La grave ondata di coronavirus a Hong Kong
È la peggiore dall'inizio della pandemia e il governo locale si è fatto trovare impreparato, dopo due anni di politica "zero COVID"
Da alcune settimane Hong Kong sta facendo i conti con la peggiore ondata di COVID-19 dall’inizio della pandemia. Gli ospedali sono sotto forte pressione, con i reparti pieni e pazienti lasciati nei corridoi spesso senza la possibilità di ricevere cure adeguate. L’alto numero di casi dovuto in particolare alla variante omicron ha messo in evidenza l’impreparazione del governo ad affrontare l’emergenza, dopo due anni in cui la pandemia era stata tenuta sotto controllo grazie alla cosiddetta politica “zero COVID”, con immediati lockdown e test a tappeto per bloccare i focolai di coronavirus.
Nell’ultima settimana a Hong Kong sono morte in media circa 285 persone al giorno a causa della COVID-19, uno dei tassi più alti di tutto il mondo. In Italia i decessi sono stati in media 140 al giorno negli ultimi sette giorni, anche a causa di un nuovo aumento dei casi positivi da fine febbraio (Hong Kong ha 7,5 milioni di abitanti contro i quasi 60 milioni dell’Italia).
In media nell’ultima settimana i casi positivi rilevati a Hong Kong ogni giorno sono stati 2.300 per milione di persone, contro i circa 900 per milione in Italia. Dall’inizio della nuova ondata, che si era avviata lentamente alla fine di dicembre, sono stati rilevati 740mila casi a Hong Kong, ma secondo analisti e osservatori il dato sottostima grandemente l’estensione del contagio.
L’Università di Hong Kong ha stimato che l’attuale ondata abbia finora causato almeno 3,6 milioni di infezioni: quasi metà della popolazione è stata quindi contagiata in pochi mesi.
I medici e il resto del personale sanitario attribuiscono l’emergenza sanitaria a una sostanziale impreparazione da parte del governo locale, che non aveva elaborato piani specifici per un eventuale aumento marcato dei casi, dedicando quasi tutti gli sforzi a mantenere le politiche “zero COVID”. La scelta aveva del resto pagato in questi due anni di pandemia, con rari focolai che le autorità sanitarie erano riuscite a tenere sotto controllo, seppure imponendo a interi quartieri rigide regole di isolamento per settimane o mesi a seconda dei casi.
Per fermare da subito i contagi, a partire dai primi mesi del 2020 Hong Kong aveva previsto che chiunque avesse un’infezione dovesse essere ricoverato in una struttura sanitaria, anche se privo di sintomi. Le persone venute eventualmente in contatto con l’individuo infetto dovevano essere invece trasferite in strutture per la quarantena, con l’obbligo di rimanervi per periodi variabili fino a un massimo di tre settimane. Alcune di queste regole erano poi cambiate nel corso del tempo, anche in seguito all’introduzione di sistemi per compiere test di massa in interi quartieri.
L’avvento della variante omicron alla fine dello scorso anno ha però cambiato sensibilmente le cose. Come avvenuto in molti altri paesi, la variante si era rivelata da subito più contagiosa rispetto alle precedenti, con una capacità di diffondersi molto rapidamente, costringendo le autorità sanitarie a inseguire più che a prevenire.
Il rapido aumento dei casi aveva causato seri problemi organizzativi e spinto il governo a passare alla strategia “dynamic zero COVID”, un piano che prevedeva un maggiore ricorso ai test per la popolazione e l’apertura di nuove strutture per le quarantene. La scelta aveva portato a critiche, considerato che in una fase di alta circolazione del coronavirus è opportuno potenziare soprattutto le strutture sanitarie, in modo da potersi occupare delle persone che sviluppano sintomi gravi.
Per giorni le informazioni sono state frammentarie e in contraddizione tra loro, portando a una certa confusione e talvolta panico tra la popolazione. Si è rilevato un sensibile aumento di acquisti di alimenti a lunga conservazione, nel timore che potesse essere indetto un rigido lockdown, e chi ha potuto ha lasciato la città per trascorrere alcune settimane altrove.
Dopo giorni di notizie poco chiare, la settimana scorsa la governatrice di Hong Kong, Carrie Lam, aveva annunciato il rinvio delle nuove politiche legate ai test per tutta la popolazione, contestualmente a nuove misure per contenere i contagi e i decessi. Parte del piano prevede la rapida vaccinazione della popolazione più anziana, che finora non si era sottoposta al vaccino ritenendo di essere protetta a sufficienza dalla strategia “zero COVID”, che aveva del resto mostrato buoni risultati dall’inizio della pandemia.
A Hong Kong si era finora vaccinato solamente il 35 per cento della popolazione con più di 80 anni, una quota piuttosto bassa se si considera che nella popolazione generale sopra i 12 anni il tasso di completamente vaccinati è intorno all’80 per cento. La scarsa percentuale di grandi anziani con vaccino spiega in parte l’aumento dei decessi nelle ultime settimane, considerato che le persone anziane hanno rischi maggiori di sviluppare forme gravi di COVID che richiedono il ricovero e possono causare la morte.
Il governo di Hong Kong confida di cambiare le cose rilanciando la campagna di vaccinazione tra i più anziani, con varie iniziative compreso un aumento delle somministrazioni nelle case di cura e di riposo. L’iniziativa prevede che squadre di vaccinatori le visitino tutte entro la fine di questa settimana.
Poco meno di due anni di “zero COVID” hanno avuto un visibile impatto sociale e stanno condizionando il modo in cui parte della popolazione vive l’attuale ondata. Dopo avere ricevuto per mesi comunicazioni sulla pericolosità delle persone positive, sulla necessità di isolarle e sull’importanza di prendere massime precauzioni anche con gli asintomatici, molte persone chiamano da subito i soccorsi non appena scoprono di essere positive, intasando le linee telefoniche di assistenza e soprattutto gli ospedali.
Temendo di finire per lungo tempo in isolamento e di costringere alla medesima sorte parenti e amici con cui erano venuti in contatto, altri decidono di fare l’esatto opposto e se scoprono con test fai-da-te di essere positivi non dichiarano la propria condizione, provvedendo a isolarsi autonomamente in casa. Il fenomeno sembra essere piuttosto diffuso ed è una delle spiegazioni sulle stime in difetto delle persone effettivamente contagiate durante questa ondata.
Non essendoci comunque disponibilità di posti a sufficienza nelle strutture di quarantena, il governo di Hong Kong ha allentato alcune delle regole. Ora le persone che sono entrate in stretto contatto con un individuo positivo possono iniziare l’isolamento a casa, se non ci sono posti nelle strutture, anche nel caso in cui il loro contatto stretto positivo sia un convivente.
Le modifiche alla “zero COVID” e l’intensificazione della campagna vaccinale sono derivate dalle forti pressioni da parte del governo centrale cinese, insoddisfatto sulla recente gestione dell’emergenza coronavirus. Hong Kong è una regione amministrativa speciale e mantiene numerose autonomie, ma subisce comunque un certo controllo da parte della Cina.
Lo stesso governo cinese nelle ultime settimane ha dovuto affrontare un marcato aumento dei casi, con il più alto tasso di positivi dalle prime fasi della pandemia nel 2020. A Shenzhen, area metropolitana a nord di Hong Kong in cui vivono 17,5 milioni di persone, nel fine settimana è stato disposto un lockdown, dopo che domenica nella città erano stati segnalati 60 casi positivi. Buona parte degli esercizi commerciali, esclusi quelli che vendono alimenti e altri beni essenziali, saranno chiusi, mentre le autorità locali hanno disposto test di massa per provare a identificare i nuovi casi.
La Cina sta provando a mantenere un approccio “zero COVID” in questa fase, ma non è chiaro se sarà sufficiente per tenere sotto controllo la diffusione della variante omicron, che come si è ampiamente visto in Occidente si diffonde molto rapidamente, pur comportando sintomi lievi specialmente nelle persone vaccinate.
Nelle ultime 10 settimane, la Cina ha rilevato più casi positivi che in tutto il 2021: circa 14mila. La regione di Jilin, nella Manciuria meridionale, è una delle aree più interessate e ci sono forti dubbi sulla possibilità di contenere i contagi grazie alla “zero COVID”. Molte città stanno approntando ospedali temporanei per ospitare i contagiati e i malati, ma ci sono preoccupazioni soprattutto per i più anziani, che come a Hong Kong contano pochi vaccinati.
La scorsa settimana le autorità sanitarie cinesi hanno concesso qualche apertura ai test antigenici fai-da-te, che possono essere impiegati per determinare l’eventuale positività al posto dei test molecolari, che richiedono più tempo per essere analizzati. Martedì 15 marzo si è inoltre deciso di consentire alle persone con sintomi lievi di rimanere in quarantena in strutture dedicate al posto degli ospedali veri e propri, per evitare di intasarli.
Dall’inizio della pandemia la Cina ha segnalato circa 4.500 decessi da COVID-19 e 120mila casi positivi, per lo più concentrati nel 2020. I dati probabilmente sottostimano l’effettiva dimensione della pandemia nel paese, ma l’impiego della formula “zero COVID” ha consentito per lungo tempo di tenere la situazione sotto controllo. Per questo un dato di circa mille casi al giorno come viene registrato da qualche tempo è considerato preoccupante, benché la percentuale di completamente vaccinati sia intorno all’85 per cento.