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  • Mercoledì 13 luglio 2022

In Corea del Nord gli alberi sono una cosa seria

Che fosse per proteggerle o per sfruttarne il legname, le foreste sono sempre state molto importanti per i leader della dinastia dei Kim

Il dittatore nordcoreano Kim Jong-un pianta un albero nell'ambito di un'iniziativa per incoraggiare la riforestazione. Pyongyang, 3 marzo 2015 (EPA/ KCNA via ANSA)
Il dittatore nordcoreano Kim Jong-un pianta un albero nell'ambito di un'iniziativa per incoraggiare la riforestazione. Pyongyang, 3 marzo 2015 (EPA/ KCNA via ANSA)
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In Corea del Nord le prime due settimane di marzo sono dedicate all’attività di piantare alberi: sono invitati a farlo cittadini, enti e organizzazioni, che come indicato dal governo devono poi impegnarsi a prendersene cura «per assicurarsi che nessun albero venga ucciso» e fare in modo che «negli anni crescano foreste rigogliose». È un’iniziativa collegata direttamente alle politiche di riforestazione volute dal dittatore Kim Jong-un e segue l’idea che aveva concepito a suo tempo il nonno Kim Il-sung, leader supremo della Corea del Nord, secondo cui piantare alberi aveva un valore patriottico e ideologico. Nella storia del paese però ci sono stati anche periodi di forte disboscamento, perlopiù legati a questioni di sussistenza.

Tra il Settecento e l’Ottocento, con la progressiva crescita della popolazione, nel territorio delle attuali Coree furono abbattuti moltissimi alberi per ottenere legname da impiegare nella costruzione delle case e per il loro riscaldamento, ma anche per fare spazio a nuovi centri abitati e alle coltivazioni. Le cose cominciarono a cambiare a inizio Novecento, quando l’impero giapponese, che allora controllava il territorio, iniziò a incoraggiare la coltivazione degli alberi (silvicoltura) sostenendo che fossero non solo risorse preziose per costruire edifici o per ricavarne legna da ardere, ma anche luoghi importanti a livello simbolico e spirituale.

Nei primi decenni del Novecento a Tokyo furono progettati i primi parchi cittadini moderni, come quello di Hibiya e quello del santuario Meiji, ma ci furono iniziative di rimboschimento anche in altre parti dell’impero, tra cui Taipei (Taiwan) e appunto il territorio delle Coree (chiamato in giapponese Chōsen). I progetti di riforestazione continuarono nonostante la depressione economica seguita alla crisi finanziaria globale del 1927: gli alberi comunque iniziarono ad avere un significato particolare soprattutto per via del sentimento anticoloniale che era sempre più diffuso tra la popolazione.

La persona che meglio espresse l’alto valore spirituale e propagandistico delle foreste fu il “Grande leader” Kim Il-sung, fondatore della Corea del Nord, padre del dittatore Kim Jong-il e nonno di Kim Jong-un, nonché “presidente eterno” della Repubblica Popolare Democratica di Corea, il nome ufficiale della Corea del Nord.

L’origine della famiglia di Kim Il-sung è incerta, ma secondo una biografia semi-ufficiale promossa dal governo nordcoreano la storia della dinastia è strettamente associata a quella del monte Paektu, considerato sacro. Fu in queste foreste che Kim, da giovane, guidò una battaglia contro i giapponesi; fu sempre qui, sempre secondo le versioni ufficiali, che nacque Kim Jong-il, che stando ad alcune fonti occidentali era invece nato in territorio sovietico.

Kim sosteneva che la foresta del monte Paektu fosse «la sua fortezza naturale» e che i suoi alberi dovessero essere salvaguardati perché permettevano ai combattenti di portare avanti la resistenza, fornendo nutrimento, protezione e forza spirituale. Come ha raccontato la rivista Palladium, Kim, che fu a capo della Repubblica Popolare tra il 1948 e il 1994, raccomandava di non sprecare legname e di prendersi cura degli alberi: la salvaguardia della foresta era insomma un simbolo della lotta che avrebbe portato alla liberazione del popolo coreano.

Un monumento celebrativo ai piedi del monte Paektu (AP Photo/ David Guttenfelder)

Kim continuò a invocare la protezione degli alberi anche dopo la fine della Guerra di Corea (1950-1953), che si concluse con la divisione di Corea del Nord e Corea del Sud e con una devastazione ambientale enorme. Il suo “grande progetto per la trasformazione della natura” prevedeva di rimpiazzare pini, querce e frassini, che crescevano molto lentamente, con alberi come peschi o noci, utili per ottenerne frutta e per ridurre la pressione sulle poche terre che si potevano coltivare; parallelamente, puntava a sviluppare i sistemi di irrigazione, fertilizzazione e meccanizzazione per favorire lo sviluppo dell’agricoltura e aumentare la produzione. Il legname poteva essere prelevato dai boschi nazionali solo con il permesso delle autorità centrali che si occupavano della tutela delle foreste, e in ogni caso gli alberi dovevano essere ripiantati.

I progetti di riforestazione avviati da Kim proseguirono con successo fino alla fine degli anni Settanta, ma poi cominciarono a dare risultati meno soddisfacenti, anche per via di un rilassamento generale delle regole. Al tempo stesso, molti contadini nelle aree rurali ripresero a disboscare per poter coltivare.

Le cose peggiorarono notevolmente con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, che portò a una crisi delle importazioni e delle esportazioni e a una situazione economica sempre più complicata: la Corea del Nord si ritrovò senza i fertilizzanti necessari per favorire la crescita delle coltivazioni e senza l’energia elettrica per gestire per esempio gli impianti di irrigazione, andando incontro – anche a causa della siccità – a una gravissima carestia che provocò la morte di centinaia di migliaia di persone.

Nel paese si tornò lentamente a disboscare per ottenere il legname necessario sia per il riscaldamento che per la produzione di energia. La priorità del governo di Kim Jong-il (1994-2011) non sembrò più quella di proteggere le foreste, bensì quella di garantire la sussistenza della popolazione e massimizzare la produzione agricola, anche se questo significava sacrificare gli alberi per poter coltivare cereali.

Volontari che piantano alberi a Pyongyang, il 2 marzo del 2021 (AP Photo/ Cha Song Ho)

Fu Kim Jong-un, salito al potere nel 2012, che riprese a incoraggiare la silvicoltura, citando esplicitamente il progetto “ecologista” del nonno. In un discorso rivolto nel 2015 al Partito dei Lavoratori, l’unico ammesso nella politica nordcoreana, Kim sostenne che nel paese gli alberi venissero tagliati per poter ottenere cereali e legna da ardere fin dai tempi della «Marcia ardua» (il nome con cui viene chiamata la carestia degli anni Novanta), ma spesso senza indicazioni appropriate da parte delle autorità competenti. Disse anche che nel periodo della carestia le autorità governative non erano intervenute per eliminare le cause che avevano provocato vari allagamenti nelle centrali elettriche del paese: non avevano cioè fatto piantare alberi sulle pendici delle montagne.

Kim introdusse varie iniziative per far rispettare la legge sulla protezione delle foreste, approvando un piano dalla durata decennale per la riforestazione e la tutela del territorio, con l’obiettivo di prevenire l’erosione del suolo e le frane: «facciamo in modo che le verdi foreste sulle montagne del nostro paese siano rigogliose, e che tutte le montagne siano un tesoro», commentò nel discorso del 2015.

Come mostrano alcune immagini riprese attraverso Google Earth che confrontano la situazione di alcune aree montuose e rurali tra il 2015 e il 2019, le iniziative di riforestazione sembrano essere andate bene, specialmente nell’area attorno alla capitale Pyongyang e nella sua provincia, nel sud del paese. In qualche caso sembra invece che certe zone che erano state riforestate siano già state reclamate dagli agricoltori.

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