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  • Lunedì 3 ottobre 2022

Il rimbalzello non è solo un gioco

C'è tutta una scienza dietro il rimbalzo dei sassi sull'acqua, e da qualche tempo c'è il detentore del record mondiale di rimbalzi che vuole fare anche quello di distanza

(Jeff J Mitchell/Getty Images)
(Jeff J Mitchell/Getty Images)
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Il lancio dei sassi sull’acqua nel tentativo di farli rimbalzare è molte cose insieme: un semplice passatempo, una faccenda fisica parecchio complicata e, per alcuni, un’attività meditativa. Oltre a tutto questo, però, è anche una pratica competitiva con le sue regole, i suoi record, il suo gergo e le sue rivalità. Anzi, due pratiche competitive. Perché il mondo del lancio dei sassi sull’acqua – il rimbalzello, in Italia – si divide in due grandi ambiti sportivi: quello di chi misura quanti rimbalzi fa il sasso e quello di chi invece si concentra sulla distanza a cui, sempre rimbalzando, il sasso arriva prima di affondare.

Il record mondiale di rimbalzi è 88, il record di distanza è di 121 metri. Mentre qualcuno si chiede se non sia il caso di trattare il rimbalzello come uno sport, il detentore del record mondiale di rimbalzi – un tipo parecchio peculiare ed estremamente dedito alla disciplina – si è dato l’obiettivo di fare anche il record mondiale di distanza.

Non c’è modo di sapere chi e quando iniziò a far rimbalzare sassi sull’acqua, e nemmeno per quale motivo lo fece. Le non tantissime ricostruzioni sulla faccenda dicono che i primi cenni a un qualche tipo di competizione legata al rimbalzo dei sassi sull’acqua sono del Sedicesimo secolo, ma sembra che già nell’antica Grecia si facessero gare di qualche genere. Uno dei primi a occuparsi nel dettaglio del perché e del come certi sassi rimbalzassero sull’acqua fu Lazzaro Spallanzani, il presbitero e scienziato a cui è intitolato l’Istituto italiano per le malattie infettive. Spallanzani trattò l’argomento nel 1755 con il testo De Lapidibus Ab Aqua Resilientibus: Dissertatio.

In tempi più recenti, e dopo che nel Novecento il principio alla base del rimbalzello è stato usato anche in ambito bellico, la questione è stata trattata in “Secrets of successful stone-skipping”, un approfondito studio di alcuni ricercatori francesi, pubblicato nel 2004 su Nature. Dopo aver studiato tutti i parametri e le forze in gioco, i ricercatori decretarono che un angolo di circa 20° era quello ottimale, quello che poteva cioè garantire un maggior numero di successivi rimbalzi al sasso lanciato.

(Nature)

C’è anche chi, con un approccio empirico, ha costruito un robot lanciasassi.

Il principio che permette i rimbalzi, di per sé, è semplice: a determinate condizioni i sassi – certi sassi molto meglio di altri – non affondano perché spingendo l’acqua sotto di loro ricevono una spinta sufficiente a farli tornare su. Ovviamente, oltre all’angolo con cui i sassi entrano in acqua c’è da tenere conto di vari altri fattori tra cui il vento, la superficie dell’acqua, la velocità del sasso e la rotazione, quest’ultima determinante nel far procedere il sasso in linea retta. È insomma una di quelle questioni che possono sembrare semplici ma che in realtà hanno complesse basi fisiche.

Prima di tutto, comunque, c’è da scegliere il sasso o il ciottolo da lanciare.

(Jeff J Mitchell/Getty Images)

Che il ciottolo debba essere piatto e tendenzialmente liscio è cosa abbastanza nota. Detto questo, ogni lanciatore esperto ha i suoi modi per scegliere i sassi, e ci sono anche gare in cui i sassi sono forniti dagli organizzatori. In genere si usano sassi che pesano tra i 100 e i 200 grammi, con uno spessore massimo di un paio di centimetri, tondeggianti e po’ allungati. Molti lanciatori tendono a preferire l’ardesia e alcuni suggeriscono sassi che siano sì lisci ma che comunque abbiano qualche piccola levigatura che permetta di tenerli meglio in mano.

Oltre alla scelta del sasso c’è poi la parte tecnica e fisica del lancio, sulla quale è difficile dare consigli generali perché, anche tra i più forti al mondo, ci sono diversi approcci.

Come in tante altre attività naturali o sportive c’è poi, quantomeno per qualcuno, una parte più profonda. Nel suo lungo articolo per Outside Magazine sulla “perduta arte” del lancio dei sassi che rimbalzano sull’acqua, Sean Williams ha scritto:

«Un forte lanciatore vi dirà che c’è dietro qualcosa di prometeico, il liberare una forza selvaggia che è stata dormiente per milioni di anni. Ma anche che è una lezione sulla transitorietà della bellezza naturale. Perché prima o poi il rimbalzare si esaurisce e il sasso finisce nell’acqua, con ogni probabilità per non essere mai più lanciato».

Nel mondo, questa pratica ha vari nomi. In pochi casi succede che, come in Italia, ci sia una parola apposita come rimbalzello, che peraltro compare nei Promessi Sposi. In molti paesi quest’attività ha nomi che fanno riferimento al lancio o al salto della rana e in Giappone dove esistono competizioni in cui oltre a rimbalzi e distanza si giudicano aspetti estetici del lancio e dei rimbalzi – la pratica è nota come mizu kiri, “tagliare l’acqua”. In francese si dice invece faire des ricochets, fare i rimbalzi, una delle piccole cose che piacciono molto ad Amélie Poulain, protagonista del film Il favoloso mondo di Amélie.

In inglese esiste invece la differenza, assente in quasi ogni altra lingua, tra stone skimming e stone skipping. Nel primo caso si parla dei lanci che puntano alla distanza, nel secondo dei lanci il cui obiettivo è fare quanti più rimbalzi possibili. Negli Stati Uniti le gare riguardano soprattutto i rimbalzi; in gran parte nel resto del mondo – e in particolare nel Regno Unito – ci si concentra maggiormente sulla distanza.

Il principale evento del lancio a distanza è il World Stone Skimming Championships, organizzato ogni anno – ma a causa della pandemia non negli ultimi tre – a Easdale, un’isola scozzese solitamente abitata da giusto qualche decina di persone. I primi “Mondiali” di Easdale furono nel 1983, ma solo dalla fine degli anni Novanta iniziarono a essere un evento annuale, che nelle ultime edizioni pre-Covid era arrivato ad avere diverse centinaia di partecipanti, alcuni dei quali arrivati da altri paesi e continenti.

(Jeff J Mitchell/Getty Images)

Negli ultimi due anni pre-pandemia a Easdale – dove è obbligatorio lanciare ciottoli formatisi naturalmente sull’isola e forniti dagli organizzatori – aveva vinto un ungherese, prima ancora il giapponese Keisuke Hashimoto.

Il detentore del record mondiale è però lo scozzese Dougie Isaacs, che a Easdale ha vinto otto volte. Di lui, oltre che di altri appassionati e praticanti del lancio a distanza, ha parlato il breve documentario del 2019 Sink or Skim, prodotto dalla BBC scozzese.

Il lancio da record di Isaacs, fatto nel 2018 durante una gara in Galles, è questo:

È stato sulla distanza anche il “primo campionato italiano di rimbalzello”, organizzato nel luglio di quest’anno in Piemonte, al laghetto alpino di Casalavera, dalla stazione sciistica Domobianca, e vinto con un lancio di 90 metri.

Le gare all’americana, quelle che misurano il numero di rimbalzi, non hanno un unico e grande evento mondiale. Ci sono tuttavia un paio di eventi che negli Stati Uniti sono considerati più importanti degli altri: uno si svolge in Michigan, l’altro in Pennsylvania. In entrambi si fanno più lanci e si guarda la media di rimbalzi ottenuta. Tra i due, l’evento in Pennsylvania è considerato più adatto ai lanciatori che puntano sulla potenza, mentre quello in Michigan è più tecnico, su una superficie su cui in genere si vince con quasi la metà dei rimbalzi rispetto alla Pennsylvania.

Per anni lo stone skipping, il rimbalzello all’americana, ha anche avuto quelli di cui si è parlato come del Roger Federer e del Rafael Nadal della specialità. Uno dei due protagonisti di questa lunga e intensa rivalità è stato Russ Byars, morto di tumore nel 2017. L’altro è Kurt Steiner, detentore del record di rimbalzi.

Biondo e dal fisico imponente, Byars era un ex marine che spesso gareggiava con camicie hawaiane. Un tipo espansivo e piuttosto appariscente, che gradiva le attenzioni dei giornali e delle televisioni, che aveva lanciato una linea di prodotti legati al suo nome e che una volta disse: «Si racconta che c’è molta fisica dietro a questa pratica, ma io non ne capisco niente. Il mio motto è solo “prendi e lancia”».

Difficilmente Steiner, a cui è dedicato il lungo articolo che Williams ha scritto per Outside Magazine, potrebbe apparire più diverso.

Nato e cresciuto in Pennsylvania, Steiner ha avuto un’infanzia problematica: tra le altre cose, aveva difficoltà a mangiare quando gli alimenti erano mischiati nel piatto, gli riusciva spesso complicato socializzare e, ha scritto Williams, «oscillava tra l’apatia e l’iperconcentrazione». Da ragazzo Steiner era forte a scacchi e, dice lui, molto forte al videogioco arcade Asteroids. In seguito si appassionò alla lettura e all’attività fisica, soprattutto alle attività in cui confrontarsi con se stesso: fece quindi canottaggio, ciclismo e sollevamento pesi, «e divenne anche un ossessionato dell’escursionismo».

Steiner ha raccontato di aver sofferto di depressione e passa diversi mesi dell’anno in quasi totale isolamento in una casa che si è costruito in mezzo alla natura. Williams, che l’ha incontrato tra molte difficoltà dopo averci provato per qualche anno, ha scritto che talvolta ha atteggiamenti da maestro zen, ma anche che altre volte «parla come se avesse appena bevuto sette tazzine di caffè, saltando senza pausa da un argomento all’altro». Un suo amico ne ha detto: «Chiedigli come si allaccia le scarpe e la risposta potrebbe durare anche un’ora e mezza».

Al lancio dei sassi sull’acqua Steiner si avvicinò per caso e curiosità, da autodidatta. Col tempo approfondì però molto la pratica. Fu comunque solo nel 2000 che scoprì da un volantino che esistevano le gare di stone skipping e quella che nel frattempo era diventata sua moglie lo incoraggiò a partecipare.

Da allora, lo stone skipping divenne per lui una nuova ossessione. Qualcosa che, ha scritto Williams, «divenne più importante di ogni altra cosa», compreso il suo matrimonio. Steiner si mise a studiare nel profondo la fisica dei rimbalzi, nel frattempo dedicando parecchio tempo alla ricerca dei sassi e alla pratica dei lanci. Steiner, che ha 56 anni, stima di aver lanciato, negli ultimi due decenni, circa 250mila sassi in acqua.

Confrontandosi e scontrandosi con Byars, del quale infine divenne amico, Steiner ha vinto 17 tornei e, soprattutto, è arrivato a fare un lancio da record del mondo che qualcuno ha definito «la sua Cappella Sistina» e di cui qualcuno ha scritto che sembra essere ai limiti di ciò che è fisicamente possibile. A proposito, spesso i ciottoli di Steiner impattano l’acqua con un angolo vicino ai 30°, ben lontano dai 20° ritenuti ottimali.

Il lancio da record è del settembre 2013. Lo fece in allenamento, e lo filmò sua moglie. Dopodiché Steiner mandò il filmato ad alcuni ricercatori, i quali stabilirono che i rimbalzi erano stati almeno 88. Il precedente record mondiale era di 65 rimbalzi.

Un amico di Steiner ha detto a Williams che per chi si occupava di stone skipping fu come se, mentre tutti stanno lì a discutere della possibilità di correre la maratona in meno di due ore, d’improvviso arriva qualcuno che la corre in un’ora e mezza.

Nonostante alcuni acciacchi fisici, soprattutto alla spalla del braccio con cui lancia, e anche dopo il divorzio e la morte del suo grande rivale e amico, Steiner continua ad allenarsi e vincere gran parte delle gare a cui partecipa. Ha parlato però con tristezza del fatto che, a suo modo di vedere, la pratica sportiva dell’attività che in Italia è nota come rimbalzello si sta commercializzando troppo. Secondo lui, invece, pur nel suo essere competitiva, la pratica dovrebbe essere anche intima e meditativa.

A livello competitivo il suo principale obiettivo è superare il record di Isaacs, dal quale ha raccontato di essere distante solo di qualche metro.

Più in generale, sembrano invece scarse le possibilità che, a livello internazionale, il rimbalzello venga in qualche modo codificato e incanalato come pratica sportiva vera e propria. Perché, nonostante l’ambizione di Steiner, è difficile conciliare chi guarda alla distanza e chi ai rimbalzi. E poi perché, come scrisse il Financial Times già qualche anno fa, nonostante la pratica sia senz’altro antica, diffusa, inclusiva e atletica, i principali tornei di rimbalzello «faticano a mostrarsi come qualcosa che va oltre il semplice passatempo». Peraltro, scrisse sempre il Financial Times, «nessuno tra gli interessati sembra avere le energie o la propensione necessarie a costituire federazioni nazionali o internazionali».

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