La discussa deroga al tetto degli stipendi dei manager pubblici

Sta in un emendamento del decreto legge “Aiuti bis” da poco approvato al Senato, ma sarà presto tolta, allungando però i tempi per la conversione in legge del decreto

(ANSA/ANGELO CARCONI)
(ANSA/ANGELO CARCONI)
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Martedì il Senato ha approvato la conversione in legge del cosiddetto decreto legge “Aiuti bis”, per il quale sono stati stanziati 17 miliardi di euro e che tra le altre cose contiene un emendamento fatto per introdurre una deroga al tetto degli stipendi dei manager pubblici, che esiste dal 2014 ed è di 240mila euro lordi all’anno. Dopo le critiche ricevute da molti partiti e dopo che, secondo vari giornali, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha espresso ”disappunto” e “irritazione”, la deroga al tetto degli stipendi sarà eliminata, di fatto senza entrare quindi mai in vigore. Nelle ultime ore si è comunque discusso molto su come sia finita nel decreto, a quanto pare all’insaputa dei più, e su come si agirà per toglierla.

Il tetto degli stipendi dei manager pubblici fu introdotto nel 2014 dal governo guidato da Matteo Renzi, ma di qualcosa di simile si parlò già nel 2011 in relazione al “decreto Salva Italia” del governo guidato da Mario Monti. Come ha ricordato il Corriere della Sera, nei 240mila euro lordi sono inclusi anche i cosiddetti “trattamenti accessori”, «quelle voci cioè che si aggiungono allo stipendio base e che sono spesso la parte più consistente delle retribuzioni delle alte cariche dell’amministrazione pubblica».

L’emendamento del decreto “Aiuti bis” – che in attesa di essere rimosso ne fa al momento ancora parte – prevede una deroga al tetto degli stipendi per i capi delle forze armate (tra gli altri il capo della polizia, il comandante generale dei Carabinieri, il comandante della Guardia di Finanza), per i capi dipartimento dei ministeri e per il segretario generale della presidenza del Consiglio.

Il disappunto e l’irritazione di Draghi citata da molti giornali sarebbero conseguenti al fatto che, stando a quanto raccontato, l’emendamento sarebbe stato modificato senza informarne il governo né, pare, i parlamentari che l’hanno votato. In particolare, molti hanno evidenziato l’inopportunità di far passare questo emendamento in questo modo, peraltro in un momento di crisi e instabilità generale.

Il Sole 24 Ore ha scritto inoltre che «a quanto si dice dal Quirinale» la deroga al tetto degli stipendi dei manager pubblici sarebbe stata anche «giudicata inopportuna» dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Contro l’emendamento – contenuto nell’articolo 41 bis – si sono apertamente espressi anche molti partiti, i cui esponenti hanno parlato di un errore o quantomeno di un fraintendimento. Enrico Letta, segretario del Partito Democratico, ne ha parlato come di «un guaio assoluto e totale» e ha aggiunto: «lo cambieremo, andrà cambiato». Contro l’emendamento si sono espressi, tra gli altri, anche il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, e il presidente del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte.

Addirittura, contro l’emendamento si è espresso anche Marco Perosino, settantenne senatore di Forza Italia che è colui che lo ha presentato. Intervistato dal Corriere della Sera, Perosino ha detto: «non chiamatelo emendamento Perosino. Io non c’entro nulla. Non è mio». Perosino ha aggiunto che lui ne aveva firmato, e poi ritirato, uno diverso, che riguardava «solo l’equiparazione dei vertici delle forze di polizia al comandante generale della Guardia di finanza», e che poi però l’emendamento è «riapparso misteriosamente» ed è «passato in maniera subdola».

Dopo essere stato approvato al Senato, per essere convertito in legge il decreto “Aiuti bis” – che era stato approvato dal governo a inizio agosto – dovrà essere approvato anche dalla Camera: c’è tempo fino all’8 ottobre, ma l’approvazione definitiva dovrebbe arrivare già la settimana prossima. I tempi sono particolarmente stretti anche perché il governo è intenzionato ad approvare un altro pacchetto di aiuti prima della fine della legislatura, il cosiddetto “decreto Aiuti Ter”.

Per quanto riguarda i modi con cui la deroga verrà tolta, lasciando quindi intatto e invariato per tutti i manager pubblici il tetto degli stipendi, il Sole 24 Ore ha scritto che domani, giovedì 15 settembre, sarà votato alla Camera un emendamento che rimetterà il tetto in questione (e quindi abolirà la deroga) e che poi, essendo stato cambiato, il decreto “Aiuti bis” tornerà di nuovo in Senato il 20 settembre, quindi pochi giorni prima delle elezioni e di conseguenza «con tutte le incognite del caso».