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  • Martedì 5 luglio 2022

La moda “a breve termine” di Shein comincia a non piacere

Il negozio online di vestiti economici, popolarissimo tra i giovani, viene criticato sempre più per il suo enorme impatto ambientale

Persone durante l'inaugurazione di un negozio temporaneo di Shein a Madrid, Spagna, 2 giugno 2022
(Zaro De Luca/ Contacto via ZUMA Press, ANSA)
Persone durante l'inaugurazione di un negozio temporaneo di Shein a Madrid, Spagna, 2 giugno 2022 (Zaro De Luca/ Contacto via ZUMA Press, ANSA)

Lo scorso aprile il negozio online di fast fashion (cioè di abbigliamento alla moda molto economico) cinese Shein è stato valutato 100 miliardi di dollari, circa 96 miliardi di euro, più di H&M e Zara messi insieme, e quasi 7 volte la cifra alla quale la stessa azienda era stata valutata nel 2020. L’e-commerce di Shein è apprezzato in particolare da un pubblico di donne giovani per la scelta molto ampia di articoli e per i prezzi estremamente bassi; negli ultimi due anni è diventato inoltre molto popolare soprattutto grazie al ruolo dei social network. Al tempo stesso, ha cominciato ad attirare numerose critiche per un approccio che secondo vari punti di vista incentiva lo shopping sfrenato e la moda “a breve termine”, con un impatto ambientale presumibilmente enorme.

Shein (che si pronuncia sci-in) fu fondata nel 2008 dall’imprenditore cinese Chris Xu a Nanchino. All’inizio vendeva abiti da sposa comprati nei mercati all’ingrosso, poi cominciò a vendere anche abiti normali, sfruttando il fatto che all’epoca i negozi di vestiti online non erano molti.

Le cose iniziarono ad andare particolarmente bene nel 2015, quando il negozio online cominciò a produrre i propri abiti, spostando la produzione a Canton, il centro della manifattura tessile cinese. Fu allora che Shein – fino a poco prima SheInside – iniziò a puntare sia sulle tecnologie digitali che sulla propria immagine per competere con i più grandi marchi di fast fashion mondiali e prendersi quote del mercato europeo e americano.

A differenza di altri negozi di abbigliamento fast fashion, come appunto Zara e H&M, Shein vende i propri prodotti direttamente al pubblico, senza intermediari, in modo da abbattere i costi. Si basa su un flusso di produzione velocissimo e non ha una propria identità o una propria estetica, ma usa algoritmi e analisi dei dati per intercettare le mode dei vari paesi e riproporle il più velocemente possibile nelle sue nuove collezioni, spesso copiando esplicitamente le creazioni di stilisti più o meno famosi, replicandole con una qualità molto più bassa.

Con questo sistema, Shein riesce a produrre nuove collezioni nel giro di pochi giorni, mentre i suoi principali rivali ci impiegherebbero in media tre settimane; inoltre, riesce a mettere online migliaia di nuovi capi ogni giorno, come magliette a 6 euro e vestiti estivi da 11 euro, incentivando l’acquisto anche attraverso sconti e promozioni.


La pandemia da coronavirus ha contribuito enormemente alla crescita di Shein, sia perché altri marchi di fast fashion avevano sempre puntato molto sui negozi fisici, sia grazie alle campagne pubblicitarie su Facebook, Instagram e TikTok. Buona parte del successo del marchio arriva proprio dal seguito che si è costruito sui social: semplicemente chiedendo alle sue utenti di pubblicare foto con i suoi vestiti, per poi pubblicarle sul canale ufficiale dell’e-commerce, oppure tramite accordi di collaborazione con varie influencer.

Un altro modo con cui Shein si è affermata tra le generazioni più giovani sono i cosiddetti “haul videos”, letteralmente “i video del bottino”, cioè quelli in cui le persone aprono i pacchi di prodotti che ordinano a casa, aumentando la visibilità dei vari marchi. Per dare l’idea, i video catalogati con il tag “Shein Haul” su TikTok sono stati visti più di 5,7 miliardi di volte. Con oltre 25 miliardi di visualizzazioni del suo hashtag, Shein è il marchio più citato in assoluto su TikTok, il social network frequentato soprattutto dalle persone della “generazione Z” (cioè quelle nate dopo il 1996).

Se da un lato migliaia di giovani continuano a trovare Shein attraente e competitivo, molte altre, più attente alla sostenibilità ambientale, ne contestano l’approccio, criticando l’azienda anche per il presunto sfruttamento del lavoro minorile e dei lavoratori in generale, che nell’industria del fast fashion è un problema molto attuale.

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Ad aprile l’influencer samoana-americana Drew Afualo è stata criticata duramente da molti dei suoi 7,5 milioni di follower su TikTok per un accordo di sponsorizzazione con Shein. A maggio l’inaugurazione di un negozio temporaneo dell’e-commerce a Tolosa, in Francia, è stata interrotta da alcune decine di persone che manifestavano contro l’enorme impatto ambientale della moda “a breve termine”, mentre altre centinaia erano in fila per entrare nel negozio.

In un video condiviso su YouTube che è stato visto più di 3 milioni di volte, l’influencer americana Mina Le attribuisce agli “haul videos” (come quelli di Shein) un eccessivo aumento di consumi tra le utenti dei social network, che sono spinte a comprare sempre più prodotti, compresi vestiti che sanno già dureranno pochissimi mesi.

Shein è un’azienda estremamente riservata e non si sa praticamente nulla rispetto alla sua catena di approvvigionamento o ai suoi processi di produzione: per questa ragione non è possibile sapere con certezza nemmeno quale sia l’impatto ambientale della sua produzione super veloce.

Una delle abitudini di Shein particolarmente contestata è che ciascuno dei suoi indumenti viene consegnato in confezioni di plastica che sono destinate a finire subito nelle discariche, come spesso gli abiti stessi. È stato stimato che Shein produca almeno 35mila capi al giorno: è un grosso problema, se si considera che gli abiti che vende hanno una durata limitata e che in media le persone buttano via il 60 per cento dei vestiti che comprano nell’arco dello stesso anno in cui li hanno acquistati.

Come ha riassunto in maniera piuttosto efficace il sito Highsnobiety, che si occupa soprattutto di streetwear e tendenze giovanili, «la quantità di rifiuti che Shein deve produrre con i suoi capi ultra economici, gli stabilimenti in perenne attività e le spedizioni internazionali deve essere immensa».

Inoltre, in alcuni casi, nei vestiti e negli accessori venduti attraverso il sito sono state trovate tracce di piombo in quantità elevate. Miriam Diamond, professoressa di chimica all’Università di Toronto, ha detto alla tv pubblica canadese CBC che la quantità sarebbe fino a 20 volte quella che le autorità sanitarie canadesi ritengono sicura per i bambini piccoli.

In questi mesi Shein sta provando a difendersi dalle varie critiche ricevute, mostrandosi più attenta alle preoccupazioni sul tema della sostenibilità ambientale espresse dai propri clienti. Ha annunciato l’istituzione di un fondo da 50 milioni di dollari per ridurre gli sprechi di prodotti tessili e ha avviato una collaborazione con un’organizzazione non profit che si occupa di protezione dell’ambiente. Nel suo rapporto sulla sostenibilità e l’impatto sociale del 2021 ha detto di volersi impegnare a contenere i consumi di acqua e a ridurre i rifiuti durante tutte le fasi della produzione.

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