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  • Martedì 21 giugno 2022

Perché gli indigeni stanno protestando in Ecuador

Chiedono riforme economiche e sociali e accusano il governo di Guillermo Lasso di non sapere risolvere i problemi di corruzione

Le proteste a Quito, Ecuador, 16 giugno (AP Photo/ Dolores Ochoa)
Le proteste a Quito, Ecuador, 16 giugno (AP Photo/ Dolores Ochoa)
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Lunedì migliaia di persone indigene dell’Ecuador si sono radunate nella capitale Quito per manifestare contro il governo del presidente conservatore Guillermo Lasso e sollecitare l’introduzione di riforme economiche e sociali. Le proteste vanno avanti da più di una settimana e riguardano soprattutto l’aumento dei costi del carburante e delle materie prime e la richiesta di misure per favorire i diritti sociali, oltre che per far fronte alla crisi economica in corso. Per ora il governo ha dato risposte che i manifestanti hanno ritenuto insufficienti.

Le proteste erano cominciate lunedì 13 giugno ed erano state organizzate dalla Confederazione delle Nazionalità indigene dell’Ecuador (Conaie), un movimento creato nel 1986 per raggruppare varie popolazioni indigene del paese. Gli indigeni sono circa il 25 per cento dei 17,5 milioni di abitanti dell’Ecuador, di cui più della metà è composta da “mestizos”, cioè persone di etnia mista. Il movimento che li riunisce ha ottenuto buona visibilità a partire dagli anni Novanta, diventando uno dei gruppi più rilevanti quando si tratta di avanzare rivendicazioni di carattere sociale ed economico.

La Conaie aveva convocato uno sciopero generale, accusando il governo Lasso di non essere stato in grado di contenere l’inflazione e di non essere riuscito a risolvere i problemi strutturali del paese, come la corruzione, l’inefficienza del sistema sanitario e la disoccupazione. Le manifestazioni erano cominciate in maniera pacifica, ma poi si sono estese ad altre aree della regione settentrionale di Pichincha, dove si trova Quito, e ad altre città del paese, compresa Guayaquil, la più grande dell’Ecuador.

I manifestanti hanno bloccato le strade in varie città e in qualche caso hanno danneggiato veicoli ed edifici pubblici. Ci sono stati anche scontri con la polizia, che ha represso le proteste con gas lacrimogeni: in totale sono stati feriti almeno 55 manifestanti e ne sono stati arrestati 79. Lunedì è stata confermata la morte di un giovane di 22 anni caduto in un burrone poco fuori Quito: secondo i manifestanti la sua morte sarebbe legata alle proteste. Il governo dice che sono stati feriti 61 agenti di polizia.

Per cercare di contenere le proteste, venerdì il governo dell’Ecuador aveva annunciato l’introduzione di misure eccezionali: prevedono più poteri per le forze dell’ordine e limitano le libertà di circolazione delle persone. Inizialmente le misure erano state introdotte in tre regioni del paese, compresa quella di Pichincha, ma lunedì sono state estese ad altre tre regioni.

Leónidas Iza, il leader del Conaie, aveva sollecitato al governo di Lasso una serie di interventi per ridurre il prezzo del carburante e limitare quello dei prodotti di prima necessità, come olio e farina, ma anche per distribuire aiuti economici a 4 milioni di famiglie in difficoltà, migliorare l’accesso all’istruzione e alla sanità e bloccare l’espansione del settore minerario. Il governo ha risposto annunciando alcune misure, tra cui l’aumento da 50 a 55 dollari dei sussidi destinati alle famiglie in difficoltà, la cancellazione dei debiti verso l’erario fino a 3mila dollari e l’aumento della spesa pubblica per l’istruzione. Lasso ha anche annunciato uno stato di emergenza per il sistema sanitario pubblico, ha duplicato il budget per l’educazione interculturale e ha promesso che non verranno aumentati i prezzi del gas e dei carburanti.

Le misure annunciate da Lasso sono state giudicate insufficienti da Iza, che peraltro martedì scorso era stato arrestato a causa del suo coinvolgimento nelle proteste, per poi essere rilasciato il giorno successivo. Iza ha sostenuto che il governo non sia in grado di comprendere la crisi in cui stanno vivendo gli ecuadoriani – compresa la popolazione non indigena – e ha detto che lo sciopero andrà avanti fino a quando le richieste non saranno soddisfatte.

Sembra invece avere posizioni più concilianti Marlon Santi, il coordinatore del movimento Pachakutik, il gruppo politico di orientamento socialista vicino alla confederazione delle popolazioni indigene. Santi ha detto al Tiempo che «si è aperta una possibilità di dialogo» con il governo, a cui però è stato chiesto di revocare le misure eccezionali affinché le discussioni si possano svolgere in un clima di «libertà, tranquillità e fiducia».

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