È sempre più probabile un tetto al prezzo del gas russo

Lo ha proposto la Commissione Europea in un nuovo piano contro la crisi energetica, e la Russia ha già annunciato ritorsioni

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (AP Photo/Virginia Mayo)
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (AP Photo/Virginia Mayo)
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Mercoledì in conferenza stampa la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha illustrato le linee generali di un nuovo piano europeo per affrontare la crisi energetica, che contiene tra le altre cose l’introduzione di un tetto al prezzo del gas russo. È una misura di cui si discute da mesi, ma sulla quale ancora non ci sono molti dettagli: sarà in ogni caso piuttosto complicato metterla in pratica.

La conferma di alcune ipotesi su questo piano europeo è arrivata nel giorno in cui si sono riuniti i rappresentanti diplomatici degli stati membri per preparare la riunione dei ministri dell’Energia europei di venerdì 9 settembre, che discuteranno i provvedimenti da adottare a breve. Se in questi incontri ci sarà un accordo, è probabile che Von der Leyen presenterà il piano con i suoi dettagli operativi già la prossima settimana.

Il presidente russo Vladimir Putin, in ogni caso, ha già annunciato ritorsioni: in un discorso all’Eastern Economic Forum a Vladivostok ha detto che la Russia non fornirà più petrolio e gas ai paesi occidentali che imporranno uno «stupido» limite di prezzo all’energia russa, chiamato anche price cap. «Non consegneremo nulla se è contrario ai nostri interessi, in questo caso economici. Né gas, né petrolio, né carbone. Niente», ha detto Putin.

La dipendenza dell’Unione Europea dal gas russo si è tuttavia molto ridotta in questi mesi, grazie al potenziamento di forniture alternative, come per esempio quelle provenienti da Stati Uniti, Norvegia, Algeria e Azerbaijan. Prima della guerra, l’Unione Europea comprava il 40 per cento del suo gas importato dalla Russia, ma ora questa quota è scesa al 9 per cento (anche l’Italia ne importa sempre meno). Nel suo discorso Von der Leyen ha ricordato come la Norvegia sia diventata il primo fornitore di gas dell’Unione Europea, sorpassando così la Russia.

Cosa si sa finora di questo piano
Dal discorso della presidente della Commissione europea sono emerse cinque principali linee di azione, seppur molto generiche e senza particolari dettagli tecnici.

La prima prevede un risparmio nell’uso dell’elettricità, soprattutto nelle ore di punta. La Commissione proporrà un obiettivo vincolante di riduzione dei consumi elettrici, che peraltro si aggiungerebbe al risparmio nei consumi di gas del 15 per cento che i paesi membri si erano impegnati a ottenere. Il governo italiano ha già pubblicato i dettagli su come intende raggiungere questa soglia.

La seconda propone di limitare i profitti delle compagnie che producono elettricità con fonti alternative al gas, che quindi stanno guadagnando molto dal momento che il prezzo dell’elettricità è legato al gas, che a sua volta è la fonte al momento più costosa. Questi profitti extra dovrebbero essere girati ai governi, probabilmente con una sorta di tassa: secondo il Financial Times il prezzo limite dell’elettricità oltre cui a queste aziende potrebbe essere imposto un prelievo è di 200 euro al megawattora. Attualmente in Italia il prezzo medio dell’elettricità è di oltre 500 euro al megawattora.

La terza linea d’azione ricalca questo meccanismo per le società che trattano gas e petrolio, che ugualmente hanno beneficiato di profitti inattesi per i quali potrebbero essere tassate.

Gli stati membri dovrebbero usare i proventi di queste tasse per ridurre il costo dell’energia per le famiglie più vulnerabili e le aziende energivore.

La quarta linea di intervento prevede garanzie pubbliche a sostegno delle imprese fornitrici di energia, che stanno acquistando il gas a prezzi altissimi e che devono versare ai mercati finanziari grosse quantità di denaro per coprire le loro posizioni.

Infine, il quinto provvedimento sarebbe di imporre un tetto al prezzo del gas, in particolare al gas proveniente dalla Russia tramite gasdotto, in modo da ridurre i grossi ricavi che ottiene vendendolo a prezzi così alti. Il Centro di ricerca per l’energia e l’aria pulita (CREA), un’organizzazione finlandese, ha stimato che dall’inizio della guerra la Russia abbia guadagnato 158 miliardi di dollari dalla vendita di combustibili fossili, di cui 85 pagati dalla sola Unione Europea.

L’obiettivo di un tetto al prezzo del gas russo sarebbe doppio. Innanzitutto agirebbe come una sanzione contro la Russia, che vedrebbe erosi i propri incassi dalle esportazioni di gas: non solo riceverebbe meno fondi, ma anche meno valuta internazionale con cui continuare a finanziare i costi della guerra in Ucraina. E poi garantirebbe l’acquisto della materia prima a un prezzo più basso di quello attuale, cosa che potrebbe ridurre la spesa per energia di famiglie e imprese. Avrebbe quindi anche un effetto benefico sull’inflazione, ossia l’aumento generale del livello dei prezzi che nell’Unione Europea è causato in larga parte dall’aumento dei costi energetici.

Il prezzo del gas è su livelli molto alti: in queste settimane ha raggiunto anche i 340 euro al megawattora, quasi dieci volte il prezzo di un anno fa.

Come funzionerebbe un tetto al prezzo del gas russo
È una proposta che circola da mesi e che è stata promossa in ambito europeo soprattutto dal presidente del Consiglio Mario Draghi. Prevede in pratica di stabilire una cifra massima, più bassa dei prezzi attuali, che possa fare risparmiare i paesi europei ma che rimanga comunque conveniente alla Russia perché decida di accettarlo.

Finora la proposta non è mai stata considerata sul serio per via di alcune difficoltà tecniche su come applicarla concretamente e per i timori di alcuni paesi, su tutti la Germania, che la Russia per ritorsione possa interrompere del tutto o quasi la fornitura di gas, causando enormi problemi all’economia europea e tedesca.

I dettagli operativi saranno determinanti per capire le probabilità di successo. Non si sa ancora quale sarà il prezzo fissato e non si sa se la Russia lo accetterà. L’Unione Europea, poi, non si pone come acquirente unico di gas e con una posizione di vantaggio da sfruttare: i contratti di fornitura sono stipulati con i singoli paesi membri. Per imporre un prezzo unico la Commissione europea dovrebbe trovare il modo di rivolgersi alla Russia come unico compratore di gas, scommettendo sul fatto che la Russia non riuscirà nel breve termine a trovarne un altro. La vendita di gas, infatti, richiede infrastrutture e gasdotti che non si possono costruire da un giorno a un altro.

Non è però chiaro in che modo gli utenti finali possano avvantaggiarsi di questo risparmio all’ingrosso. Sembrerebbe infatti naturale immaginare che gli importatori dalla Russia che acquistassero il gas al prezzo ridotto trasferiscano a loro volta lo sconto direttamente in bolletta, ma la Commissione dovrebbe individuare delle misure per assicurarsi che questo avvenga.

È una misura fattibile?
Rispetto a qualche mese fa, quando fu proposto per la prima volta un limite di prezzo da Draghi, le cose sono molto diverse perché l’Unione Europea è molto meno dipendente dal gas russo e gli stoccaggi, ossia le scorte per l’inverno, sono a buon punto. E poi la Russia ha di fatto già interrotto a tempo indefinito il flusso tramite il gasdotto Nord Stream 1, con la scusa un po’ sospetta di operazioni di manutenzione che non riesce a eseguire a causa delle sanzioni.

Proprio perché hanno molto meno da perdere i governi europei sembrano ora più convinti dell’utilità di questo provvedimento, forse spinti anche dall’urgenza di trovare una soluzione in vista dell’inverno.

La proposta per il momento sembra riguardare solo il gas proveniente dalla Russia, anche perché la Commissione nella sua proposta fa notare come l’Unione Europea abbia potenziato da pochi mesi le relazioni con gli altri fornitori di gas, sia tramite gasdotto che tramite nave sotto forma di gas naturale liquefatto. Non solo potrebbero non accettare un prezzo al di sotto di quello di mercato, ma potrebbero anche inviare i loro flussi altrove, mettendo così a rischio la diversificazione dei fornitori su cui l’Unione Europea e i paesi membri hanno lavorato per mesi.