La teoria dell’evoluzione va ripensata?

C'è un grande dibattito tra i biologi: alcuni propongono di rivedere alla base uno dei pilastri della biologia, altri non ne vogliono sapere

Charles Darwin (Hulton Archive/Getty Images)
Charles Darwin (Hulton Archive/Getty Images)
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Da oltre un secolo e mezzo, la teoria dell’evoluzione delle specie è uno dei punti centrali della biologia, ma nonostante le progressive integrazioni rese possibili dalle nuove scoperte, ancora oggi scienziate e scienziati non sanno spiegare nel dettaglio come la vita si sia evoluta sul nostro pianeta. Secondo una parte di loro – minoritaria, ma piuttosto agguerrita e in crescita – la mancanza di risposte deriva almeno in parte da una visione troppo ortodossa e ferma della teoria dell’evoluzione, che le ha impedito, ehm, di evolversi.

Il tema è dibattuto da anni, ma nell’ultimo decennio ha ricevuto nuove importanti spinte, ha portato a grandi diatribe tra gruppi di ricerca e ha rovinato qualche amicizia, come ha di recente raccontato un lungo articolo del Guardian, chiedendosi proprio se sia arrivato il momento di pensare a una «nuova teoria dell’evoluzione».

Ripensarci
Dopo anni di confronto a vari livelli, nel 2014 l’ipotesi di rivedere l’apparato teorico entro il quale si muovono e lavorano migliaia di ricercatori arrivò su Nature, una delle più importanti riviste scientifiche al mondo. Un articolo firmato da otto scienziate e scienziati disse che i tempi erano ormai maturi per rivedere la teoria dell’evoluzione, e con una certa urgenza.

Nuove ricerche avevano mostrato come in molti casi i meccanismi evolutivi possano avere effetti in tempi molto più brevi di quanto immaginato in precedenza, e con i passaggi tra poche generazioni. Era necessario integrare queste nuove evidenze nel sistema teorico e proposero di farlo lavorando a una “Sintesi estesa”, una sorta di versione rivista e aggiornata della “Sintesi moderna dell’evoluzione”, la teoria evoluzionistica più condivisa nata nei primi anni del Novecento e ancora oggi seguita da buona parte dei biologi.

L’articolo fu seguito da un convegno organizzato presso la Royal Society di Londra, una delle più importanti e storiche istituzioni scientifiche, portando a dure critiche da parte di alcuni suoi membri, che vedevano nell’iniziativa il semplice tentativo di alcuni gruppi di ricerca di farsi notare. L’incontro non ebbe grandissimo risalto, ma fu tra le dimostrazioni più evidenti di un processo iniziato tempo prima e che vedeva contrapposta una fazione più conservatrice e ortodossa e una più innovatrice, un fenomeno piuttosto comune nella comunità scientifica.

Pilastro
Per capire come si è arrivati fino a questo punto, occorre fare un passo indietro, abbandonare per un momento le diatribe e dedicarci alla storia della scienza. Nei primi anni del Novecento nacque l’esigenza di mettere ordine in numerose discipline scientifiche, elaborando impianti teorici che tenessero insieme i frutti delle scoperte effettuate fino ad allora, in modo da presentarli in modo organico e condiviso. I campi della fisica e della chimica si erano già dotati da tempo di teorie e leggi fondamentali, mentre la biologia era rimasta un po’ indietro e c’era il timore che le sue varie sottodiscipline rimanessero separate tra loro riducendo le possibilità di scambio di conoscenza.

La teoria dell’evoluzione delle specie sembrava essere la candidata ideale per diventare uno dei fondamentali della biologia, ma verso la fine dell’Ottocento le idee di Charles Darwin non suscitavano più l’interesse di prima, perché avevano fallito nello spiegare come le generazioni ereditassero dalle precedenti particolari tratti, che si erano generati del tutto casualmente e che potevano poi rivelarsi vantaggiosi per la prosecuzione delle specie in determinate circostanze, fino a rendere quei tratti prevalenti (cioè la selezione naturale). A inizio Novecento fu solo grazie alla riscoperta degli studi di Gregor Mendel sui caratteri ereditari che fu possibile iniziare a colmare le lacune lasciate irrisolte da Darwin, aggiungendo però alcune complicazioni alla sua teoria.


Divenne evidente che la riproduzione porta a un rimescolamento dei geni (ciò che determina i tratti che poi osserviamo), ma spesso in modi imprevedibili tra le generazioni. C’è chi nasce con i capelli rossi anche se i propri genitori li hanno di un altro colore e solo un nonno li aveva rossi, per esempio. Questa circostanza metteva a dura prova alcuni degli assunti della selezione naturale, visto che sembrava che alcune di quelle variazioni non passassero necessariamente alla generazione successiva ogni volta.

Per circa 40 anni questi aspetti e altri, legati per esempio alle mutazioni che portano poi i geni a cambiare e di conseguenza il modo in cui funzionano gli organismi, furono al centro di un ampio dibattito e al riconoscimento da parte di alcuni che non sarebbe stato possibile trovare una teoria unica per armonizzare le varie evidenze scientifiche emerse. Il rischio di una parcellizzazione della biologia, tale da complicarne i progressi, sembrava ancora più alto.

Sintesi moderna dell’evoluzione
Alla fine si decise di non risolvere il problema o, meglio, di mettere insieme alcuni dei capisaldi sull’evoluzione da Darwin in poi in una sorta di teoria evoluzionistica rivista e aggiornata che fu chiamata “Sintesi moderna dell’evoluzione”. In una forma più organica e armonica possibile, la sintesi moderna integra la teoria dell’evoluzione delle specie per selezione naturale di Darwin, le scoperte sull’ereditarietà di Mendel (mutazioni genetiche comprese), le evidenze fornite dallo studio delle specie antiche (paleontologia) e le caratteristiche genetiche delle popolazioni con la loro rilevanza statistica.

Utilizzando modelli statistici sulle popolazioni di animali naturalmente soggette a come funziona la genetica, la sintesi moderna divenne il modo per riconoscere il problema delle mutazioni e dei salti nell’ereditarietà, ma al tempo stesso per riaffermare che nel lungo periodo la loro influenza è relativa e che alla fine dei conti la selezione naturale continua a funzionare come intuito già da Darwin. In un certo senso, l’idea dietro la nuova teoria era di osservare l’evoluzione in modo più ampio sia da un punto di vista genetico (con i geni che sopravvivono e quelli che spariscono proprio in virtù dei processi evolutivi) sia temporale. A ciò si aggiungeva un rigore matematico che faceva percepire una certa solidità della teoria, avvicinando la biologia ad altre discipline più sistematizzate come la fisica.

Mentre la biologia iniziava a essere sempre più diffusa come disciplina nelle università e nei centri di ricerca, con le scoperte sul DNA (alla base dei geni e dei meccanismi ereditari) la sintesi moderna divenne il principale punto di riferimento. I geni erano responsabili della costruzione delle caratteristiche nelle specie e delle loro evoluzioni, che erano poi sottoposte a una sorta di revisione da parte dei meccanismi della selezione naturale. Il modello sembrava reggere piuttosto bene e si rivelava utile per spiegare come mai la vita sul nostro pianeta sia fatta in un certo modo.

A distanza di 80 anni, la sintesi moderna è ancora la struttura di base per la biologia evolutiva: è quella che studiamo a scuola e nelle università e su cui si basa buona parte della ricerca. Come ricorda il Guardian, «i biologi che lavorano seguendo la tradizione della sintesi moderna sono considerati la “corrente principale”, chi lavora respingendola è un emarginato».

Sintesi estesa
Gli “emarginati”, in realtà, esistevano già quando fu promossa la sintesi moderna: la ritenevano a tratti semplicistica e una forzatura, che riconduceva una grande varietà di processi in un unico sistema. Negli anni Sessanta i dissenzienti iniziarono ad aumentare grazie alle evidenze portate dalla biologia molecolare, che con l’avanzamento dei sistemi per condurre analisi ed esperimenti di laboratorio aveva iniziato a mostrare una realtà nel particolare diversa da quella ad ampio spettro presa in considerazione dalla sintesi moderna.

Grazie alla biologia molecolare divenne evidente che le molecole nelle cellule degli organismi mutavano con una frequenza molto più alta di quanto inizialmente immaginato. I cambiamenti a livello genetico avvenivano in assenza dei classici processi di selezione naturale, rendendo più difficile il loro inquadramento all’interno della sintesi moderna. Secondo i dissenzienti, questa non offriva nemmeno particolari elementi per spiegare alcuni fenomeni che furono determinanti per gli esseri viventi, come il passaggio dalla vita acquatica a quella terrestre, o lo sviluppo di organi sempre più complessi. I biologi molecolari iniziarono a volersi distinguere sempre di più da chi si occupava di biologia evolutiva, mettendo le basi per il confronto degli ultimi decenni sulla necessità di ripensare l’evoluzione.

La sintesi moderna non è rimasta comunque ferma e oggi contempla qualche elemento in più, ma nel complesso mantiene l’impostazione secondo cui l’evoluzione è la storia dei geni che sopravvivono nelle grandi popolazioni di esseri viventi. Secondo la maggior parte dei biologi continua a essere il miglior modo per fornire una spiegazione a livello universale, dedicata all’insieme ristretto di fattori che si possono ritrovare nello sviluppo di qualsiasi forma di vita. Ciò non vuol dire che le eccezioni debbano essere ignorate, ma che occorre riconoscere che non sono così importanti nel descrivere un quadro più generale, che tenga insieme tutto nelle scienze della vita.

I sostenitori della sintesi estesa, invece, ritengono che sia necessario aggiornare profondamente la biologia evolutiva, soprattutto alla luce delle numerose scoperte avvenute negli ultimi decenni in vari ambiti della disciplina. Il Guardian ne cita uno per tutti: la “plasticità”, cioè la capacità di alcuni organismi di adattarsi a determinate condizioni ambientali molto più rapidamente e radicalmente di quanto si immaginasse.

Il Polypterus senegalus è un pesce dotato sia di branchie sia di polmoni, per quanto molto primitivi: può quindi respirare l’aria quando emerge dall’acqua, anche se preferisce di gran lunga rimanere immerso. Un gruppo di ricerca ha quindi provato a prendere alcuni giovani esemplari che avevano sempre vissuto immersi e a lasciarli fuori dall’acqua. Hanno notato un rapido cambiamento delle loro caratteristiche: alcune strutture ossee, i muscoli e le pinne hanno subìto mutazioni per rendere più semplici i movimenti fuori dall’acqua; i polmoni si sono espansi e gli altri organi interni si sono spostati per rendere possibile questa crescita polmonare.

Un esemplare di Polypterus senegalus (Wikimedia)

La trasformazione ha sorpreso il gruppo di ricerca, che ha notato alcune similitudini con le varie fasi di transizione osservate nei fossili degli animali che per primi lasciarono l’acqua per muoversi sulla terraferma. Un cambiamento di questo tipo per la sintesi moderna sarebbe dovuto avvenire in milioni di anni, invece era stato osservato in una singola generazione.

Ci sono numerose altre ricerche che hanno messo in evidenza fenomeni simili in altre specie, ma ciò non implica necessariamente che la plasticità sia in contrasto con le teorie sulla lenta e graduale selezione di alcuni tratti rispetto ad altri. Pone però la possibilità che ci siano altri sistemi evolutivi, con funzionamenti e logiche diverse. Potrebbero essere persino ciò che porta alla quasi repentina comparsa di tratti che non c’erano prima, un fenomeno che la sintesi moderna dell’evoluzione non riesce a spiegare molto bene.

I sostenitori della sintesi estesa comprendono varie altre teorie oltre quella della plasticità, come per esempio l’epigenetica, uno dei settori che ha visto una rapida espansione negli ultimi anni, grazie all’interessamento di numerose istituzioni scientifiche. L’epigenetica studia i processi che alterano l’attività dei geni, senza che però avvenga una mutazione nella sequenza del DNA, con modifiche che possono essere poi trasmesse ad altre generazioni. Il campo di studio è molto ampio e comprende anche l’analisi di eventi come malattie o traumi che possono portare a modificazioni, che vengono poi ereditate.

Terza via
Naturalmente la divisione tra ortodossi e innovatori non è così netta e l’argomento non è sempre polarizzante: ci sono scienziate e ricercatori che vedono opportunità e spunti interessanti in entrambi gli approcci, o che comunque non escludono di aggiungere qualche pezzo alle teorie che hanno studiato prima di dedicarsi alla ricerca. Ma ci sono anche quelli che non sono interessati al dibattito o per meglio dire non sono convinti che serva davvero una grande e unica teoria per spiegare la biologia.

Chi è di questo avviso ritiene che la spasmodica ricerca di un impianto teorico unico sia un retaggio del passato e che debba essere superato, pur riconoscendo che un secolo fa ebbe un ruolo importante per mettere in ordine le conoscenze di allora. La ricerca in biologia è diventata sempre più specializzata e c’è il rischio che muoversi entro regole troppo rigide possa condizionarne gli sviluppi, creando distorsioni a livello cognitivo che portano a cercare conferme alle teorie già esistenti, più che contemplarne di nuove per spiegare alcuni fenomeni.

Il confronto all’interno della comunità scientifica, non solo sulla biologia, è sempre esistito ed è da sempre una parte importante per l’avanzamento delle scienze. Negli ultimi anni, anche grazie a Internet e ai social network, è diventato pubblico e molto più visibile anche al resto della popolazione di non esperti, che può trovare spiazzante vedere quanto siano messi in discussione concetti e idee che dagli studi scolastici tendiamo a vedere come ormai completamente assodati e condivisi. Per chi lo osserva dall’esterno, il dibattito sull’evoluzione – così come quelli su innumerevoli altri temi e discipline nella comunità scientifica – serve a ricordare che la scienza è un processo, dove le risposte servono soprattutto per porsi nuove domande per conoscere un pezzo di mondo in più.