Cosa c’entra la speculazione con l’aumento del prezzo del gas

La citano in molti, ma i problemi sono più legati a dinamiche di domanda e offerta, anche se le distorsioni sul mercato non mancano

(Spencer Platt/Getty Images)
(Spencer Platt/Getty Images)
Caricamento player

Nell’ultimo anno il prezzo del gas ha raggiunto livelli mai visti e spesso i politici e i commentatori – soprattutto in Italia – hanno dato la colpa degli aumenti alla speculazione degli investitori finanziari, che con le loro operazioni orientate al profitto avrebbero contribuito a tenere le quotazioni molto alte.

Lo sostiene da tempo anche Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia e vincitrice delle elezioni politiche, che di recente a un evento di Coldiretti a Milano si è detta contraria a continuare a compensare gli aumenti delle bollette «per regalare soldi alla speculazione». Anche il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha parlato più volte di deviazioni immotivate dei prezzi sui mercati finanziari, in particolare su quello olandese che regola le transazioni del gas nell’Unione Europea.

Il prezzo del gas è in aumento da mesi, prima per la forte crescita delle attività economiche dopo mesi di lockdown, e poi per l’inizio della guerra in Ucraina, poiché la Russia ha iniziato a usare le forniture di gas all’Occidente come strumento politico di ritorsione contro le sanzioni, cosa che ha fatto temere un’interruzione dei flussi. Con ogni probabilità c’è una componente speculativa dei rincari dell’energia, ma non sembra la forza principale.

Nei movimenti del mercato di questi ultimi mesi sono infatti assenti tutti quei segnali che tipicamente si assocerebbero alla speculazione: in particolar modo, non si sono verificati (o si sono verificati in piccola parte) acquisti massicci che spingono al rialzo il prezzo con il solo obiettivo di rivendere a un prezzo più alto per trarne profitto. Le compravendite non legate alla consegna fisica del gas, quelle quindi puramente finanziarie, non sono aumentate negli ultimi mesi, come invece ci si sarebbe potuto aspettare in caso di speculazione.

Nel suo intervento all’evento di Coldiretti, Giorgia Meloni ha parlato dei contatti in corso con il governo uscente di Mario Draghi per garantire un passaggio di consegne ordinato tra un esecutivo e l’altro, soprattutto sul tema dei rincari dell’energia. Ha citato l’importanza di un tetto europeo al prezzo del gas perché «diciamoci la verità: se noi pensiamo di poter a livello nazionale continuare a compensare il costo di bollette che continuano a salire per regalare soldi alla speculazione, facciamo un errore». Secondo Meloni, il tema non è trovare le risorse ma «come si ferma la speculazione».

Domenica, durante un’intervista al programma Mezz’ora in Più il ministro Cingolani ha espresso posizioni simili. Il prezzo del gas sarebbe oggetto di un «processo speculativo non connesso alla domanda e all’offerta, come dovrebbe essere da libri di testo. L’Europa ha perso 39 miliardi di metri cubi dalla Russia e li ha rimpiazzati con 45 miliardi di metri cubi. Quindi, essendoci più gas di prima, dovrebbe calare il prezzo». Più che di deliberata speculazione finanziaria orientata al profitto, Cingolani ha parlato di timori e paure degli operatori di un’eventuale carenza di gas, che spingerebbero a rialzo il prezzo.

È esattamente così che si formano le quotazioni, sulla base delle aspettative degli operatori: se si pensa che possa esserci scarsità di un bene, quindi che la domanda superi l’offerta, allora il prezzo salirà; al contrario, se si crede che ci sarà un’abbondanza di un bene, quindi che la domanda sia minore dell’offerta, allora il prezzo di un bene scenderà. Si tratta quindi di normali dinamiche di mercato, che però, secondo il ministro, in questo momento non sarebbero giustificate da una carenza reale del gas.

La maggior parte del gas che arriva in Europa è acquistato tramite contratti di fornitura di lungo periodo: l’accordo è siglato tra i distributori, per esempio l’italiana Eni, e produttori, come la russa Gazprom. Il venditore, ossia chi produce il gas, si impegna a fornire al compratore, l’azienda che tipicamente poi lo rivende sul mercato al dettaglio, una data quantità di gas, a un determinato prezzo e per un certo periodo di tempo. In questo modo le forniture dovrebbero essere stabili e certe nel tempo.

Chi è interessato a vendere e acquistare gas può però farlo anche al di fuori di questi accordi, per esempio nel caso in cui si voglia aumentare rapidamente l’offerta di gas oltre quanto si era previsto nell’accordo di fornitura. I distributori possono quindi rivolgersi ai mercati finanziari del gas, detti anche hub, ossia dei luoghi virtuali in cui si compra e vende la materia prima. Si può comprare con consegna fisica al momento oppure con i cosiddetti futures, ossia contratti con cui ci si impegna a comprarlo in un dato momento nel futuro (dopo un giorno, un mese, un anno e così via) a un prezzo fissato, in modo tale da proteggersi da eventuali aumenti delle quotazioni.

Il mercato di riferimento in Europa ha sede nei Paesi Bassi ed è il Title Transfer Facility (TTF). Nell’Unione Europea esistono vari mercati simili (per esempio, in Italia c’è il PSV, il Punto di Scambio Virtuale), ma è il TTF olandese che fissa i prezzi di riferimento per l’intero continente, perché è dove avviene la maggior parte degli scambi. A confronto con altre realtà internazionali, però, il mercato olandese è tutto sommato piccolo. Nel mercato statunitense, il cosiddetto Henry Hub, vengono scambiati ogni anno migliaia di miliardi di metri cubi di gas, contro sole alcune centinaia di miliardi nell’europeo TTF.

Benché la maggior parte del gas arrivi in Italia tramite i contratti di fornitura di lungo termine, quindi non negoziata sul mercato virtuale, è il prezzo che si determina sul TTF a fare da riferimento per l’intero mercato. Secondo un documento dell’Autorità italiana per l’energia, l’ARERA, tra il 70 e l’80 per cento di questi contratti ha un prezzo di importazione legato al TTF.

Il prezzo del gas è in crescita dalla primavera del 2021, quando hanno iniziato a farsi sentire gli effetti delle riaperture dopo i lockdown: l’attività economica è ripresa più velocemente di quanto ci si potesse aspettare e l’offerta di energia non è riuscita a stare al passo. Il gas è stato percepito come un bene di cui c’era scarsa disponibilità e quindi il prezzo è aumentato. A partire dall’autunno sono aumentate le tensioni tra Russia e Ucraina, che hanno sostenuto la tendenza al rialzo fino all’inizio della guerra, nel febbraio del 2022, quando i prezzi hanno toccato livelli mai visti.

La Russia era il principale fornitore di gas all’Unione Europea e si temeva, –col senno di poi a ragione – che prima o poi avrebbe interrotto i suoi flussi in risposta alle sanzioni Occidentali.

Dopo il picco di agosto, quando il gas ha superato i 300 euro al megawattora, in queste settimane i prezzi sono su livelli più bassi.

È ovviamente complesso capire cosa abbia spinto così in alto le quotazioni. Gli operatori avevano davvero paura che venisse a mancare la materia prima o gli investitori hanno approfittato della situazione per speculare sugli alti prezzi del gas? Il confine tra normale attività di investimento e speculazione a volte è molto sottile, perché in entrambi i casi le azioni sono guidate dalle aspettative degli operatori.

Semplificando molto, e tenendo a mente che il gas è un bene fisico, da trattare quindi in modo un po’ diverso da un’azione o un titolo di stato, una normale dinamica di mercato prevederebbe che il suo prezzo vari a seconda della quantità che gli operatori credono che sarà disponibile nel futuro. Si prevede che ci sarà scarsità? Allora il prezzo aumenta, perché il bene è come se diventasse più prezioso e desiderabile. Si prevede invece che ce ne sarà molto? Il prezzo è destinato a scendere, perché non si sarà più disposti a pagare cifre alte per comprare qualcosa che è largamente disponibile sul mercato.

La speculazione sul gas usa principalmente il canale dei future, ossia quei contratti con cui ci si impegna ad acquistare una certa quantità di metri cubi di materia prima in una certa data e a un certo prezzo. Ovviamente gli speculatori non comprano fisicamente il gas, perché non se ne farebbero niente, ma comprano e rivendono questi contratti, senza arrivare però mai al momento dell’acquisto vero e proprio della materia prima. Approfittando delle aspettative a rialzo sui prezzi, che effettivamente fanno salire le quotazioni, comprano massicce quantità di future scommettendo di rivenderli a un prezzo sempre più alto, alimentando così una spirale all’insù.

Cerchiamo ora di capire qual è la forza che guida di più il prezzo del gas, se quella tradizionale o quella speculativa.

Innanzitutto, è vero che il TTF è un mercato finanziario, ma prevede comunque la consegna fisica del gas e per sua natura è quindi fortemente ancorato a domanda e offerta. Tuttavia vi partecipano anche operatori non convenzionali, come fondi di investimento, banche e così via, le cui posizioni sono definite “speculative” perché non sono motivate da attività commerciali nel settore dell’energia, come potrebbero essere quelle dei distributori come Eni.

Secondo un rapporto del centro studi di Intesa San Paolo, l’attività degli operatori finanziari è rimasta costante in questi mesi di forti rialzi delle quotazioni. Confrontando la dinamica del prezzo della materia prima nel TTF con l’andamento di queste posizioni speculative, ossia quelle non commerciali, si nota come gli operatori finanziari abbiano mantenuto stabile la propria esposizione negli ultimi mesi, senza aumentare gli acquisti all’aumentare dei prezzi.

Se la speculazione avesse avuto un ruolo così rilevante si sarebbe visto un numero crescente di transazioni da parte degli operatori finanziari. È vero che si vede un netto rialzo tra febbraio e marzo 2022 e che i valori sono più alti di un anno fa, ma dopo un aumento iniziale dell’interesse per il gas non ci sono stati aumenti di questi acquisti speculativi. Questo perché l’ampia volatilità e l’imprevedibilità delle quotazioni del gas ha reso molto difficile per gli operatori investire con successo in questo mercato, perché è davvero difficile fare previsioni che si possano poi rivelare profittevoli.

Di fatto, quindi, sembra che le compravendite finanziarie non abbiano amplificato i rialzi, che secondo il centro studi di Intesa San Paolo sono principalmente spiegati da una carenza della materia prima sul mercato fisico.

Detto questo, è vero che però il meccanismo europeo di formazione del prezzo del gas ha causato dei problemi. Innanzitutto perché il TTF è un mercato relativamente piccolo rispetto a tutto il gas consumato all’interno dell’Unione Europea. Pochi scambi determinano il prezzo a cui si compra e vende in un intero continente, il che ha provocato molte distorsioni. Infatti, trattandosi di volumi relativamente ridotti, le oscillazioni dovute ai movimenti di pochi operatori possono essere molto ampie. Questo ha creato moltissimi problemi di volatilità, ossia di variazioni improvvise anche molto grandi.

Per questo, come ha spiegato il ministro Cingolani nel corso della sua intervista nella trasmissione Mezz’ora in Più,  l’Italia presenterà una proposta su come porre dei limiti a queste oscillazioni. Innanzitutto, il governo pensa a un meccanismo con cui il prezzo del gas sia una sorta di media tra le quotazioni delle varie piazze di scambio mondiali, in modo da slegarlo dal mercato del TTF, troppo piccolo e instabile. In più, vorrebbe indicare una fascia entro cui il prezzo può variare, una sorta di “forchetta”, in modo da contenere gli eccessivi rialzi e gli eccessivi ribassi.

– Leggi anche: Cosa vuol dire slegare il prezzo del gas da quello dell’energia elettrica