Non sarà un’estate facile per il turismo intorno alla Marmolada

Le disdette seguite alla morte di 11 persone preoccupano gli albergatori di un territorio che ha già vissuto tre anni complicati

(AP Photo/Luca Bruno)
(AP Photo/Luca Bruno)
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Da domenica 3 luglio, quando undici persone sono morte in seguito al crollo di un’enorme porzione del ghiacciaio della Marmolada, al rifugio Cima Undici sono arrivati pochi appassionati di montagna, molti meno rispetto allo scorso anno. Il rifugio si trova accanto al lago Fedaia, sul versante Nord del massiccio della Marmolada, vicino al parcheggio dove molti degli escursionisti coinvolti nell’incidente avevano lasciato l’auto. Ermanno Lorenz, che lo gestisce da decenni, dice che la paura è comprensibile, ma spera che le conseguenze dell’incidente non compromettano l’intera stagione turistica: «Anche se qui il problema non esiste perché siamo a tre chilometri di distanza, la paura c’è. Speriamo che tutto si rimetta nuovamente in moto».

Negli ultimi giorni molti altri rifugisti, albergatori e ristoratori hanno ricevuto molte disdette. I segnali, per ora, non sono incoraggianti.

Nel momento in cui l’enorme blocco del ghiacciaio si è staccato, trascinando con sé una valanga di ghiaccio e detriti, sui sentieri della Marmolada e delle montagne vicine c’erano decine di escursionisti, alpinisti e ciclisti che hanno documentato l’incidente con i loro smartphone.

La stagione turistica era iniziata da poche settimane: secondo molti albergatori, fino all’inizio di luglio i numeri erano decisamente migliori rispetto agli ultimi tre anni. Nel 2018 la distruzione di migliaia di ettari di boschi a causa della tempesta Vaia e negli ultimi due anni le misure restrittive dovute alla pandemia avevano ridotto gli arrivi, i pernottamenti e quindi gli affari. Il rischio, secondo molti albergatori, è che la tragedia possa avere conseguenze in un territorio molto vasto, anche in zone lontane dal massiccio, dove i sentieri sono aperti.

Le chiusure dei sentieri riguardano i punti di accesso al ghiacciaio, sul versante della Marmolada in provincia di Trento. Il sindaco di Canazei, Giovanni Bernard, ha firmato un’ordinanza che blocca il passaggio in cinque punti: dal sentiero E618-E619, dal rifugio Dolomia, dal piazzale Cima Undici, da forcella Marmolada e dalla pista da sci chiamata “Sass de Mul – Fedaia”.

Oltre che per bloccare l’accesso alla parte alta della montagna al fine di garantire la sicurezza degli escursionisti, i cartelli di divieto sono stati messi per impedire il cosiddetto “turismo dell’orrore”, cioè l’arrivo di persone che visitano i luoghi dove ci sono state tragedie. «Salire è pericoloso», ha detto il sindaco di Canazei, Giovanni Bernard. «La montagna è chiusa e prima di ipotizzare riaperture in sicurezza dovremo avere a disposizione studi da parte di esperti. È chiaro che parliamo di una data che oggi non possiamo nemmeno pensare di mettere nel calendario».

La comunicazione delle chiusure e la percezione di un rischio diffuso sulla Marmolada sono state il motivo delle disdette, che hanno interessato soprattutto le valli e i paesi in provincia di Belluno, dove i sentieri sono aperti e non ci sono divieti.

Walter De Cassan, presidente di Federalberghi della provincia di Belluno, dice che molti colleghi hanno segnalato la cancellazione di prenotazioni e un calo generale delle richieste, secondo lui a causa di un eccessivo allarmismo da parte dei mezzi di informazione. Le preoccupazioni riguardano soprattutto la val Pettorina, che porta al passo Fedaia. «La gente pensa che sia tutto chiuso, che la funivia sia chiusa», spiega De Cassan. «I sentieri della zona veneta, invece, sono tutti aperti e percorribili. L’unica cosa chiusa è il ghiacciaio. Si sta facendo la solita mala comunicazione. La stagione non va avanti come se nulla fosse accaduto: pretendiamo il rispetto per le persone morte. Se la gente viene a vedere solo il luogo della tragedia allora è meglio che stia a casa».

Maurizio De Cassan, titolare dell’Hotel Tyrolia di Malga Ciapela, già sindaco di Rocca Pietore e oggi consigliere di minoranza, ha detto al Gazzettino che negli ultimi anni gli albergatori del bellunese si sono impegnati moltissimo per promuovere il territorio.

A differenza di Canazei, la cui promozione turistica è legata principalmente alla Val di Fassa, in Veneto si è puntato moltissimo sulla Marmolada. Gli sforzi comunicativi rischiano di essere stati inutili, se l’allarmismo continuerà: «ora per un fatto che non ci riguarda, se non da un punto di vista emotivo, stiamo rischiando un’altra volta la stagione turistica estiva. Nel bel pieno della stagione ci troviamo ad affrontare una situazione molto preoccupante con disdette che piovono quasi ogni giorno e telefoni muti di nessun turista che chiama neanche per chiedere informazioni».

Il nastro che blocca il passaggio verso uno dei sentieri che portano al ghiacciaio della Marmolada (AP Photo/Luca Bruno)

L’incidente ha incoraggiato reazioni e dibattiti che non riguardano soltanto le conseguenze economiche, ma anche la necessità di frequentare la montagna con attenzione e rispetto, soprattutto per via dei cambiamenti climatici che stanno trasformando questi luoghi.

Diversi studi sul clima stimano che il progressivo aumento della temperatura media globale porterà alla scomparsa della maggior parte dei ghiacciai alpini che si trovano al di sotto dei 3.600 metri di altitudine entro la fine del secolo. Tra questi c’è anche quello della Marmolada. Serve quindi trovare un equilibrio tra l’attenuazione dei rischi e il mantenimento delle attività economiche che negli ultimi decenni si sono sviluppate grazie alla montagna.

– Leggi anche: Il crollo sulla Marmolada, secondo la prima ricostruzione scientifica

Andrea Zanotti, editorialista del Corriere del Veneto, ha scritto che le riflessioni devono riguardare le regole di sicurezza o di attenzione, ma anche il rapporto che oggi lega le persone alla natura. «Noi siamo da tempo fuori dal suo regno e dominio: non essendo disposti ad ammetterlo, preferiamo affidarci alla cattiva coscienza», scrive Zanotti, secondo cui ci si lamenta dei cambiamenti climatici ma non si modificano le abitudini e si continua ad approcciare la montagna con un turismo «feroce e miope», a piedi, con le bici normali o assistite, in quad e in moto: «Bisogna far conoscere e frequentare anche le montagne e le valli meno note che custodiscono tesori non meno importanti, preparando la gente ed educandola ad un comportamento adeguato, imponendo limiti e, se necessario, contingentando anche agli accessi».