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  • Domenica 27 marzo 2022

Cose che non vedremo più in uno Slam

Una nuova regola sui tie-break nei più importanti tornei di tennis ridurrà la possibilità di partite lunghissime e punteggi strani, rendendo irripetibili alcuni storici incontri

John Isner e Nicolas Mahut dopo la loro partita a Wimbledon nel 2010 (Getty Images)
John Isner e Nicolas Mahut dopo la loro partita a Wimbledon nel 2010 (Getty Images)

Il 22 giugno del 2010, poco dopo le sei di pomeriggio, cominciò una partita di tennis apparentemente degna di poche attenzioni: John Isner e Nicolas Mahut si affrontavano in un primo turno di Wimbledon non particolarmente rilevante, che infatti fu giocato su un campo periferico. Eppure due giorni dopo si parlava di quella partita in tutto il mondo, perché non era ancora finita. Isner-Mahut entrò nella storia del tennis come la partita più lunga di sempre, con 11 ore e 5 minuti di gioco distribuite su tre giorni e terminate con il punteggio di 6-4, 3-6, 6-7, 7-6, 70-68 a favore di Isner.

Un quinto set con un punteggio del genere, 70-68, non si potrà mai più vedere su un campo da tennis di quel livello: la scorsa settimana il consiglio del Grande Slam, l’organo che coordina i quattro tornei più importanti della stagione, ha deciso di introdurre il tie-break sul punteggio di 6-6 anche nei set decisivi, il terzo nel tennis femminile, il quinto in quello maschile.

Un ripasso per principianti. Gli Slam sono i quattro tornei più importanti del tennis: Wimbledon, Roland Garros, US Open e Australian Open. Hanno in parte regole loro. Il set è la suddivisione principale di un incontro di tennis: al torneo maschile degli Slam si gioca alla meglio dei 5 set, cioè vince il primo tennista che ne vince 3; al torneo femminile, al meglio dei 3 (vince la tennista che arriva per prima a 2). Ciascun set è diviso in game, e per aggiudicarsi il set bisogna vincerne 6, ma con 2 di vantaggio. I punteggi all’interno dei game si contano con la tradizionale progressione 15, 30, 40, game.

Il tie-break è quello che succede agli Slam quando in un set i due tennisti o le due tenniste arrivano a 6 game pari. Per decidere chi vince il set si gioca un game speciale, nel quale i punti si contano diversamente (1, 2, 3, 4, eccetera) che si conclude quando uno dei due tennisti arriva ad almeno 7 punti, con due di vantaggio sull’avversario. Finché nessuno riesce a guadagnare questo scarto si va avanti ad oltranza. In alcuni Slam, però, il tie-break non era previsto per il quinto set degli incontri maschili e per il terzo di quelli femminili: in quei casi, anche sul punteggio di 6-6 si proseguiva normalmente con altri game, finché qualcuno non ne vinceva due in più dell’avversario. È quello che successe con Isner e Mahut, che dovettero giocare 138 game prima che Isner ne guadagnasse due di vantaggio.

Con l’introduzione della nuova regola, anche negli Slam il punteggio di un set decisivo potrà essere al massimo 7-6, come per tutti gli altri set. Sarà comunque un tie-break un po’ diverso dagli altri, perché per vincerlo bisognerà raggiungere almeno dieci punti, con due di vantaggio, invece dei soliti sette.

Qualcuno lo chiama “super tie-break”, è già stato sperimentato nelle ultime edizioni degli Australian Open ed entrerà in vigore dal prossimo Roland Garros. Sulle motivazioni di questa nuova regola, nel comunicato ufficiale si fa riferimento a una «maggiore coerenza» nei tornei del Grande Slam, che finora applicavano quattro regolamenti diversi per i set decisivi e ora ne avranno uno uguale per tutti. Nell’ambiente però è noto che ci fosse da tempo la volontà di limitare le partite troppo lunghe.

I tabelloni degli Slam hanno in gara 256 tennisti e altrettante tenniste, quindi nelle due settimane di torneo si devono disputare oltre cinquecento partite, senza contare quelle di doppio: se troppe si prolungano c’è il rischio di bloccare il tabellone e avere sempre meno giorni per far giocare quelle successive. Quando questo accade, capita che i tennisti debbano disputare troppe partite ravvicinate, mettendo in pericolo le loro condizioni fisiche e la spettacolarità del torneo.

L’altro motivo è evitare che le partite successive a quelle molto lunghe non siano equilibrate per la stanchezza di uno dei due giocatori: se ne parlò sempre a Wimbledon, nel 2018, quando il sudafricano Kevin Anderson dovette affrontare in finale Novak Djokovic dopo una semifinale di 6 ore e 36 minuti contro Isner, finita con il punteggio di 7-6, 6-7, 6-7, 6-4, 26-24.

La lunghezza delle partite degli Slam è una questione molto dibattuta. Ci si riferisce quasi sempre al tennis singolare maschile, perché è l’unico che prevede (solo negli Slam) partite al meglio dei cinque set. Molti esperti e appassionati di tennis sostengono che la nuova regola sia insufficiente, se si vuole limitare la durata delle partite: tra questi c’è Ben Rothenberg, uno dei più importanti giornalisti che seguono il tennis, secondo cui il vero problema è la durata dei cinque set che precedono l’eventuale 6-6, non quella della parte che viene dopo, che per giunta è la più emozionante. Rothenberg ha fatto l’esempio dell’altra semifinale di Wimbledon del 2018, quella tra Djokovic e Nadal, che impiegò 4 ore e 46 minuti per raggiungere il 7-6 nel quinto set: «Finì 29 minuti dopo per 10-8… quei 29 minuti in più furono la parte migliore».

C’è poi un’altra questione da tenere in considerazione: non sono molte le partite che finiscono al quinto set, e tra queste solo una minima parte arriva al 6-6. Nell’ultimo Roland Garros, per esempio, su 255 partite del tabellone maschile solo in un caso si sarebbe applicata la nuova regola.

Altri esperti hanno una buona opinione del nuovo tie-break e sostengono che non toglierà spettacolarità alle partite degli slam, come altri temono. Matthew Willis – che ha una newsletter di analisi e approfondimento sul tennis chiamata The Racquet – ha fatto notare che nel discorso comune si tende a confondere la lunghezza con la qualità delle partite, ma la loro “epicità” continuerà a essere garantita dal fatto che in una partita di cinque set accadono comunque moltissime cose, anche quando finisce con un tie-break.

Isner-Mahut, per esempio, non fu una grande partita a livello tecnico, e chi la seguì per tutte le sue 11 ore e 5 minuti probabilmente si annoiò per larghi tratti. In tutto quel tempo, però, successero un sacco di cose mai viste nel tennis e furono battuti moltissimi record che verosimilmente non saranno mai superati. Si giocarono 980 punti e l’ultimo set durò 491 minuti. Isner realizzò il maggior numero di ace in una partita (112), cioè i punti su servizio senza che l’avversario tocchi la palla. Durante il secondo giorno si diedero il cambio due squadre di guardalinee e quattro di raccattapalle in oltre 7 ore. Sul 47 pari il tabellone si bloccò perché non era programmato per punteggi superiori.

La targa commemorativa al campo 18 di Wimbledon (Oli Scarff/Getty Images)

Quella fu comunque un’eccezione davvero irripetibile. Le cose cominciarono a cambiare dopo le semifinali di Wimbledon del 2018, e dopo le lamentele di diversi giocatori. US Open, che aveva già il tie-break al quinto set, non cambiò nulla; Australian Open introdusse nel 2019 il tie-break a 10, come quello della nuova regola; nello stesso anno Wimbledon scelse sì un tie-break, ma da giocarsi solo sul 12-12. Il quinto set a oltranza rimase soltanto al Roland Garros.

La prima partita di Wimbledon decisa dal tie-break sul 12-12 del quinto set fu la finale tra Djokovic e Federer del 2019: ora che è cambiata la regola sappiamo anche che non ce ne saranno altre. Finì col punteggio di 7-6, 1-6, 7-6, 4-6, 13-12, è ricordata come una delle finali più belle di sempre ed è tuttora la più lunga della storia del torneo, con 4 ore e 57 minuti di gioco. Il fascino della partita fu aumentato dal fatto che Federer aveva quasi 38 anni: era ragionevole pensare che quella fosse la sua ultima finale a Wimbledon e se l’avesse vinta probabilmente si sarebbe ritirato di lì a poco, ricordato come il giocatore più vincente di sempre.

Invece Federer giocò male nei momenti decisivi della partita, e soprattutto non sfruttò due matchpoint – cioè punti validi per la vittoria – sul punteggio di due set pari: nessun giocatore prima di Djokovic era mai riuscito a vincere una finale a Wimbledon annullando due matchpoint. Anche al tie-break decisivo Federer sembrò pagare un po’ di tensione, al contrario del suo avversario, inflessibile. Il dibattito sulla nuova regola si può ridurre a questo esempio: chi è favorevole sostiene che non sarebbe cambiato molto con un tie-break sul 6-6 invece che sul 12-12; chi è contrario fa notare che la maggiore lunghezza ha aggiunto giocate e scambi che hanno reso quella partita ancora più memorabile.

Dopo aver vinto Djokovic esultò in modo pacato, assaggiando qualche filo d’erba del centrale di Wimbledon: «Non ho festeggiato perché è stato un sollievo», disse (Clive Brunskill/Getty Images)

Anche il tennis femminile ha avuto problemi di partite lunghissime e sfinenti per le tenniste, nonostante si giochi sempre al meglio dei tre set. Anche in questo caso, qualcuno ha ricordato con nostalgia partite emozionanti che non sarebbero state possibili con la nuova regola. La più lunga di sempre nel tennis femminile fu un ottavo di finale degli Australian Open del 2011 tra Francesca Schiavone e la russa Svetlana Kuznetsova, vinto dall’italiana in 4 ore e 44 minuti. Schiavone annullò sei matchpoint, di cui tre consecutivi sull’8-7 per l’avversaria al terzo set. «Spero di poter far vedere il dvd di questo match a mio figlio, un giorno», disse dopo la partita. Arrivò però ai quarti di finale molto stanca e perse contro Caroline Wozniacki, che aveva superato il turno precedente in appena un’ora e 20 minuti.

Il problema della disparità di energie come quella nel match fra Schiavone e Wozniacki nel tennis del Grande Slam esiste da sempre, e anzi: un tempo era anche più problematica. Fino al 1970 nei tornei dello Slam non era previsto alcun tie-break, in nessun set. Era quindi possibile vedere punteggi come quello del primo turno di Wimbledon 1969 tra gli statunitensi Pancho Gonzales e Charlie Pasarell: 22-24, 1-6, 16-14, 6-3, 11-9, distribuiti su due giorni di gioco. La Davis Cup, la massima competizione maschile a squadre per nazionali, mantenne questo formato addirittura fino al 1989. I tie-break però furono introdotti per tutti i set meno che il quinto, che venne omologato agli altri solo nel 2016.

Pensare che una partita di tennis agli Slam possa essere potenzialmente infinita, insomma, fa parte del fascino di questo sport da sempre, ma è comunque una caratteristica che non verrà eliminata dalla nuova regola: per vincere un game, un set o un tie-break, anche quelli a 10 punti, nel tennis bisogna comunque avere due punti di vantaggio sull’avversario, altrimenti si prosegue a oltranza. Fino a oggi il maggior punteggio registrato in un tie-break è stato 24-22, raggiunto lo scorso febbraio nella semifinale del torneo di Dallas tra gli statunitensi Reilly Opelka e ancora John Isner.