A complicare la gestione delle case popolari ci sono le occupazioni abusive

Una «guerra tra poveri» mossa dalla disperazione e dalle organizzazioni criminali sottrae risorse a un settore che già ne ha poche

di Stefano Nazzi

Una casa popolare in via Ricciarelli, a Milano (Foto Il Post).
Una casa popolare in via Ricciarelli, a Milano (Foto Il Post).

Al suo ritorno dopo una visita medica, lo scorso ottobre, l’86enne romano Ennio Di Lalla ha trovato il suo appartamento in una casa popolare nel quartiere don Bosco occupato da due donne. La casa è rimasta occupata per più di tre settimane, durante le quali Di Lalla è rimasto in albergo. Al suo rientro ha ritrovato molti danni, di cui si occuperà il comune di Roma a sue spese. La sua vicenda è stata ripresa da giornali e trasmissioni televisive, in molti casi con toni allarmistici e sottotesti securitari quando non razzisti, e ha riportato all’attenzione il tema delle occupazioni abusive degli appartamenti, spingendo il centrodestra ad annunciare proposte di legge per occuparsi della questione.

Storie simili non sono nuove, e nella maggior parte dei casi raccontano situazioni di grande disagio economico in cui si sviluppano conflitti tra persone povere o poverissime: da una parte chi aspetta l’assegnazione della casa popolare a canone ridotto e calcolato in base all’ISEE (a Milano per esempio i canoni mensili arrivano al massimo a 700 euro), dall’altra chi è costretto a occupare l’abitazione di qualcun altro per disperazione. Della situazione si approfittano spesso i gruppi criminali, che creano delle specie di agenzie immobiliari clandestine e illegali.

In Italia si stima che gli appartamenti di Edilizia Residenziale Pubblica (ERP) – le cosiddette  “case popolari” – occupati abusivamente siano 31.000. Ci sono poi le migliaia di appartamenti privati o appartenenti a enti privati nella stessa situazione. In totale si calcola che il numero di case occupate sia di circa 50.000.

Per quanto riguarda le case ERP il fenomeno è presente in particolar modo in alcune zone del paese, ed è costante da alcuni anni. Secondo Federcasa, la Federazione per le case popolari e l’edilizia sociale, la maggior parte delle case popolari occupate, circa l’85%, ha subito la manomissione della serratura o lo sfondamento della porta; il 15% è abitato da persone che non hanno più il titolo per farlo, o perché non pagano l’affitto da anni o perché l’ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente) è aumentato e quindi è decaduto il diritto ad avere un alloggio pubblico.

Nel Nord Est il fenomeno è raro (riguarda lo 0,5% del totale delle case) mentre è più sviluppato nel Nord Ovest (2,6%), e soprattutto al Centro (7%) e al Sud (6,4%). Nelle isole interessa il 3,9% del totale delle case. Le 31.000 case popolari occupate abusivamente rappresentano poco più del 4% dell’intero patrimonio ERP, che conta circa 750.000 alloggi.

Oltre 60.000 case di edilizia popolare, però, sono sfitte: cioè vuote, inutilizzate. Addirittura, a Milano, rappresentano l’11% del totale. Questo perché, si giustificano i vari enti regionali e comunali, non ci sono i soldi per metterle in condizione di essere affittate. Sono, di fatto, appartamenti indisponibili: a volte chi non ci vive più li ha lasciati in condizioni tali da renderli inabitabili, o semplicemente il tempo ha causato danni e usure evidenti, oppure ancora sono in fase di ristrutturazione.

Walter De Cesaris, segretario nazionale del sindacato Unione Inquilini, aggiunge che «molte volte le case, dopo che sono state sgomberate da occupanti abusivi, vengono murate per impedire altre occupazioni. E così rimangono. Poi c’è l’usura del tempo, il degrado, spesso l’inefficienza di chi dovrebbe garantire la manutenzione. Gli ultimi investimenti strutturali nell’edilizia popolare risalgono a 40 anni fa, poi non si è fatto praticamente più nulla».

Oltre al degrado di molti appartamenti, incide anche la lunghezza del processo di assegnazione. «Una volta completato il bando e stilata la graduatoria degli aventi diritto», dice Giuseppe Jannuzzi, segretario generale del sindacato SUNIA di Milano (Sindacato Unitario Nazionale Inquilini ed Assegnatari), «i tempi per consegnare l’alloggio sono purtroppo lunghi, anche se nuove norme hanno cercato di semplificare le procedure. Vengono fatte le verifiche per controllare che l’assegnatario abbia in effetti i requisiti richiesti. E se quell’assegnatario non li ha, scala in graduatoria e così via. A Milano servono almeno nove mesi. E nel frattempo la casa rimane vuota».

Stime dell’Unione Inquilini dicono che ci sono 600.000 famiglie che aspettano un appartamento in una casa popolare, a fronte di oltre 60.000 case non assegnate e 31.000 occupate abusivamente. «È un circolo vizioso», dice De Cesaris: «chi occupa lo fa perché è disperato, perché pensa che diversamente non avrà mai una casa».

Per Riccardo Novacco, presidente di Federcasa e dell’ATER di Trieste (Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale), quello delle case occupate abusivamente è un problema che andrebbe affrontato dal governo parlando con gli enti coinvolti, le prefetture, i sindacati. «Quando avvengono gli sgomberi gli occupanti restano per strada, a farsene carico dovrebbe essere il comune che però non ha i soldi per farlo,  spesso non ha le strutture. E così ci saranno nuove occupazioni».

Se prima gli sfratti nelle case popolari avvenivano soprattutto per finita locazione, ora la maggior parte avviene per morosità. «A Milano tante famiglie si ritrovano in difficoltà drammatiche», dice Jannuzzi, «il comune spesso non ha soluzioni immediate. E accade anche che le famiglie vengano spezzate: con i servizi sociali mamme e bambini trovano rifugio in qualche comunità mentre i padri restano soli, per strada».

Casa popolare in viale Aretusa, a MIlano (il Post)

A occupare abusivamente sono persone in grande difficoltà, disperate, spesso senza un tetto sotto al quale dormire. A gestire le occupazioni sono però solitamente racket criminali: organizzazioni che si sostituiscono agli enti preposti e fanno soldi distribuendo appartamenti vuoti perché in pessime condizioni, oppure il cui legittimo affittuario, magari anziano, è ricoverato in ospedale o è a fare visita ai parenti in altre parti d’Italia. In quel momento le “agenzie immobiliari clandestine” si attivano trovando chi può forzare la porta e chi fornisce – se mancano – gli allacciamenti abusivi per le utenze. L’occupante paga una somma una tantum per il reperimento dell’alloggio e un affitto che invece che all’ente pubblico va all’organizzazione criminale. «Si lucra sulla disperazione», commenta De Cesaris.

Nel 2018 Angelo Sala, presidente di ALER, Azienda Lombarda per l’Edilizia Residenziale, disse in un’intervista al Corriere della Sera a proposito della zona San Siro di Milano: «Nel recente passato eravamo arrivati a registrare 4-5 tentativi d’irruzione al giorno a San Siro. Un’ondata che si è azzerata con l’arresto di chi gestiva questo racket in zona. Non appena queste persone sono state mandate agli arresti domiciliari, con il loro ritorno nel quartiere il fenomeno è ripreso. Così non si può andare avanti».

A Milano, nella zona Ca’ Granda, una donna che gestiva il giro delle assegnazioni abusive era chiamata Lady Gabetti – come l’agenzia immobiliare – per la quantità di case di cui gestiva illegalmente l’assegnazione. In piazza Selinunte, sempre a Milano, al centro del cosiddetto quadrilatero di San Siro non è difficile trovare l’agente immobiliare abusivo che ordinatamente tiene aggiornata la lista di chi aspetta una casa dal racket. Tempo fa furono individuati quattro cittadini egiziani che avevano fatto di un bar della piazza la sede della loro “agenzia” illegale.

A Roma la situazione non è molto diversa. Ci sono zone come la Magliana, Cinecittà est, Don Bosco, Romanina, dove un appartamento di edilizia popolare su tre è occupato abusivamente. Le bande organizzate si spartiscono vie e quartieri, facendo affidamento, si sospetta, su segnalazioni che arrivano direttamente dai condomini, secondo alcune accuse dall’interno degli stessi municipi.

A Napoli sono circa 2.600 le case del comune occupate abusivamente su oltre 24mila alloggi, in pratica una su dieci. E a gestire l’assegnazione delle case è spesso la camorra che trova alloggi ai suoi affiliati. «Nostri iscritti», dice De Cesaris, «sono stati minacciati dalla camorra proprio perché la criminalità organizzata non vuole che nessuno si opponga alla gestione illecita delle assegnazioni di case. Lo stesso è avvenuto anche ad Ostia».

Nei mesi più duri dell’emergenza coronavirus e con tante case lasciate vuote da inquilini anziani ricoverati, che a volte non hanno più fatto ritorno, il fenomeno ha subito un’accelerazione. Al tempo stesso sono continuati gli arresti e gli smantellamenti dei vari racket, piccoli e grandi. A fine 2020, a Roma, è stata arrestata una donna che dagli arresti domiciliari gestiva un giro di occupazioni. Riceveva a casa i futuri inquilini abusivi a cui consegnava chiavi di appartamenti che diceva essere suoi. Non è chiaro quanto gli affittuari ci credessero davvero.

Ad Acilia, una frazione di Roma, i carabinieri hanno scoperto che erano i componenti di un’intera famiglia a gestire il giro delle case: occupavano appartamenti di edilizia popolare sfitti e poi li riassegnavano, facendosi pagare, a persone che avevano inserito nella loro graduatoria. Le case venivano consegnate con le allacciature abusive già pronte. A Corigliano, in Calabria, sono stati arrestati esponenti di un clan della ‘ndrangheta che con le minacce costringevano i legittimi assegnatari a cedere gli appartamenti a familiari o ad amici dei capi del clan.

Circa un anno fa, la Questura di Milano scoprì che un numero consistente di famiglie di origine egiziana che occupava abusivamente case in zona San Siro era complessivamente proprietario di 130 appartamenti sparsi in tutta Milano, comprati alle aste pubbliche grazie a mutui concessi da tre banche. I responsabili, poi finiti in cima alla graduatoria degli sgomberi da effettuare, provenivano tutti da due località: Sharkia e Asyut. Poche settimane dopo, sempre a Milano, gli ispettori dell’ALER individuarono un giovane che, dopo aver occupato una casa, ne affittava le stanze al prezzo di 400 euro l’una.

«L’occupazione è sempre sbagliata», dice De Cesaris, «ma bisogna ricordare che spesso si tratta di una guerra tra poveri. Poveri che attendono l’assegnazione e poveri che occupano la casa perché non sanno letteralmente dove vivere. Con organizzazioni  xenofobe, come è accaduto a Roma nel 2017 nel quartiere di Tor Bella Monaca, che ci mettono lo zampino impedendo a famiglie legittimamente assegnatarie di entrare negli appartamenti perché straniere. E dall’altra parte organizzazioni criminali che si impossessano di un business molto facile».

La crisi dovuta alla pandemia ha accentuato il problema aumentando il numero, già consistente, delle persone che non riescono a pagare l’affitto. Dati nazionali non ce ne sono, ma a Napoli, per esempio, si stima che un inquilino di case popolari su due sia moroso. A Milano sette abitanti su dieci delle case popolari, del Comune (MM) o della Regione (ALER), hanno redditi familiari al di sotto dei 14mila euro annui, quattro su dieci sotto i 9mila.

C’è poi chi abbandona la speranza di avere una casa popolare assegnata e si rivolge ai privati, dovendo affrontare grandi difficoltà per pagare l’affitto. Se fino a qualche anno fa gli sfratti in ambito privato erano dovuti solo per il 30% a morosità, ora la percentuale si è alzata fino all’80%.

Significa che gli enti di edilizia popolare hanno sempre meno entrate, «e non si possono fare lavori di ristrutturazione», dice Novacco. Anche la normale manutenzione diventa difficile. Lo stesso presidente di ALER ammetteva che per sostituire un citofono in una casa popolare di Milano servono sei mesi: ma l’inquilino di una casa in via degli Etruschi raccontava qualche tempo fa al Corriere della Sera che nel suo caso sono serviti dieci anni. Via degli Etruschi è in una zona, Calvairate, dove un gruppo di cittadini si era organizzato in un servizio di vigilanza costante per impedire le occupazioni abusive. D’estate gli abitanti andavano in vacanza a turni. Ora la situazione sembra essersi calmata.

La protesta degli abitanti delle case popolari di Casal Bruciato a Roma, nel 2019, per l’assenza di riscaldamento (Foto Ansa/Massimo Percossi)

Tornando al caso di Ennio Di Lalla, ci sono voluti circa 25 giorni perché potesse ritornare in possesso del suo appartamento. Dopo la denuncia, il pubblico ministero ha chiesto al giudice per le indagini preliminari di sgomberare e sequestrare l’appartamento per la restituzione all’avente diritto. Dopo il sequestro la casa, di cui ha venduto la nuda proprietà ma conserva il diritto di abitazione, gli è stata restituita.

Nel caso di appartamenti di edilizia popolare le cose sono diverse. Lo spiega l’avvocato Pietro Pierri, coordinatore regionale in Toscana dell’Unione Inquilini: «Se viene occupato abusivamente l’appartamento di un ente di residenza pubblica, l’ente stesso si può rivolgere direttamente alla polizia locale che si attiva per liberare l’appartamento. C’è da dire che ci sono casi, soprattutto al Sud, dove appartamenti sono occupati da diversi anni e le cose vengono lasciate così, probabilmente per una sorta di pax sociale».

Per quanto riguarda le morosità, cioè inquilini che non pagano l’affitto, l’ente non può rivolgersi direttamente alla polizia locale ma deve avvertire l’autorità giudiziaria, così come avviene per i privati. Nei casi di finita locazione, o quando l’inquilino non ha più i requisiti per abitare in una casa popolare, il giudice incarica l’ufficiale giudiziario di procedere allo sfratto.

Il deputato della Lega Luca Rodolfo Paolini è il primo firmatario di una proposta di legge che vorrebbe equiparare l’occupazione di un appartamento a un furto. «Di fatto», ha detto in un’intervista a Today, «introduco il reato di furto di casa. Attualmente la questione viene affrontata principalmente per via civile. Per questo i tempi possono andare dai nove mesi in su. Poi c’è un costo per la vittima e inoltre ci sono i danni di una casa nel frattempo devastata».

Un’altra proposta è quella presentata da Andrea Cangini, di Forza Italia, che al Giornale ha detto: «La mia proposta si ispira alle norme previste dal codice rosso contro la violenza sulle donne e consentirà alle vittime di rientrare in possesso del proprio bene in massimo tre giorni e alle forze dell’ordine di arrestare in flagranza il reo, che sconterà una pena dai due ai sei anni. Per gli stranieri è prevista l’espulsione». Sempre da Forza Italia, con prima firmataria la deputata Maria Spena, è arrivata la proposta di istituire «un Fondo di solidarietà in favore dei proprietari privati vittime di furti e danneggiamenti della propria casa occupata illegittimamente».

De Cesaris ritiene che il problema vada affrontato da un’altra prospettiva: «lo Stato italiano ha un enorme patrimonio immobiliare che potrebbe sfruttare: caserme e scuole vuote, edifici dismessi. Il PNRR (PIano Nazionale di Ripresa e Resilienza) deve rappresentare l’occasione giusta per investimenti importanti. È ora di un grande “piano casa”, lo stiamo aspettando da oltre 40 anni».