C’è un accordo nella maggioranza sull’Ucraina

Dopo lunghe e difficili trattative sulle spedizioni di armi e la crisi nel M5S, il Senato ha votato una risoluzione che accompagnerà Draghi al Consiglio Europeo

(Roberto Monaldo / LaPresse)
(Roberto Monaldo / LaPresse)
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Poco prima delle 19 di martedì, il Senato ha approvato una risoluzione sull’Ucraina in vista del Consiglio Europeo, l’istituzione di cui fanno parte i capi di stato e di governo dell’Unione Europea, che si terrà giovedì 23 e venerdì 24 giugno. La votazione a favore è arrivata dopo giorni di difficili e ampi confronti tra i partiti della maggioranza che sostiene il governo di Mario Draghi.

I voti favorevoli sono stati 219, quelli contrari 20 e gli astenuti sono stati 22. Domani dovrà votare sulla medesima risoluzione anche la Camera, ma si prevede un esito analogo a quello del Senato. Alla fine, quindi, la maggioranza è rimasta piuttosto compatta, ma conciliare tutte le posizioni sull’Ucraina nei giorni scorsi non era stato per nulla semplice.

In quattro mesi di guerra infatti si erano sviluppati orientamenti e posizioni assai diverse, e la maggioranza aveva dovuto trattare per arrivare a un testo che trasmettesse un’immagine di unità a livello internazionale, che accontentasse le volontà di alcuni partiti di dissociarsi da certe azioni del governo e di veder riconosciuto un ruolo del parlamento, e che andasse bene al governo e allo stesso tempo non facesse fare una figuraccia a nessun partito.

In particolare le discussioni si erano concentrate sulle forniture di armi, e avevano interessato soprattutto il Movimento 5 Stelle, col risultato che c’erano stati molti ostacoli e lungaggini nelle trattative per una risoluzione che mettesse d’accordo tutti. Nel suo discorso iniziale, Draghi aveva evitato di parlare di armi, con una generica raccomandazione a continuare a coinvolgere il Parlamento nelle decisioni del governo sull’Ucraina.

La discussione di martedì è coincisa con un momento assai agitato nella politica: il Movimento 5 Stelle sembra prossimo a una scissione, una più cospicua rispetto alle precedenti, tra la maggioranza fedele all’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte e una minoranza, sembra di alcune decine di parlamentari, che dovrebbe seguire il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. È tutto collegato: Di Maio è diventato espressione dell’ala più governista e moderata del M5S, mentre Conte ha orientato la propria leadership verso un ritorno a un maggiore radicalismo del partito, che tra le altre cose si esprime proprio in un forte scetticismo sulle forniture di armi all’Ucraina.

L’intero M5S in realtà a marzo aveva votato un precedente decreto legge che autorizzava spedizioni di armi fino a dicembre: da allora però aveva insistito sulla necessità di favorire una “de-escalation” del conflitto, sostenendo che si possa fare smettendo di inviare armi. Intorno alla questione si erano sviluppate profonde divisioni dentro al M5S e nella maggioranza, anche perché altri partiti erano scettici: per esempio la Lega, che nel dibattito di martedì aveva chiesto che le armi inviate fossero solo a scopo difensivo.

È intorno a tutti questi problemi che si sono articolate le trattative dei partiti di questi giorni, per arrivare alla votazione di un qualche tipo di testo che non scontentasse troppo nessuno.

A cercare di mediare erano stati vari esponenti politici, in particolare del Partito Democratico e di Liberi e Uguali, alleati del M5S e piuttosto preoccupati della possibile scissione. Si era parlato a questo proposito di una “onorevole via di uscita” per il M5S, una risoluzione insomma che salvasse la faccia sia a Conte sia a Di Maio.

Nel discorso introduttivo, piuttosto breve e generico, Draghi aveva ribadito che l’Italia chiederà al Consiglio di assegnare all’Ucraina lo status di paese candidato a entrare nell’Unione Europea, come annunciato pochi giorni fa durante una visita in Ucraina. Ha aggiunto che «gran parte dei paesi vicini alla Russia, grandi e piccoli, guardano ora all’Unione Europea per la sicurezza, per la pace, per la stabilità. Il percorso da paese candidato a stato membro è lungo per via delle impegnative riforme strutturali richieste. Ma il segnale europeo deve essere chiaro e coraggioso da subito».

Aveva poi detto di nuovo che una eventuale pace dovrà essere negoziata anche dall’Ucraina, perché «solo una pace concordata e non subita può essere duratura». È una risposta indiretta a quanti ritengono che l’Occidente debba negoziare una tregua con la Russia senza tener conto del parere del governo ucraino.