tutto ciò che per molti è l’essenza del ciclismo – gli avversari, le salite, i giochi di squadra – la sua forza sta proprio nel suo essere essenziale: un ciclista che pedala, da solo, giro dopo giro, in un velodromo, su una bici senza freni e con un solo durissimo rapporto, partendo da fermo per vedere quanti metri riesce a fare in un’ora. Il tutto sempre tenendo la miglior traiettoria possibile in pista, sia in curva che in rettilineo: una cosa molto più semplice a dirsi che a farsi, con certe biciclette e a certe velocità.

Un record dell’ora, inoltre, va annunciato e cercato: non esistono infatti apposite prove sull’ora. Come scrive Michael Hutchinson in The Hour – un libro del 2006 sulla storia del record e sul suo personale tentativo di superarlo – non esistono vie di mezzo, secondi posti o buoni risultati: un tentativo di record dell’ora bisogna deciderlo, organizzarselo, e infine tentarlo. Dopodiché o lo si fa o lo si fallisce.

O forse, più semplicemente, il record dell’ora non è mai davvero passato di moda perché è una sfida inconsueta in cui anziché scegliere una distanza standard (la maratona) per vedere quanto tempo ci si mette, si fa il contrario: si parte dal tempo per poi guardare la distanza. Si fa anche altrove, anche nella corsa, ma solo nel ciclismo è così importante.

Molti, tra quelli che ci hanno provato, dicono peraltro che l’ora pedalata a tutta velocità, accumulando centinaia di giri solitari in un velodromo, è tutt’altro che raccomandabile. «È la cosa più vicina alla morte che abbia mai provato», disse nel 2015 Jack Bobridge, che tentò, fallendo, di stabilire un nuovo record dell’ora. Perfino Merckx, che il record riuscì a farlo, disse invece alcuni minuti dopo il termine della sua prova, dopo aver ripreso fiato: «È stata l’ora più lunga della mia carriera. Non ci riproverò mai più».

I primi casi documentati di qualcuno che provò a vedere quanta strada riusciva a percorrere in un’ora sono degli anni Settanta dell’Ottocento: prima sui vecchi bicicli e poi su biciclette via via più simili a quelle moderne, almeno nella forma. Uno dei primi a misurare la sua distanza sull’ora fu nel 1873 l’inglese James Moore, che pochi anni prima aveva vinto la Parigi-Rouen, ritenuta la prima corsa su strada di sempre.

Moore, a destra, nel 1869 (Wikimedia)

Il primo a intuire davvero le potenzialità della sfida e a istituzionalizzare il record dell’ora fu però, alcuni anni dopo, Henri Desgrange. Il quale, già che c’era, oltre a codificare il record dell’ora pensò bene di farlo in prima persona, così da diventarne il primo detentore riconosciuto. Nel 1893, a Parigi, Desgrange percorse 35 chilometri e 325 metri in un’ora nel vélodrome Buffalo (così chiamato in omaggio a Buffalo Bill).

Desgrange non era niente più di un discreto ciclista e la sua distanza sull’ora non era un risultato fuori dal comune. Tuttavia, il suo record è considerato il primo vero record perché fu il primo a essere riconosciuto dall’Associazione ciclistica internazionale, che era stata fondata un anno prima e che nel 1900 fu sostituita dall’UCI, l’Unione ciclistica internazionale, che ancora oggi certifica i record dell’ora. Non fu comunque l’unico caso in cui Desgrange dimostrò intuito e spirito di iniziativa: fu infatti l’ideatore del Tour de France e l’organizzatore delle sue prime edizioni.

Intanto, come da previsioni, diversi ciclisti si erano fatti ingolosire e migliorarono la distanza sull’ora di Desgrange. Già nel 1898 il record fu portato oltre i 40 chilometri.

Tra il 1912 e il 1914 il record dell’ora guadagnò grande popolarità grazie alla grande rivalità tra lo svizzero Oscar Egg e il francese Marcel Berthet. In tre anni ognuno dei due migliorò più volte un record dell’altro, arrivando a portarlo a oltre i 44 chilometri. Si ritiene che, consapevoli dell’interesse generale per avere record sempre nuovi, Egg e Berthet cercarono di migliorarsi poco per volta, così da lasciarsi a vicenda la possibilità di fare sempre un nuovo record. Qualcosa di simile a quanto si ritiene abbia fatto in tempi più recenti l’astista Sergej Bubka nel migliorare decine di volte i suoi record.

La Prima guerra mondiale interruppe però i reciproci e mai troppo insuperabili miglioramenti sull’ora di Egg e Berthet, e per quasi vent’anni il record restò quello di Egg, che in un paio di occasioni riuscì a non far riconoscere record fatti da altri: per esempio andando a misurare una pista su cui era stato fatto un record per dimostrare che era più corta di quanto dichiarato e che quindi il vero record era ancora il suo.

Prima della Seconda guerra mondiale, pedalando nel velodromo Vigorelli di Milano – inaugurato nel 1935 e luogo di tutti i record dei due decenni successivi – Giuseppe Olmo portò la distanza del record oltre i 45 chilometri. Per distacco, il più noto record dell’ora fatto al Vigorelli fu però quello di Fausto Coppi. Il 7 novembre 1942, in una Milano bombardata dagli Alleati, in un velodromo praticamente vuoto, con poco allenamento e senza grande preparazione, Coppi percorse 45 chilometri e 798 metri.

(Wikimedia)

Coppi migliorò il record precedente giusto di qualche decina di metri e in condizioni assai precarie, eppure il suo record restò imbattuto per quattordici anni. A batterlo fu il francese Jacques Anquetil, che inaugurò un nuovo periodo in cui il record cambiò spesso detentore, pur senza riuscire a superare la soglia dei 50 chilometri in un’ora.

Quella soglia non riuscì a superarla nemmeno Merckx, che fece il record dell’ora a Città del Messico, nell’ottobre 1972, e lo fece a modo suo: partendo fortissimo e facendo nel frattempo tempi migliori di chiunque altro sui cinque e sui dieci chilometri.

Oltre che per il fatto che a farlo fu colui che è considerato il più forte ciclista di sempre, il record dell’ora di Merckx segnò un importante punto di svolta per quanto riguarda la ricerca applicata al record. Merckx usò infatti una particolarissima bicicletta Colnago realizzata appositamente per quel suo tentativo e, tra le altre cose, andò a Città del Messico, in un velodromo a oltre duemila metri di altezza, per sfruttare – come già qualcuno prima di lui e come altri dopo – i benefici dell’altitudine, che da un lato rende un po’ più difficile respirare ma dall’altro permette una minore resistenza dell’aria.

È comunque opinione condivisa che non tutto ciò che si pensò per ottimizzare quel record funzionò come previsto e che, volendoci riprovare meglio e dopo aver sistemato alcune cose, Merckx avrebbe potuto essere il primo a superare i 50 chilometri in un’ora. Tuttavia, forse anche in conseguenza della fatica che patì, non ci riprovò più. Seppur imperfetto, così come quello di Coppi, anche il suo record resistette per oltre dieci anni.

A portare agli estremi le sperimentazioni tecniche, tecnologiche, aerodinamiche e biologiche iniziate con Merckx fu Francesco Moser, che nel 1984, sempre a Città del Messico, fece due record dell’ora in pochi giorni. Nel secondo, percorse 51 chilometri e 151 metri. Molto in breve, Moser si avvalse del contributo di decine di specialisti, di tecniche e approcci che oggi sarebbero considerati illeciti e di una bicicletta particolarissima, nota soprattutto per le sue ruote lenticolari, cioè senza raggi.

(AP Photo)

Già dopo il primo record, Mario Fossati scrisse su Repubblica: «Moser ha affrontato l’ora secondo lo stile più moderno, scientifico: un metodo caratterizzato dalla più esasperata cura del particolare. La scienza, è risaputo, fornisce al corridore ciclista additivi esaltanti (vitamine ed altre tigri), la meccanica facilita l’azione propria del pedalare giovandosi dell’inerzia. La chimica aiuta sempre più a posporre la soglia della fatica». Fossati parlò di «avvento di un nuovo recordismo» e aggiunse che il record di Merckx era «ormai passato ciclistico» e che quelli di Coppi e Anquetil appartenevano addirittura al «medioevo del ciclismo».

È una semplificazione, dato che ogni record dell’ora è sempre stato tante cose insieme, ma per molti il record di Merckx è l’apice del record dell’ora inteso come sforzo fisico, mentre quello di Moser è una sorta di punto di non ritorno verso un approccio diverso: per qualcuno entusiasmante, per qualcun altro pieno di criticità e controversie. Merckx stava evidentemente da quest’altra parte, visto che dopo il record di Moser disse: «È la prima volta nella storia del record dell’ora che uno più debole ha battuto uno più forte».

Probabilmente non era la prima e di sicuro non sarebbe stata l’ultima.

Negli anni Novanta, dopo un nuovo periodo in cui il record dell’ora passò qualche anno a prendere polvere, la sfida fu rianimata grazie alla rivalità tra lo scozzese Graeme Obree e l’inglese Chris Boardman, raccontata nel 2006 dal film The Flying Scotsman. 

Boardman era un ciclista su pista, vincitore nel 1992 di un oro alle Olimpiadi di Barcellona. Non era il più forte ciclista in assoluto, ma era uno dei più forti su pista. Nel luglio del 1993 era in Francia per battere il record di Moser e per batterlo proprio il giorno in cui lì vicino passava il Tour de France, con tutti i giornalisti al seguito.

Prima che lui ci provasse, il record di Moser fu però superato, il 17 luglio 1993, da Obree, che nel velodromo di Hamar, in Norvegia, arrivò a 51 chilometri e 596 metri: un’impresa che riuscì nel non semplice tentativo di guadagnarsi durante il Tour de France la prima pagina dell’Équipe, che lo presentò come “L’incredibile mister Obree”.

Senza che quasi nessuno se ne interessasse, Obree si era costruito da solo una bicicletta usando tra le altre cose i cuscinetti del cestello della sua lavatrice, e aveva nel frattempo perfezionato una innovativa posizione da usare per pedalarci sopra “a uovo”, mettendo il corpo sulla bicicletta come nessun altro aveva pensato di fare per tentare un record dell’ora.

Obree nel 1993 (AP Photo/Eular)

Il record di Obree attirò curiosità e interessi di molti, anche di chi in genere non seguiva il ciclismo, ma durò poco. Il 23 luglio Boardman riuscì a fare ancora meglio e superare i 52 chilometri. Seguirono, nel 1994, un nuovo record di Obree e poi alcuni altri record di due grandi rappresentanti del ciclismo su strada: lo spagnolo Miguel Indurain e lo svizzero Tony Rominger, il primo ad andare oltre i 55 chilometri.

Intanto, però, Obree continuava a crederci e arrivò a sperimentare una nuova posizione, ancora più innovativa e performante della precedente. Era nota come “la Superman” e però non fu lui a usarla per farci un nuovo record: fu infatti Boardman che, usandola nel 1996, arrivò a percorrere 56 chilometri e 375 metri.

(Gary M. Prior/Allsport)

Furono insomma anni parecchio movimentati, pieni di azzardi e sperimentazioni, sia sulle biciclette che sul modo di starci sopra. Perfino Moser, nel 1994, dopo che già si era ritirato e quando ormai aveva più di quarant’anni, riuscì grazie alle nuove tecniche a migliorare la sua distanza del 1984, pur senza fare però un nuovo record dell’ora.

In tutto questo trambusto, l’UCI si trovò nella non semplice posizione di decidere quali posizioni e quali biciclette considerare lecite e quali altre no. Soprattutto, sembra che non gradisse che uno sconosciuto dilettante come Obree, con quelle sue strane e per alcuni anche piuttosto buffe posizioni, di certo non replicabili nel ciclismo su strada, potesse prendersi il record che era stato di Coppi e Merckx. «Vogliamo che vincano i migliori, non quelli meglio equipaggiati», disse il presidente UCI Hein Verbruggen.

Si finì quindi per vietare le nuove posizioni sperimentate da Obree e, addirittura, col decidere una sorta di generale reset del record dell’ora. L’UCI creò infatti due albi d’oro paralleli: da una parte quello che da lì in poi era da considerarsi il vero “record dell’ora”, il cui detentore, a fine anni Novanta, tornò a essere Merckx; dall’altra parte quello da lì in poi considerato meno importante, che riguardava le “migliori prestazioni umane sull’ora”, al cui interno finirono i record di Moser, Obree, Boardman e Indurain.

Il record per la miglior prestazione umana sull’ora restava aperto alla sperimentazione, seppur comunque entro certi limiti. Il record dell’ora tornò invece a essere, all’alba del Ventunesimo secolo, un record che si doveva superare usando biciclette che nella loro essenza dovevano essere assimilabili a quella che Merckx aveva usato nel 1972.

Fu un tentativo di sistemare in corsa certi problemi, ma ne creò altri. Perché finì inevitabilmente per sminuire i record da Merckx in poi e perché al contempo fece perdere d’interesse la sfida per il nuovo vecchio record dell’ora, perché le aziende di biciclette non avevano alcun interesse nel tornare indietro nel tempo per rifare biciclette alla vecchia maniera. E poi perché gli sponsor, le squadre e i corridori stessi non mostrarono interesse a ri-battere, seppur a nuove condizioni, un record che era ormai già stato superato più volte.

A complicare ulteriormente le cose ci fu il fatto che il primo a superare il record di Merckx con una bicicletta simile a quella di Merckx fu Boardman nel 2000. Per qualche tempo fu quindi il detentore di entrambi i primati: in un caso con la distanza di 56 chilometri e 375 metri, nell’altro con una distanza di 49 chilometri e 431 metri (dieci metri in più rispetto a quanto fatto da Merckx nel 1972).

(Alex Livesey/ALLSPORT)

Per l’UCI la questione non migliorò granché quando, nel 2005, il nuovo record dell’ora lo fece il ceco Ondřej Sosenka: un discreto ciclista professionista, non certo un campione. Uno che, peraltro, fu in seguito squalificato per doping.

Dopodiché l’UCI cambiò di nuovo le regole. Decise infatti che da lì in poi il record dell’ora si poteva fare con biciclette simili a quelle in uso nelle prove di inseguimento del ciclismo su pista (quella in cui alle Olimpiadi di Tokyo l’Italia di Ganna ha vinto l’oro a squadre). Al contempo, l’UCI stabilì però che il record dell’ora da battere continuava a essere quello di Sosenka, non quello di Boardman del 1996.

Da un giorno all’altro ci si ritrovò quindi con la possibilità di usare biciclette parecchio più efficaci di quella usata da Sosenka per battere il suo comunque non proprio incredibile record, che fin lì non era stato battuto per mancanza di interesse.

Il primo a riuscirci, già nel settembre 2014 fu, a Grenchen, il tedesco Jens Voigt, che percorse 51 chilometri e 110 metri (poco meno di Moser, il cui record continuava però a restare nell’altra classifica). Dopo di lui, tra gli altri, il record è stato battuto da Alex Dowsett, Bradley Wiggins e Victor Campenaerts, il primo a superare – di nuovo – la barriera simbolica dei 55 chilometri.

(EPA/PETER KLAUNZER)

Le nuove regole del 2014, che permettono ai corridori di tentare il record con avanzate biciclette contemporanee, sono state in genere ben accolte dagli addetti ai lavori, ma va detto che negli ultimi anni l’interesse generale per i nuovi record dell’ora è comunque stato altalenante e mai nemmeno vicino ai livelli raggiunti in passato.

Al momento, il record dell’ora è detenuto da Dan Bigham, che il 19 agosto di quest’anno ha percorso, sempre a Grenchen, 55 chilometri e 548 metri. Oltre a essere un ciclista, Bigham collabora come ingegnere al miglioramento delle prestazioni della Ineos Grenadiers, la squadra di ciclismo di Ganna, controllata dall’azienda chimica britannica Ineos, particolarmente attiva nel mondo dello sport e già dietro alla maratona sotto le due ore (anche qui, una miglior prestazione umana, non un record vero e proprio) corsa nel 2019 da Eliud Kipchoge. Bigham ha fatto il suo record con una bici simile, seppur non proprio uguale, a quella che userà Ganna. Per certi versi si può dire che il suo record è stato fatto in una sorta di prova generale del tentativo di Ganna.

Un nuovo record di Ganna, che è fortissimo su pista e che è uno dei più forti al mondo a cronometro, potrebbe però forse generare nuovo interesse, non solo in Italia, nei confronti del record dell’ora. Potrebbe inoltre invogliare alcuni esponenti della nuova e per molti versi rivoluzionaria generazione di ciclisti, molti dei quali sono a loro volta particolarmente bravi a cronometro, a tentare un nuovo record.

Anche perché iniziano a non sembrare irraggiungibili i 56 chilometri e 375 metri della vecchia miglior prestazione umana “alla Superman” fatta da Boardman nel 1996.