Il New York Times ha dato consigli per fare di tutto

Per anni li ha dispensati in una rubrica che ha spiegato come dire una barzelletta o come scappare da un edificio in fiamme

Illustrazioni di Radio, New York Times Magazine
Illustrazioni di Radio, New York Times Magazine
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Negli ultimi sette anni, quasi ogni settimana, la redattrice del New York Times Magazine Malia Wollan ha contattato centinaia di esperti dei campi più disparati per farsi spiegare come fare qualcosa. Wollan infatti è stata la curatrice della rubrica del supplemento settimanale del New York Times dedicata a dare consigli su come fare un po’ di tutto: dalle indicazioni per portare a termine compiti pratici piuttosto comuni, come rammendare un paio di jeans, ai suggerimenti per affrontare situazioni più complesse, come scusarsi con un bambino o cavarsela con le correnti in mare.

Per scrivere oltre 300 articoli di consigli (che si trovano tutti qui) Wollan ha intervistato medici, astronauti e scienziati, ma anche un boy scout che è sopravvissuto a uno tsunami e una tredicenne che ha condiviso le sue dritte su come vendere la limonata fatta in casa. Oltre a spiegare come aprire una cassaforte, come progettare una pista ciclabile o come fare il solletico a qualcuno grazie all’aiuto di chi se ne intende, Wollan ha anche dato qualche spunto su come dire arrivederci, visto che qualche settimana fa, dopo sette anni, la rubrica è stata interrotta.

Come ricordarsi i nomi delle persone
È una situazione in cui è molto facile capitare sia nelle occasioni di lavoro che nella vita privata, con un elevato rischio di fare gaffe. In questo caso, per prima cosa, è necessario concentrarsi: «il tuo cervello deve essere come una fotocamera», ha detto a Wollan Indira Pen, responsabile dei concierge dell’hotel Mandarin Oriental di Hong Kong. Poi bisogna ascoltare attentamente il nome della persona che abbiamo di fronte e «scattare una fotografia mentale», tenendo bene a mente una caratteristica che la contraddistingue, come un neo particolare o il suo modo di camminare.

Durante la prima interazione è utile usare due o tre volte il suo nome: se è troppo difficile da ricordare perché troppo lungo o straniero è meglio chiedere aiuto alla persona stessa. Secondo Pen è meglio venire corretti che non pronunciarlo del tutto.

Come smettere di mangiarsi le unghie
Per Tara S. Peris, professoressa associata di Psichiatria e Scienze comportamentali all’Università della California di Los Angeles, il trucco è «imparare a resistere alla necessità di farlo». Spesso mangiarsi le unghie (onicofagia) è una forma di autoconsolazione, ma viene considerato un disturbo che può essere anche dannoso.

Peris ha detto a Wollan che prima di tutto bisogna essere consapevoli del proprio comportamento: per questa ragione è utile tenere un diario in cui scrivere se ci si mangia le unghie in un certo luogo, in un certo momento o in risposta a una certa situazione, per tenere nota delle sensazioni che si percepiscono quando lo si fa. Dopodiché va trovata una cosa alternativa da fare ogni volta che si avverte lo stimolo di mangiarsele, per esempio stringere le mani e tenerle unite per un minuto.

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Come mettersi in posa per una fotografia
Come ha spiegato il fotografo di New York Peter Hurley, i ritratti migliori sono quelli in cui la mandibola appare ben definita. Parlando con Wollan, Hurley suggerisce di trovare una posizione comoda e immaginare di dover allungare il proprio corpo verso l’alto: poi si deve abbassare leggermente il capo, portando la fronte e il mento verso la macchina fotografica, e inclinarlo leggermente verso il nostro «lato migliore», che si può scoprire facendo delle prove con tre selfie: uno col volto rivolto all’obiettivo e gli altri ruotandolo un po’ verso sinistra e un po’ a destra.

Meglio non aprire troppo gli occhi per evitare di avere un’espressione vuota e non dire “cheese” o aprire la bocca per simulare un sorriso, a meno che non si sia davvero ridendo. Se tutto questo sembra difficile si può immaginare che dall’altra parte dell’obiettivo ci sia una persona cara. Aiuta anche fare pratica con uno specchio.

Come salvare un gatto da un albero
Per capire qual è il modo ideale per farlo Wollan ha interpellato l’arborista Dan Kraus, esperto della gestione e della cura degli alberi che ha soccorso più di mille gatti che per un motivo o per l’altro erano finiti in quella situazione. Innanzitutto Kraus suggerisce di dare agli animali almeno 24 ore per provare a scendere da soli, prima di intervenire: quando si decide di farlo, è bene indossare un caschetto di protezione, un’imbracatura e un paio di scarpe adatte per arrampicarsi in sicurezza, facendo passare una corda sopra un ramo sufficientemente solido, oppure usandone due da far girare attorno al tronco.

Kraus spiega che è meglio salire piano per evitare di spaventare il gatto ed evitare di urlare e provocare rumori improvvisi, per esempio spezzando i rami. Dal momento che nella sua esperienza un gatto su 15 prova a saltare giù dall’albero piuttosto che essere soccorso, può essere utile che ci sia un’altra persona a terra pronta a prenderlo oppure portare con sé un po’ di cibo per attirarlo. Kraus dice anche che dopo aver trascorso ore o giorni senza cibo e acqua, magari sotto la pioggia, l’animale potrebbe essere intimorito o più aggressivo: in questo caso quando lo si avvicina è meglio prenderlo per la collottola, come farebbe la madre, per farlo stare fermo.

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Come dire una barzelletta
Lo stand-up comedian Hari Kondabolu sostiene che il pubblico non debba poter prevedere dove va a finire una battuta: insomma, è essenziale creare l’effetto sorpresa.

Secondo Kondabolu le battute che cominciano con «la vuoi sentire una barzelletta?», di quelle che magari leggiamo o sentiamo in giro, non sono quasi mai divertenti: meglio quindi lavorare su materiale originale e provare e riprovare una battuta anche per settimane, cambiandola leggermente per capire quali sono le parole migliori da usare e qual è il ritmo ideale con cui pronunciarle. Per Kondabolu le battute dovrebbero essere dette in modo spontaneo, come se venissero «inventate sul momento». Non conviene inoltre diventare nervosi o accelerare se il pubblico non ride da un po’: «il silenzio è la parte più difficile», ma si deve cercare di non averne paura.

Come scappare da un edificio in fiamme
La maggior parte delle morti provocate dagli incendi non avviene a causa delle fiamme, ma per l’inalazione di gas tossici, osserva Wollan. Per questo se capita di trovarsi in mezzo a un incendio bisogna ricordarsi di evitare il fumo e di abbassarsi il più possibile – il fumo essendo caldo va verso l’alto – per respirare l’aria più pulita, strisciando poi verso un’uscita di sicurezza. A questo proposito, bisognerebbe imparare a conoscere le uscite di sicurezza dei luoghi che frequentiamo più spesso e, qualora si sviluppi un incendio, non muoversi in direzione del tetto ma verso la strada.

Come ha ricordato Margrethe Kobes, ricercatrice all’Istituto per la sicurezza dei Paesi Bassi, dove studia come la psicologia e il modo in cui sono progettati gli edifici influiscono sul nostro comportamento durante gli incendi, non è mai una buona idea metterci troppo tempo a vestirsi e prepararsi per scappare: non è una buona idea nemmeno ripararsi nel bagno, perché rimanerci intrappolati è una possibilità concreta.

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Come chiedere aiuto a una persona che non si conosce
Per uno dei suoi ultimi consigli Wollan si è rivolta a Vanessa Bohns, professoressa di Psicologia sociale della Cornell University, esperta dello studio del comportamento delle persone nei contesti di organizzazione. Chiedere aiuto a qualcuno che non si conosce «ci sembra un rischio sociale», ha spiegato Bohns, ma a livello generale le persone sono felici di poter dare una mano, anche per togliersi dall’imbarazzo di rifiutare. Per avere successo comunque è utile seguire alcuni suggerimenti.

È meglio che la richiesta sia semplice e diretta e non bisogna scusarsi troppo o perdersi in troppe spiegazioni, ha detto Bohns, ed è più indicato far capire che serve aiuto piuttosto che dirlo esplicitamente. Se una persona si rifiuta di dare aiuto infine è meglio chiedere a qualcun altro piuttosto che insistere.

Come parlare con qualcuno che ha l’Alzheimer
Per capire come rapportarsi con una persona che soffre della forma più comune di demenza degenerativa Wollan ha interpellato Ruth Drew, ex consulente del reparto psichiatrico di un ospedale geriatrico e attuale direttrice della linea telefonica di assistenza della Alzheimer’s Association, dedicata ai familiari delle persone malate di Alzheimer. Drew ha spiegato che in queste situazioni si deve «lasciare da parte tutto quello che si sa sulla logica e sulle capacità di persuasione» ed essere pazienti, calmi e gentili: non si può prevedere come la malattia trasformerà la persona che conosciamo.

È bene avvicinarsi alla persona che soffre di Alzheimer da davanti e, se non ci riconosce, dire il nostro nome. Visto che la malattia rallenta le funzioni cognitive, il modo migliore per comunicare è mettersi al livello degli occhi della persona, scandire bene le parole e usare di più i gesti: anziché chiedere con una frase intera se vuole del caffè, per esempio, è meglio metterle due tazze di caffè davanti, indicare la sedia vuota e dire soltanto “caffè?”. Una delle cose che Drew suggerisce ai familiari delle persone malate è provare a stabilire un legame senza fare troppo affidamento sull’uso della parola: stringendo le loro mani, facendo suonare la loro canzone preferita, portandole all’aria aperta.