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(NonUnaDiMeno)

La storia di Cloe Bianco

Era una donna trans e una professoressa con un passato di discriminazioni sul lavoro, e si è uccisa una settimana fa nel bellunese

La storia del suicidio di Cloe Bianco, una donna trans il cui corpo carbonizzato è stato trovato in un furgone bruciato dalle fiamme sabato scorso nel bellunese, è da giorni sulle cronache dei giornali e le ricostruzioni e testimonianze sul suo passato, segnato da pesanti discriminazioni sul lavoro, sono diventate un esempio di come può essere la vita quotidiana di una persona transgender in Italia, citate da opinionisti e associazioni che si occupano di discriminazioni contro le persone LGBT+ per denunciare la carenza di leggi, strumenti e sensibilità a riguardo.

Bianco era originaria di Marcon, in provincia di Venezia, aveva 58 anni e il giorno prima di uccidersi aveva lasciato un ultimo post sul suo blog in cui diceva che lo avrebbe fatto. Aveva lavorato come professoressa in varie scuole superiori ed era una persona abbastanza nota nella zona perché nel 2015, quando aveva cominciato a presentarsi a scuola indossando abiti femminili, era stata al centro di una polemica che aveva coinvolto anche la politica locale.

La mattina presto di sabato 11 giugno nel Bellunese, tra Auronzo di Cadore e Misurina, i vigili del fuoco erano dovuti intervenire per spegnere le fiamme di un furgone che stava andando a fuoco. All’interno del furgone era stato trovato un corpo carbonizzato, quello di Cloe Bianco, che aveva allestito il mezzo come una casa su ruote e ci viveva dentro. Inizialmente si era ipotizzato che il furgone potesse aver preso fuoco per qualche motivo e che lei non fosse riuscita a uscirne in tempo. Le indagini sulle cause della morte sono ancora in corso, ma dopo la scoperta del post pubblicato sul blog non ci sono più molti dubbi sul fatto che si sia trattato di un suicidio.

Bianco aveva cominciato a scrivere sul suo blog nel novembre del 2015: riportava soprattutto notizie e considerazioni legate all’esperienza delle persone trans in Italia, che definiva da questo punto di vista «desertica» e «malata». Bianco si era espressa soprattutto sulla propria esperienza di donna trans che non vuole «seguire i dettami della collettività trans italica, specialmente riguardo le modalità di transizione da un genere all’altro». Scriveva cioè di essere doppiamente discriminata: non solo come donna trans ma anche come donna trans non intenzionata a sottoporsi a interventi psicologici o psichiatrici (che in Italia sono necessari per chiunque voglia cambiare il genere sui propri documenti), terapie ormonali o operazioni chirurgiche.

Nel 2015 Bianco lavorava come insegnante all’istituto tecnico Scarpa-Mattei di San Donà di Piave (in provincia di Venezia) ed era appena diventata insegnante di ruolo. Forse anche per questo aveva deciso che era ora di cominciare a esprimere liberamente il proprio genere anche nel luogo di lavoro. Dopo aver avvisato il preside, si era presentata in aula con vestiti femminili e una parrucca e aveva spiegato alla classe le sue motivazioni. Il padre di uno studente che era venuto a sapere della cosa aveva scritto una lettera all’allora assessora all’Istruzione della regione Veneto, Elena Donazzan (eletta con Fratelli d’Italia), in cui diceva tra le altre cose: «ma davvero la scuola si è ridotta così?» e «ho voluto metterla al corrente di quanto accaduto sperando che con il suo ruolo di assessore alle Politiche dell’Istruzione possa fare qualcosa perché in futuro queste cose non accadano più».

Donazzan aveva pubblicato l’intera lettera su Facebook commentando con «traete da soli le vostre conclusioni» e alla stampa aveva detto: «chiederò di prendere dei provvedimenti. La sua sfera dell’affettività è un fatto personale. Ma quello che è accaduto è grave. Ci preoccupiamo molto del presepio a scuola per non urtare la sensibilità degli studenti musulmani. E questo allora?».

Il preside della scuola si era limitato a dire: «è un docente e come tale va rispettato», ma poi era uscita la notizia che Bianco era stata sospesa dal lavoro per tre giorni. Nei giorni successivi la vicenda era stata nuovamente ripresa dai giornali: la vicepreside aveva raccontato di aver parlato con Bianco del suo abbigliamento e di averla convinta a indossare abiti più «sobri». Bianco aveva presentato un ricorso al tribunale del Lavoro contro la sospensione dalla scuola, ma l’aveva perso: il giudice aveva motivato la decisione sostenendo che fare coming out in quel modo non era stato «responsabile e corretto», e che avrebbe dovuto preparare prima la classe. Dopodiché, riporta il Corriere del Veneto, Bianco era stata messa a lavorare nella segreteria scolastica, quindi non più a contatto con gli studenti, e si era isolata.

Sara Mazzonetto, una ex studente di Bianco che ora ha 21 anni, ha raccontato a Repubblica che «la discriminarono subito, anche i colleghi la guardavano con disprezzo. Quando scoppiò il caso tutti le voltarono le spalle. Alcuni docenti, addirittura, si sfogavano con noi dicendo che aveva rovinato la reputazione della scuola».

Nel suo ultimo post Bianco non ha motivato la decisione di uccidersi, ma i movimenti per i diritti delle persone trans e non solo l’hanno ricondotta alla sua storia di discriminazioni subite. È noto che tra le persone trans il rischio di soffrire di disagio psicologico e di commettere suicidio è più alto che nelle persone cisgender, cioè che si riconoscono nel genere assegnato loro alla nascita. La transfobia e le discriminazioni sono citate tra i fattori che più possono contribuire alla depressione e alle tendenze suicide.

La maggioranza delle scuole e degli uffici pubblici italiani non prevede in nessun modo la gestione della transizione di genere di un o una dipendente, cosa che invece è sempre più frequente nelle grandi aziende e multinazionali. La gestione di questi casi viene solitamente lasciata al buon senso – quando c’è – di chi occupa ruoli dirigenziali. Negli ultimi anni in alcune scuole e università italiane si è diffusa la possibilità di avere un documento definito “alias“, che corrisponde all’identità di genere vissuta quando questa diverge da quella associata al sesso di nascita e che permette a studenti trans che hanno documenti non aggiornati di comunicare e vedere riconosciuta la propria identità di genere.

– Leggi anche: Cos’è l’identità alias

Porpora Marcasciano, storica esponente del movimento italiano per i diritti delle persone trans, ha commentato su Facebook e Instagram che la cultura «patriarcale continua a opprimere a volte visibilmente, altre subdolamente. Essa ti assale nei momenti di debolezza spingendoti all’angolo».

Vladimir Luxuria, che è una delle donne trans più famose in Italia per il suo lavoro in politica e televisione, e che è stata in passato insegnante nelle scuole superiori, ha detto in un’intervista a Fanpage che «la sospensione dal ruolo è un provvedimento eseguito in caso di fatti gravissimi sul luogo di lavoro. Cloe si è sentita indegna, una criminale. Le hanno praticamente detto che una donna come lei non poteva insegnare. Per una docente che ama fare il suo lavoro questa è una vera e propria condanna a morte».

Nella giornata di venerdì 17 è stato organizzato un presidio davanti al ministero dell’Istruzione per chiedere una scuola più inclusiva e accogliente.

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Dove chiedere aiuto
Se sei in una situazione di emergenza, chiama il numero 112. Se tu o qualcuno che conosci ha dei pensieri suicidi, puoi chiamare il Telefono Amico allo 02 2327 2327 oppure via internet da qui, tutti i giorni dalle 10 alle 24.

Puoi anche chiamare i Samaritans al numero verde gratuito 800 86 00 22 da telefono fisso o al 06 77208977 da cellulare, tutti i giorni dalle 13 alle 22.

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