Il Nobel per la Medicina a Svante Pääbo

L'importante riconoscimento è andato al biologo svedese «per le sue scoperte sul genoma degli ominini estinti e sull'evoluzione umana»

(Carlos Alvarez/Getty Images)
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Il premio Nobel per la Medicina 2022 è stato assegnato al biologo svedese Svante Pääbo «per le sue scoperte sul genoma degli ominini estinti e sull’evoluzione umana».

Grazie alle sue ricerche, Pääbo è riuscito a ricostruire il genoma (cioè l’esatta lettura dell’intera informazione genetica di un essere vivente) dei Neanderthal, un lontano parente della nostra specie. Pääbo è stato inoltre lo scopritore dei denisoviani, una nuova specie di ominini (la sottofamiglia di ominidi che comprende gorilla, scimpanzé e umani).

Gli studi di Pääbo hanno inoltre permesso di rilevare il trasferimento di geni da quegli ominini ormai estinti a Homo sapiens, la nostra specie, in seguito alle migrazioni dall’Africa avvenute circa 70mila anni fa. Alcune tracce di quel passaggio di geni sono evidenti ancora oggi, per esempio nel funzionamento del nostro sistema immunitario.

Pääbo è considerato l’artefice di una nuova disciplina scientifica, la paleogenomica. E il suo lavoro è stato essenziale per esplorare la nostra storia passata e soprattutto iniziare a comprendere meglio che cosa distingue la nostra specie dalle altre.

Lo studio delle nostre origini è tanto affascinante quanto complicato. Grazie ai paleontologi e agli archeologi, oggi sappiamo che la nostra specie apparve in Africa intorno ai 300mila anni fa, mentre i parenti a noi più stretti – i Neanderthal – si svilupparono fuori dall’Africa e popolarono l’Europa e parte dell’Asia occidentale a partire da 400mila anni fa, rimanendo nei paraggi fino a 30mila anni fa, quando si estinsero. Circa 70mila anni fa, alcuni gruppi di Homo sapiens lasciarono l’Africa e raggiunsero il Medio Oriente, diffondendosi poi su buona parte del resto del pianeta.

Per lungo tempo, quindi, Homo sapiens e Neanderthal convissero in molte zone dell’Europa e dell’Asia, instaurando probabilmente relazioni e interazioni che furono molto importanti per la nostra storia. Il problema è che ricostruire eventi avvenuti in epoche così remote non è per nulla semplice, ma le analisi del DNA sui fossili possono offrire importanti indizi.

Verso la fine degli anni Novanta alcuni gruppi di ricerca erano riusciti a mappare quasi tutto il genoma umano, rendendo possibile il confronto tra diverse popolazioni di esseri umani dal punto di vista delle loro caratteristiche genetiche. Era però necessario ricostruire il genoma dei Neanderthal per poter fare confronti più accurati e ricostruire quelle remote relazioni.

Praticamente fin dall’inizio della propria carriera Pääbo era incuriosito dalla possibilità di utilizzare le tecniche di analisi genetica per studiare il DNA dei Neanderthal, scontrandosi con le difficoltà legate al deterioramento cui va incontro il materiale genetico nel corso del tempo. Dopo migliaia di anni, le tracce di DNA che rimangono su un reperto sono poche e spesso portano con sé contaminazioni, dovute per esempio alla presenza di materiale genetico di altri organismi come i batteri.

Pääbo non si scoraggiò e per anni lavorò a sistemi per superare queste difficoltà. Negli anni Novanta si dedicò allo studio del DNA proveniente da alcuni mitocondri di Neanderthal. I mitocondri sono organuli delle cellule che contengono un loro DNA, quindi il loro genoma è relativamente piccolo e contiene solamente una parte delle informazioni genetiche legate alla cellula. In compenso, ha migliaia di copie del medesimo materiale genetico e offre quindi più probabilità di trovarne porzioni intatte per il lavoro di analisi. Pääbo riuscì a mappare il DNA da un reperto di 40mila anni fa, portando nuovi importanti elementi per dimostrare come i Neanderthal fossero geneticamente distinti dagli esseri umani e dagli scimpanzé.

Dopo i primi successi ottenuti con i mitocondri, Pääbo decise che fosse arrivato il momento di provare a mappare il genoma vero e proprio dei Neanderthal, molto più esteso e articolato. Insieme al suo gruppo di ricerca al Max Planck Institute di Lipsia (Germania) perfezionò nuove tecniche di analisi su ossa molto antiche, riuscendo a pubblicare il primo genoma di un Neanderthal nel 2010. Da quello studio emerse come il più recente antenato comune dei Neanderthal e di Homo sapiens fosse vissuto circa 800mila anni fa.

Gli studi di Pääbo consentirono inoltre di confermare che nei loro millenni di coesistenza, i Neanderthal e gli Homo sapiens si incrociarono tra loro portando la nostra specie a ereditare alcune caratteristiche dell’altro gruppo. Si stima che il genoma degli umani dei giorni nostri con discendenza europea o asiatica abbia almeno un 1 per cento di origine dai Neanderthal.

(Nobel Prize)

Ma il lavoro di Pääbo non si è limitato a questi studi. Con il proprio gruppo di ricerca, si occupò dell’analisi di alcuni resti ossei trovati nel 2008 in alcune grotte di Denisova nei Monti Altaj, in Siberia. Risalenti a circa 40mila anni fa, contenevano materiale genetico ben conservato, che consentì di ipotizzare che appartenessero a una specie di ominini mai identificata prima, i “denisoviani”. In seguito fu inoltre scoperto che alcuni dei loro geni erano passati alla nostra specie.

Combinati insieme ad altre importanti ricerche, gli studi di Pääbo hanno quindi permesso di comprendere meglio alcuni aspetti essenziali della nostra storia evolutiva. Quando i primi Homo sapiens migrarono fuori dall’Africa, almeno due distinte popolazioni di ominini erano attive tra Europa e Asia. A ovest vivevano soprattutto i Neanderthal, mentre a est i denisoviani. Man mano che gli Homo sapiens migrarono sempre più numerosi dall’Africa, si incrociarono con i Neanderthal e i denisoviani, ereditando parte del loro materiale genetico.

In poco meno di 30 anni, Svante Pääbo ha avuto un’enorme influenza nella storia dell’evoluzione umana ed è considerato il fondatore di una nuova disciplina: la paleogenomica. Dopo i primi studi, il suo gruppo di ricerca è riuscito ad analizzare il genoma di altri ominini ormai estinti. Le analisi e le tecniche sviluppate da Pääbo saranno essenziali nei prossimi anni, anche per confermare o smentire le ipotesi su ulteriori incroci avvenuti in Africa, prima delle grandi migrazioni della nostra specie.

Svante Pääbo è nato nel 1955 a Stoccolma e ha conseguito un dottorato di ricerca nel 1986 all’Università di Uppsala. Ha lavorato in numerose università e centri di ricerca e nel 1999 ha fondato l’Istituto di antropologia evolutiva del Max Planck di Lipsia, in Germania.