Milano ha un problema di sicurezza?

Le statistiche indicano una netta diminuzione dei reati, ma molti cittadini – tra cui Chiara Ferragni – hanno una percezione diversa

La polizia in via Bolla, a Milano, nel quartiere Gallaratese, dove il 10 giugno ci sono stati scontri tra gruppi di residenti abusivi
(ANSA/ US/ POLIZIA)
La polizia in via Bolla, a Milano, nel quartiere Gallaratese, dove il 10 giugno ci sono stati scontri tra gruppi di residenti abusivi (ANSA/ US/ POLIZIA)

Mercoledì un post pubblicato su Instagram dall’influencer Chiara Ferragni a proposito della presunta mancanza di sicurezza a Milano ha provocato molte reazioni e polemiche, anche tra politici nazionali e locali. Riferendosi più che altro a una percezione, quindi senza presentare dati in sostegno della propria tesi, Ferragni ha scritto di essere «angosciata e amareggiata dalla violenza che continua a esserci» in città, e ha aggiunto: «Ogni giorno ho conoscenti e cari che vengono rapinati in casa, piccoli negozi al dettaglio di quartiere che vengono svuotati dell’incasso giornaliero, persone fermate per strada con armi e derubate di tutto. La situazione è fuori controllo. Per noi e i nostri figli abbiamo bisogno di fare qualcosa. Mi appello al nostro sindaco Beppe Sala».

Il post è stato ripreso da alcuni giornali conservatori (il Giornale e Libero, per esempio), e da alcuni politici, tra cui Matteo Salvini, leader della Lega. Le critiche sono state rivolte per lo più al sindaco Beppe Sala, che guida un’amministrazione di centrosinistra e governa in città dal 2016. Sono molto in linea con quelle che la destra milanese rivolge a Sala da anni: cioè di minimizzare e trascurare i presunti problemi della sicurezza in città. Lo stesso Sala ha poi commentato il post di Ferragni, dicendo di non voler rispondere: «Le mie risposte sono sempre attraverso il lavoro. Lavoreremo ancora di più. Non condivido quello che lei dice, è un’opinione. Ma capisco che sia un tema delicato e che c’è una sensibilità della città».

Stando a quanto dicono i dati ufficiali, i reati in città non sembrano essere aumentati negli ultimi anni, anzi.

Secondo le cifre fornite dal prefetto di Milano, Renato Saccone, negli ultimi tre anni il numero totale dei delitti registrati nel territorio cittadino è molto diminuito. Nel 2021 sono stati denunciati 116.970 reati; nel 2019 erano 137.709, mentre nel 2011 addirittura 164.569 (i dati del 2020 non sono paragonabili a causa delle restrizioni per la pandemia). Il calo è stato di quasi il 15% rispetto al 2019 e del 29% rispetto a dieci anni fa. Nel 2021 ci sono stati sette omicidi volontari (erano stati otto nel 2019, furono 17 nel 2014), 1.828 lesioni dolose (-30% rispetto a dieci anni fa), 63.287 furti, in calo di 38mila rispetto al 2011.

A inizio luglio il questore di Milano, Giuseppe Petronzi, ha fatto un bilancio dei primi sei mesi del 2022 relativi alla questione della sicurezza, e riferendosi a una tendenza generale ha detto: «I reati sono sempre meno, ma sempre troppi».

Secondo Petronzi, il fatto è che i reati sarebbero diventati nel frattempo “più visibili”: «Tra aspettativa di sicurezza e percezione si sta generando un sentiment che vive anche di un effetto “rimbalzo” attraverso i social, ma è comprensibile». In pratica, ha detto Petronzi, le immagini e i video di violenze diffusi e condivisi in particolare sui social network amplificano fenomeni che esistono, ma che allo stesso tempo rischiano di dare un’immagine di Milano che non è quella reale.

L’esempio più concreto è quello di ciò che avvenne nella notte tra 31 dicembre e 1° gennaio in piazza Duomo, quando diverse ragazze vennero accerchiate e subirono molestie e abusi.

I video pubblicati sui social network diedero l’idea di una zona appunto “fuori controllo” in cui per alcune ore comandarono gruppi di ragazzi, molti dei quali giovanissimi. Probabilmente quella sera ci fu una sottovalutazione dei rischi che un grande assembramento in centro a Milano, nella notte di Capodanno, avrebbe potuto comportare. Allo stesso tempo non ci fu nemmeno una capacità di reazione rapida da parte delle forze di polizia (poi, comunque, nei giorni e nelle settimane successive i presunti autori di quelle molestie furono fermati e ora sono stati formalmente accusati).

Un altro elemento che potrebbe avere amplificato la percezione della mancanza di sicurezza a Milano è l’aumento di alcuni reati più “visibili” e che incidono di più sulla percezione di insicurezza delle singole persone.

Nel biennio 2019-2021 le rapine totali sono infatti passate da 2.259 a 2.587; le rapine in strada sono aumentate del 14%, e sono aumentati anche i furti con strappo (1.498 in totale): si tratta del reato previsto dall’articolo 624 bis del codice penale, commesso da “chi si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, strappandola di mano o di dosso alla persona”. Lo stesso è successo con le violenze sessuali denunciate, che sono state 285, 18 in più rispetto al 2019.

Mario Furlan, fondatore dell’associazione di volontariato milanese dei City Angels, dice che «Milano, mediamente, è più sicura di Roma, è più sicura di Napoli, e non credo sia una nuova Gotham City. È una grande città con i problemi di una grande città. Oggi il problema che è esploso di più dopo la pandemia è quello delle baby gang, ma se ne parla anche molto perché le immagini sono estremamente veicolabili e accessibili a tutti».

Essendo una grande città, Milano ha naturalmente diversi problemi di sicurezza e la sempre maggiore influenza delle cosiddette “baby gang” è una cosa che ritorna in diverse cronache, anche se difficilmente può essere corroborata da dati concreti.

Ogni settimana i siti di news pubblicano video che documentano risse in piazza dei Mercanti, a pochi metri da piazza Duomo, dove il fine settimana si danno appuntamento gruppi di ragazzi, soprattutto di origine nordafricana, di seconda o terza generazione, molto giovani e antagonisti tra loro. Da mesi Roberto Cenati, presidente provinciale dell’Anpi, l’Associazione nazionale partigiani d’Italia, denuncia che nella piazza, dove si trova il memoriale dei caduti milanesi per la libertà, si ripetono atti vandalici.

Le cronache raccontano spesso che cosa avviene nel cosiddetto quadrilatero di San Siro, attorno a piazza Selinunte, nei grandi caseggiati delle case popolari gestite da Regione Lombardia tramite la società ALER, moltissimi dei quali sono occupati. Ebbe molta risonanza a marzo la storia del portinaio inviato in un condominio di via Zamagna che raccontò di essere stato subito aggredito da un gruppo di ragazzini di 16-17 anni. Disse: «Sono stato preso a bottigliate senza alcun motivo. Ho rischiato la vita per 7 euro l’ora, senza aver fatto torti a nessuno». Si è parlato anche delle risse in via Bolla, al quartiere Gallaratese (nordovest della città), dove a giugno si sono affrontati in strada gruppi diversi di occupanti abusivi di un altro complesso ALER.

Presentando i dati sulla sicurezza a Milano, il prefetto Saccone ha parlato di «percezione di sicurezza» diminuita proprio a causa delle azioni delle bande giovanili: «Una criticità che non è solo milanese, e nemmeno delle grandi città. Ci sono frange giovanili fuori controllo: loro, però, non la città. Queste frange giovanili sono fluide, tendono ad affermare il loro protagonismo con prepotenza e crescente violenza, noi dobbiamo bloccare questa escalation». Il prefetto ha anche parlato di un sempre maggiore utilizzo da parte di questi ragazzi di “armi bianche”.

Il fenomeno delle cosiddette “baby gang”, bande giovanili, è quello che più viene sottolineato da chi descrive Milano come città non sicura e fuori controllo. Simone Feder, psicologo della comunità Casa del Giovane, dice al Post: «Quindici anni fa incontravo ragazzi che facevano parte delle gang dei latinos. Erano strutturati, avevano codici, regole. Ora la situazione è del tutto cambiata, non si può parlare di gang. Sono gruppi di ragazzi che si uniscono spontaneamente, senza codici e regole, alla ricerca di visibilità sui social. Spesso non si rendono nemmeno conto che certe loro azioni si configurano come reati, lo capiscono solo quando arrivano in tribunale».

Un concetto simile è stato espresso in un’intervista da don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria e responsabile della comunità Kayros: «Oggi abbiamo a che fare con ragazzini di 14-15 anni che non organizzano condotte delittuose. Sono gruppi spontanei, non associazioni, che si danno appuntamento sui social, si incontrano e in maniera improvvisata mettono in atto rapine o altri reati. I soldi servono soprattutto all’acquisto di abiti e a permettersi un certo stile di vita. Di nuovo c’è l’esibizionismo sui social: i giovanissimi emulano condotte devianti per conquistare follower».

«Droghe e alcool, fanno da amplificatore», continua Feder, secondo cui «molto fa anche la musica: sembrerà banale, ma i testi delle loro canzoni trap sono vere dichiarazioni di collera. Sono ragazzi a cui nessuno ha mai impedito nulla, che non hanno introiettato regole». La presunta causalità tra i testi della musica hip hop e trap, spesso ricchi di riferimenti al disagio vissuto nei quartieri più poveri e alle violenze che può comportare, emerge ciclicamente da decenni – fin da quando negli Stati Uniti nacque il “gangsta rap”, alla fine degli anni Ottanta – ma è in realtà una tesi controversa e contestata. In molti sostengono che siano piuttosto le condizioni di vita difficili dei giovani provenienti da contesti poveri a tradursi nei testi violenti ed espliciti dei rapper, e non viceversa.

Una casa nel quadrilatero di San Siro (Foto Il Post)

Uno dei problemi principali è che a Milano, come in quasi tutte le metropoli del mondo, esistono da anni zone periferiche povere, con pochi servizi e trascurate dalle amministrazioni, abitate prevalentemente da persone straniere e da anziani con pensioni molto basse e pochi strumenti per gestire la convivenza con le persone arrivate dopo di loro. Il Comune ha provato a intervenire su alcuni di questi quartieri – su tutti il Giambellino, una zona in cui negli anni Settanta si trovava la principale piazza di spaccio della città – ma non è riuscito ad arrivare dappertutto. Il cosiddetto quadrilatero di San Siro ne è un esempio.

Qui vivono gruppi di ragazzi di seconda o terza generazione che si riuniscono in base alle loro origini, al paese di provenienza dei genitori o dei nonni. Dice ancora Simone Feder: «Bisogna evitare che si creino ghetti con comunità formate solo da chi ha commesso reati, il rischio è di rendere strutturale il disagio». Questi “ghetti”, un termine piuttosto controverso, secondo qualcuno esistono già e rappresentano delle specie di zone franche, come se non facessero realmente parte della città. Il problema diventa evidente sui giornali quando questi gruppi di ragazzi frequentano altri quartieri, di fatto quelli più ricchi, rendendosi così visibili al resto di Milano.

Il lungo periodo di pandemia ha amplificato i problemi e i disagi delle periferie milanesi. Secondo l’ultimo rapporto Osservatorio della Caritas Ambrosiana a Milano quattro persone su dieci colpite dalla povertà durante la pandemia non sono ancora riuscite a uscire dalla situazione di difficoltà. Il 41% di coloro che avevano chiesto aiuto alla Caritas per la prima volta nel 2020, a un anno di distanza, non è uscito dallo stato di bisogno. È un dato sensibilmente più alto che nel resto d’Italia dove coloro che erano entrati per la prima volta nel sistema di assistenza lo scorso anno e non ne sono ancora usciti sono il 29,7%. In particolare a Milano un terzo dei nuovi poveri sono donne con figli minori a carico. Tra le persone immigrate, poi, la situazione è ancora più grave. Il 70,9% di loro a Milano non ha avuto accesso agli aiuti pubblici, e cioè al reddito di cittadinanza. È un dato molto più alto della media nazionale (54,9%).

L’aumento della povertà ha indubbiamente fatto crescere anche i disagi nelle periferie. Nelle periferie milanesi ci sono però situazioni che non vengono affrontate da anni. A Milano 3.750 case di edilizia popolare sono occupate abusivamente (600 di Metropolitane Milanesi, società controllata dal comune, e 3.150 dell’ALER, cioè della regione) ma nel complesso, sia che si tratti di case occupate sia che si tratti di case regolarmente abitate, mancano da anni interventi di riqualificazione o anche solo di semplice manutenzione.

Walter De Cesaris, segretario nazionale dell’Unione Inquilini, spiega che «gli ultimi investimenti strutturali nell’edilizia popolare risalgono a 40 anni fa, poi non si è fatto praticamente più nulla». Ora ALER ha comunicato che la regione Lombardia ha messo a disposizione 13 milioni di euro per la manutenzione di una serie di complessi di edilizia popolare. Gli interventi dovrebbero essere realizzati in quattro grandi aree di Milano: Barona, Stadera e Gratosoglio; San Siro e Baggio; Bruzzano e Crescenzago; Mazzini, Molise e Calvairate.

– Leggi anche: A complicare la gestione delle case popolari ci sono le occupazioni abusive

A marzo c’è stato un incontro tra il prefetto Saccone e i nove presidenti dei municipi cittadini. Ogni zona di Milano ha illustrato le proprie criticità, dalle piazze dello spaccio alle fermate di autobus più frequentate dai borseggiatori fino alle zone di quella che ormai viene chiamata da tutti i giornali «malamovida», e cioè strade e piazze che, in alcuni giorni della settimana diventano locali a cielo aperto: succede ai Navigli, all’arco della Pace, a via Cesariano e a via Lecco, per esempio, tutte zone centrali. La centrale della polizia locale in piazza Beccaria riceve moltissime segnalazioni e richieste di intervento ogni notte da parte dei residenti, ma raramente gli interventi avvengono. La mancata presenza di pattuglie viene spesso motivata dalla carenza di organico.

A parte la questione che riguarda la polizia locale, non si può certo dire che in Italia ci sia carenza di forze di polizia. Nel 2017, su 35 Paesi considerati, l’Italia contava 453 unità di forze di polizia ogni 100mila abitanti contro una media europea di 355. I principali paesi europei paragonabili all’Italia avevano valori nettamente più bassi: il Regno Unito 211, la Francia 320, la Spagna a 361 e la Germania 297. È pensabile che da allora il rapporto percentuale tra forze di polizia e numero di abitanti non sia molto cambiato.

Pochi mesi fa il Sole 24 Ore ha pubblicato l’indice annuale della criminalità per quanto riguarda il 2021. Milano è al primo posto nella classifica del 2021 per le denunce ogni 100mila abitanti: sono state 4.866. Al secondo posto c’è Bologna con 4.636 denunce ogni 100mila abitanti e al terzo Rimini con 4.603 denunce. In totale le denunce a Milano sono state 159.613. I dati sono elaborati in base ai numeri comunicati da tutte le forze di polizia (Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza, Corpo Forestale, Polizia Penitenziaria, Dia, Polizia Municipale, Polizia Provinciale e Guardia Costiera).

I dati, vale per Milano ma vale per tutte le città, possono essere letti però in maniera differente: le città con un maggior numero di denunce hanno con ogni probabilità un alto numero di reati, ma sono anche quelle dove vengono maggiormente denunciati. Al contrario un indice dei reati più basso può anche indicare una scarsa propensione a denunciarli: vale soprattutto in quelle città con maggiore presenza della criminalità organizzata, che con le intimidazioni favorisce l’omertà.

Scendendo nel dettaglio dei reati, Milano si trova solo al 29esimo posto nella classifica delle città italiane per quello che riguarda il numero di denunce per prostituzione e pornografia minorile: 2,8 denunce per 100mila abitanti, mentre a Genova, città al primo posto, le denunce sono state 13,9. Milano è settima per le denunce di violenze sessuali (12,7 denunce ogni 100mila aitanti, al primo posto c’è Trieste con 20,6 denunce) e diciottesima per le denunce di percosse: 28,8 denunce per 100mila abitanti, contro le 59,4 di Imperia, città al primo posto.

Milano è prima invece per ciò che riguarda i furti, davanti a Rimini e Bologna, e terza per i furti con strappo. È prima per i furti con destrezza e seconda per i furti nei centri commerciali, mentre è trentottesima per i furti nelle abitazioni (200 ogni 100mila abitanti, contro i 410 di Ravenna al primo posto). In totale i furti nelle abitazioni denunciati sono stati 6559 (contro gli 8553 di Roma che però nella percentuale calcolata su 100mila abitanti è al quarantesimo posto). Le rapine nelle abitazioni (quindi furti con l’uso di violenza o minaccia), che Ferragni ha denunciato nel suo post sono, secondo le statistiche del Sole 24 Ore, 2,4 ogni 100mila abitanti (Milano è al quarantatreesimo posto) contro le 7,5 di Barletta. In totale le rapine nelle abitazioni, a Milano, sono state 80 (a Roma 179).

Se una grande città è ricca di negozi e attività commerciali, però, è naturale che sconti un alto numero di furti. «I furti sono i reati più commessi in Italia: prima della pandemia si stimava che rappresentassero circa la metà dei reati totali», aveva spiegato qualche tempo fa Roberto Cornelli, che insegna Criminologia e sicurezza urbana all’università Bicocca, alla newsletter del Post su Milano, Colonne: «Paradossalmente, i furti sono indicativi anche di benessere e ricchezza».

Nella classifica delle rapine nella pubblica via, Milano è quarta dietro Napoli, Prato e Rimini ed è settima per i reati legati agli stupefacenti dietro Padova, Catanzaro, Prato, Trieste, Torino e Siracusa.

Conferenza stampa in questura dopo l’arresto di alcuni membri di una banda di giovani rapinatori nel quartiere di Quarto Oggiaro (Ansa)

Come già detto, la classifica si basa sulle denunce di reato, sia quelle effettuate dai cittadini sia quelle riscontrate dalle forze dell’ordine, e non sul numero dei reati effettivamente commessi che non può essere registrato. Alcuni dati fanno però pensare che ci siano reati che, soprattutto nelle grandi città e quindi anche a Milano, vengono denunciati sempre meno da parte dei cittadini. È difficile pensare che Milano sia solo settima per i furti di motocicli, dietro Napoli, al primo posto, ma anche dopo Livorno, Palermo, Catania, Genova e Roma; o undicesima per i furti di autovetture (al primo posto c’è Barletta) e solo diciassettesima per i furti di ciclomotori (quelli sotto i 50 cc). In generale i furti di auto e moto sono quelli che rischiano maggiormente di rimanere impuniti: viene segnalata all’autorità giudiziaria solo una persona ogni 30 furti.

Cristina Brondoni,  criminologa e giornalista, dice che «percezione e dati non vanno per forza nella stessa direzione. Se una zona è piena di graffiti, le aree verdi disordinate e incolte, la spazzatura straborda dai cestini, è certo che la sensazione di insicurezza nei cittadini aumenta anche se magari da quelle parti non viene commesso nessun reato. Anni fa il sindaco Letizia Moratti fece una battaglia molto dura contro i graffiti. Be’, la percezione di sicurezza nei cittadini aumentò. La percezione, appunto. Non si parla di dati reali».

Quella della relazione causale tra ordine pubblico percepito e criminalità è una tesi che nacque con la teoria delle “finestre rotte” elaborata dallo psicologo Philip Geroge Zimbardo nel 1969, quando sperimentò che un’auto abbandonata aveva più probabilità di essere vandalizzata in un quartiere degradato che in uno più ricco e ordinato. La teoria fu più volte messa alla prova, con risultati diversi, e fu usata per applicare metodi di controllo del territorio assai controversi, rivolti a punire il microcrimine nella convinzione che questo avrebbe ridotto il tasso di criminalità generale e la sicurezza percepita. Successivi studi hanno sostenuto che questa prospettiva sia in realtà piuttosto semplicistica, intervenendo sulle conseguenze invece che sulle cause del disagio sociale, e in molti oggi ritengono che i metodi di polizia che si basano su questo approccio siano in realtà miopi e controproducenti.

Cercare di rivitalizzare le periferie è un obiettivo che la giunta di Milano si è posta. L’assessore alla cultura Tommaso Sacchi ha annunciato poche settimane fa il progetto di un Festival delle periferie: «Daremo prevalenza alle attività nella cintura che va oltre il percorso del filobus 90-91, così da toccare tutti i quartieri. Raccoglieremo progetti che racconteranno, per la prima volta, l’essenza della periferia». Filippo Barberis, capogruppo del PD in comune, ha risposto a Chiara Ferragni e indirettamente a Lega e Fratelli d’Italia sostenendo che «di certo quella di Milano non è una situazione fuori controllo, piuttosto una condizione nota che stiamo affrontando su un doppio binario: da un lato il rafforzamento della polizia locale con 900 unità in più entro la fine del mandato e, dall’altro, un potenziamento delle politiche sociali».

Il sindaco Beppe Sala ha detto, riguardo al post di Chiara Ferragni: «Non rispondo. Non condivido quello che dice, è un’opinione. Non considero la situazione drammatica ma degna di attenzione. Cercheremo di rifare il punto sulle forze che arriveranno a Milano, come avete visto noi stiamo facendo la nostra parte, le prime assunzioni di vigili le abbiamo fatte (67 nuovi agenti e ufficiali, ndr), entro dicembre altri 120 agenti saranno messi in campo. Le forze dell’ordine in più promesse dal ministro dell’Interno in parte sono arrivate ma voglio capire quando arriveranno le altre».

Dopo la risposta indiretta del sindaco Sala anche Chiara Ferragni è tornata sull’argomento. Ha scritto in un post: «Il mio sfogo è stato quello di una cittadina privilegiata che vuole dare una voce a un sentiment ormai diffuso a Milano e figlio di diverse esperienze personali. Mi dispiace se le mie parole hanno causato strumentalizzazioni politiche e divisioni che non mi appartengono. Credo in una collaborazione costruttiva e concreta perché anche se si hanno opinioni diverse, poi ci accorgiamo di avere a cuore sempre il bene comune».