L’Italia e il pagamento del gas russo in rubli

Il governo ha chiesto un chiarimento della Commissione Europea per capire se costituisca o no una violazione dei contratti

Il presidente del Consiglio Mario Draghi al termine della riunione del Consiglio Europeo dello scorso 25 marzo
(ANSA/ UFFICIO STAMPA PALAZZO CHIGI/ FILIPPO ATTILI)
Il presidente del Consiglio Mario Draghi al termine della riunione del Consiglio Europeo dello scorso 25 marzo (ANSA/ UFFICIO STAMPA PALAZZO CHIGI/ FILIPPO ATTILI)
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Lunedì sera, nel corso della conferenza stampa di presentazione del cosiddetto “Decreto aiuti”, il presidente del Consiglio Mario Draghi è tornato parlare della questione del pagamento del gas russo, che nelle ultime settimane è diventata argomento di grosse discussioni sia all’interno del governo italiano sia tra i vari paesi dell’Unione Europea. Come aveva già fatto di recente, Draghi ha ribadito che la posizione al riguardo deve essere decisa assieme agli altri paesi europei, e che per questo ha chiesto un chiarimento da parte della Commissione Europea.

Nonostante questo, la questione dei rifornimenti energetici sta creando notevoli polemiche: l’Unione Europea è accusata di finanziare lo sforzo bellico russo comprando gas, e di nuovo martedì il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha chiesto all’Europa di adottare «misure chiare per bloccare i ricavi energetici russi». Inoltre, se decidesse di pagare in rubli le forniture energetiche come chiesto dal regime russo, l’Europa rischierebbe di mettere a rischio anche la solidità delle sanzioni economiche contro la Russia.

Per questo, anche secondo Draghi, un chiarimento legale è necessario: il recente decreto russo che obbliga la banca di stato Gazprombank a convertire in rubli tutti i pagamenti ricevuti ha creato una “zona grigia” in cui non è possibile dire con sicurezza se ci sia stata o meno una violazione dei contratti da parte dei compratori europei.

Nelle conferenza stampa Draghi ha detto che il governo italiano seguirà le indicazioni europee e che «non c’è alcuna distinzione dell’Italia dagli altri paesi», ma ha anche aggiunto come sia «molto importante che la Commissione esprima un parere legale chiaro sul fatto se il pagamento in rubli costituisce circonvenzione delle sanzioni o no. Questo è l’unico modo per tenerci tutti uniti, se non c’è una linea di condotta è chiaro che ogni società o paese farà come crede».

Peraltro prima della conferenza, un’apertura dell’Italia al pagamento in rubli sembrava essere arrivata dal ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani, che lunedì in un’intervista a Politico aveva detto: «Penso che sarebbe bene per alcuni mesi, almeno, consentire alle aziende di andare avanti e pagare in rubli, mentre comprendiamo il quadro giuridico e le implicazioni». Nella conferenza stampa di lunedì Cingolani ha però smentito di aver detto quella frase, e ha sostenuto che il contenuto dell’articolo non corrispondesse al suo pensiero. Lo ha fatto però leggendo un passaggio dell’articolo in cui si parlava genericamente del decreto russo, e non il virgolettato esatto con le sue parole.

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Le discussioni sui pagamenti del gas in rubli erano iniziate quando a fine marzo il presidente russo Vladimir Putin aveva firmato un decreto che obbligava Gazprombank a convertire in rubli la totalità dei pagamenti ricevuti per il gas dai paesi “ostili”, cioè tutti i paesi occidentali.

Il decreto era un modo per aggirare le sanzioni imposte alla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina e cercare di risollevare l’economia russa, ma soprattutto un espediente che permettesse ai paesi occidentali di continuare a pagare il gas russo in euro o dollari e allo stesso tempo alla Russia di ricevere l’equivalente i rubli. Tecnicamente col nuovo sistema di pagamento previsto dal decreto i compratori (cioè i paesi europei) potrebbero continuare a versare euro o dollari a Gazprombank e a ricevere gas in cambio, ma solo aprendo un secondo conto presso la banca, in cui l’istituto trasferirebbe il denaro convertendolo in rubli, per poi passarlo sul proprio conto: in questo modo, di fatto, i pagamenti a Gazprom risulterebbero in rubli, anche con versamenti iniziali in euro o dollari.

Ma questa soluzione di compromesso è considerata da molti esperti equivoca e potrebbe costituire una violazione dei contratti. Anche se alla conversione dei pagamenti in rubli ci penserebbe Gazprombank, escludendo quindi una partecipazione diretta dei compratori stranieri nell’operazione, il decreto russo prevede che il pagamento venga considerato terminato solo al momento della conversione in rubli e non prima. In questo senso il compratore dovrebbe essere considerato coinvolto fino all’ultimo passaggio.

La Commissione Europea nei giorni scorsi aveva già espresso un parere sul pagamento in rubli, di fatto approvando lo schema del doppio conto, ma era stato considerato confuso e insufficiente da vari paesi che, come l’Italia, stanno chiedendo indicazioni più chiare su cosa fare nelle prossime settimane, quando arriveranno le scadenze dei pagamenti.

A rendere più confusa la situazione c’è il fatto che varie aziende energetiche europee si starebbero muovendo per conto proprio: secondo indiscrezioni pubblicate da Bloomberg nei giorni scorsi, per esempio, anche l’italiana Eni sarebbe pronta ad aprire un conto in rubli presso Gazprombank, per seguire il sistema di pagamento chiesto dal regime russo.

Le dichiarazioni di Draghi nella conferenza stampa di lunedì sono poi arrivate dopo che nei giorni scorsi Gazprom, l’azienda energetica statale russa, aveva annunciato di aver interrotto le forniture di gas naturale alla Polonia e alla Bulgaria, in seguito al loro rifiuto di pagare in rubli come richiesto dal governo russo. Polonia e Bulgaria non erano i soli paesi ad aver rifiutato di pagare in rubli, ma erano i primi con i pagamenti per il gas in scadenza.

Per altri paesi, tra cui l’Italia, i prossimi versamenti per le importazioni del gas russo dovranno essere effettuati entro la fine di maggio, e perciò Draghi sta chiedendo alla Commissione Europea di prendere una decisione quanto prima, in modo da evitare che i vari paesi agiscano in modo autonomo.

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