Il liscio ha un futuro?

Dopo due anni di piste vuote, musicisti e gestori di balere temono che un ricambio generazionale tra gli appassionati sia ormai impossibile

di Isaia Invernizzi

La balera dell'Ortica a Milano. (Claudio Furlan / Lapresse)
La balera dell'Ortica a Milano. (Claudio Furlan / Lapresse)

Quando ha pubblicato su Facebook le locandine dei primi concerti dell’anno, Paolo Capretti non sapeva cosa aspettarsi. La diffusione della variante omicron l’aveva costretto a chiudere il suo locale un mese e mezzo prima, a ridosso del Natale. Dopo le ennesime limitazioni dovute all’epidemia, non era scontato tornare a riempire la grande sala del Capretti Dance di Calcinato, in provincia di Brescia, conosciuto come il “salotto del liscio”.

Da venerdì 11 a domenica 13 febbraio, invece, sulla pista da ballo c’è stato un certo movimento. Per il concerto del fisarmonicista Danilo Ponti, sul palco in un doppio turno tra il pomeriggio e la sera di domenica, sono arrivati appassionati di liscio da altre province lombarde, come non accadeva da tempo. «Non torneremo più ai numeri di trent’anni fa, però sono ottimista», dice Capretti. «Veniamo da due anni terribili: ho usato gli aiuti del governo per pagare l’IMU e l’affitto, per il resto mi sono arrangiato con i risparmi. Ora speriamo solo che ci facciano lavorare». Come lui, in tutta Italia moltissimi gestori di balere, musicisti, manager, tecnici e fonici cercano di capire quale sarà il futuro di un settore già in difficoltà prima del Covid.

Nell’immaginario collettivo il liscio è sia un ballo da sala, sia il genere musicale che lo accompagna, quello di successi popolari come “Romagna mia” e “Ciao Mare”. Ha origine tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, anche se il nome “liscio” arrivò molti decenni dopo: fu chiamato così negli anni Settanta perché le case discografiche avevano la necessità di etichettare un genere che in quel periodo era diventato un fenomeno nazionale e a cui stava stretta la definizione “musica da ballo romagnola”.

Il nome “liscio” sembrava perfetto per descrivere il modo in cui i piedi dei ballerini scivolavano sulla pista, che infatti veniva spesso cosparsa di borotalco per agevolare i movimenti. In realtà per ballare il liscio, basato principalmente su danze tradizionali come la mazurca, la polca e il valzer, bisogna staccare spesso i piedi da terra: è uno dei motivi per cui i puristi non sono stati mai convinti del nome.

Gli anni tra i Sessanta e i Settanta furono quelli del successo popolare, arrivato grazie ad artisti come Secondo Casadei, l’orchestra Castellina-Pasi, le orchestre di Vittorio Borghesi e di Carlo Venturi, La Vera Romagna di Ivano Nicolucci e Franco Bergamini, e soprattutto grazie a Raoul Casadei, il “re del liscio”, morto a 83 anni nel marzo del 2021.

Negli ultimi due decenni il liscio è stato sempre più considerato un genere superato a causa del mancato ricambio generazionale degli appassionati, oggi per lo più persone con più di 50 anni. Chi conosce poco questo mondo potrebbe averli visti di sfuggita facendo zapping vestiti con giacche e abiti dai colori sgargianti, comparse danzanti nelle trasmissioni dedicate al ballo in onda sulle televisioni locali. In realtà i programmi sulle reti regionali sono soltanto un pezzo di un settore molto più esteso, uno dei più importanti della musica dal vivo, che ogni settimana porta nelle balere decine di migliaia di persone e che oltre ai musicisti dà lavoro a tanti professionisti tra tecnici, fonici, manager e organizzatori di serate.

Alla fiducia di molti addetti ai lavori, con cui il Post ha parlato, si contrappone la frustrazione causata dall’incertezza generale aggravata dall’epidemia: più passa il tempo, più la crisi del liscio diventa evidente. Gli appassionati invecchiano, i locali cambiano la programmazione, alcuni chiudono, e per le tante persone che hanno fatto di questa passione un lavoro è tutto più complicato.

Barbara Lucchi ricorda molto bene la prima volta che salì su un palco con la sua orchestra: era il 5 dicembre 1989, a Pievepelago, un piccolo comune in provincia di Modena. Aveva poco meno di 18 anni e già da molto tempo, dall’età di sei anni, aveva iniziato a esibirsi con il padre Dino, noto fisarmonicista emiliano. «Per vent’anni ho fatto 300 serate all’anno, poi con la crisi dei locali siamo arrivati a farne 130 e negli ultimi due siamo stati quasi fermi a causa del coronavirus», racconta Lucchi, che guida l’orchestra insieme a Massimo Venturi.

Lucchi dice di essere «nata con la fisarmonica in braccio»: le è mancato molto suonarla in pubblico, soprattutto per i tanti affezionati che raramente perdono una sua serata. È rimasta in contatto con loro attraverso le pagine social, soprattutto Facebook, che da qualche anno aggiorna con dedizione.

Negli ultimi mesi, prima delle ultime limitazioni arrivate poco prima di Natale, aveva organizzato qualche concerto soltanto per incontrare i fan, molti dei quali diventati amici di lunga data. Ma rispetto al passato erano cambiate molte cose: alle serate potevano partecipare meno persone per via delle restrizioni, e sul palco c’erano soltanto lei e Venturi, senza gli altri quattro componenti dell’orchestra che avevano potuto accompagnarla solo in poche occasioni.

«Ci siamo adattati, come molte altre orchestre, ma è stato comunque un periodo molto difficile e doloroso», dice. «Dal governo è arrivato qualche sostegno che ci ha permesso di avere un po’ di ossigeno. Adesso cerchiamo di ritrovare le abitudini, il lavoro e in un certo senso la nostra vita. Non sappiamo quale sarà la reazione della gente, se dopo questo caos le persone torneranno nelle balere. Noi non vediamo l’ora di ripartire». La prima data dell’orchestra di Lucchi sarà il 19 febbraio alla Cà Rossa, un centro sociale ad Anzola dell’Emilia, in provincia di Bologna. È solo la prima di un lungo tour, spera.

Bruno Vischi, invece, ha perso l’entusiasmo che aveva fino a due anni fa. Risponde al telefono da un campo, dove oggi lavora come contadino. Ventinove anni, ha iniziato a suonare in un’orchestra a diciassette. È considerato un talento della fisarmonica. Dal 2011 al 2019 è stato fisarmonicista dell’orchestra Castellina-Pasi, fondata negli anni Sessanta da Roberto Giraldi (in arte Castellina) e Giovanni Pasi, e conosciuta per aver eseguito la sigla del cartone animato Le nuove avventure di Lupin III.

Per Vischi, come per tanti altri musicisti, l’epidemia è stata una svolta. Ha capito che era il momento giusto per lasciare il professionismo: «Ho dovuto fare una scelta coraggiosa, perché avendo famiglia devo pensare anche alle tasche». Ha tenuto duro qualche mese, poi quando si è reso conto che sarebbe stato molto difficile tornare a suonare allo stesso ritmo di prima si è deciso a cambiare lavoro. «In realtà ci pensavo già da tempo», dice. Suonare per quasi 250 serate in un anno è molto faticoso: le prove e le lunghe trasferte, con pochi giorni di riposo, lo hanno sfiancato. Nei campi ha più libertà e lavora all’aria aperta.

L’ultimo video postato sulla sua pagina Facebook risale al novembre del 2019, il suo sito ufficiale è offline. Negli ultimi due anni ha pubblicato qualche video su YouTube, girato in casa, in cui esegue alcuni pezzi classici con la sua fisarmonica. Ha lasciato il professionismo, non la musica. «Non ho perso la passione, non la perderò mai», spiega. «Continuo a studiare e quando riesco faccio qualche serata per arrotondare lo stipendio, ma non ho intenzione di tornare a fare centinaia di serate all’anno, come prima dell’epidemia, anche perché dovrei ricominciare da zero, con tanta incertezza. L’epidemia ha dimostrato che per chi lavora nel liscio sarà sempre più difficile».

Secondo Gianfranco Marilungo, l’epoca del liscio è addirittura finita. Ha 72 anni e gestisce il Gilda, la balera più conosciuta delle Marche. Ha iniziato questo lavoro quasi 40 anni fa e prima del Gilda aveva avuto altri due locali, il Francesca e il K2.

Sui suoi palchi hanno suonato tutte le orchestre più famose: ha organizzato così tanti concerti da non ricordare con precisione quanti siano, sicuramente migliaia. Oggi Marilungo è deluso: «Non mi interessa più questo tipo di lavoro, non vedo l’ora di vendere. Purtroppo la gente non esce più come una volta».

L’epidemia, dice, ha accentuato una tendenza che gli organizzatori dei concerti notavano da anni: gli appassionati di liscio sono invecchiati e i giovani preferiscono le discoteche e altri generi musicali. «Fino a pochi anni fa c’era più costanza, i clienti venivano anche un paio di volte alla settimana. Adesso fare margini è più difficile. La luce e il riscaldamento costano, i dipendenti vanno pagati, così come le orchestre, giustamente». Nonostante un certo pessimismo del suo gestore, il Gilda ha riaperto subito dopo la fine delle restrizioni. L’11 febbraio ha suonato il Luca Bachetti Group e sono in programma molti altri concerti in tutto il mese di febbraio.

Serata danzante alla balera dell’Ortica, a Milano, nel 2018 (Claudio Furlan/LaPresse)

È invece fiducioso Moreno Conficconi, detto “Il Biondo”, 63 anni, cantante, clarinettista, sassofonista, compositore e arrangiatore che ha iniziato la sua carriera nel 1972. Insieme a Mauro Ferrara e Mirco Mariani, nel 2014 ha fondato gli Extraliscio, che a dispetto del nome non suonano il classico liscio. Amano definire il loro genere “punk da balera”, un’evoluzione della musica tradizionale delle sale da ballo italiane.

Anche se le collaborazioni con gli Extraliscio gli hanno dato una notorietà più nazionale, Moreno il Biondo continua a suonare anche con la sua orchestra, come ha sempre fatto, anche se non più a ritmi degli anni Settanta, quando gli capitava di salire sul palco 360 volte all’anno. «Tra il ‘77 e il ‘78, in luglio e agosto, facevamo anche 34 “servizi” al mese, più di uno al giorno, a volte spostando  tutto l’impianto, le casse e le luci, da un locale all’altro tra il pomeriggio e la sera», racconta. «Suonavamo senza preoccupazioni, con tanta passione. Oggi è tutto molto diverso».

Da ottobre a dicembre, nei due mesi in cui le orchestre hanno potuto suonare prima delle restrizioni dovute alla variante omicron, aveva notato una grande voglia di ripartire. Centinaia di persone erano tornate a ballare durante le sue serate. La nuova chiusura ha portato nuove preoccupazioni, soprattuto tra gli anziani, le persone più a rischio. «Più che le questioni legate alle regole, come l’obbligo del Green Pass e la capienza al 50 per cento, mi spaventano di più le conseguenze sociali e psicologiche di queste nuove chiusure», dice Moreno. «Spero che si potrà presto andare in balera senza timori, pronti a ballare per ore senza la preoccupazione dei contagi: il liscio va ascoltato e vissuto senza freni, fino in fondo. Mi rendo conto che sarà difficile».

L’epidemia ha costretto molti musicisti a interrogarsi sul loro futuro perché le opportunità remunerative del liscio, significative e allettanti fino a qualche anno fa, si sono assai ridotte. Alcuni hanno ceduto a derive che forse un tempo avrebbero biasimato, come i concerti in playback, oppure sono passati a generi più popolari, come i balli latino-americani. Moreno il Biondo non è sicuro che un genere con una storia centenaria possa riprendersi da quella che ha definito «una ghigliottina».

Una speranza per addetti ai lavori e appassionati sono i giovani che si sono avvicinati al liscio grazie alle competizioni di ballo. In Italia non sono pochi, anche se è ancora complesso capire quali siano stati gli effetti dell’epidemia sulle gare di ballo e in generale sulle scuole. «L’importante è che qualcuno venga a sentirci e a ballare», scherza Moreno. «È vero: purtroppo la maggior parte delle persone che frequentano le balere ha più di 60 anni. Tanti amici che venivano a vederci non ci sono più, sono sempre di meno i gruppi di persone che si spostano per andare in balera. Nessuno dà il giusto valore all’aspetto sociale del nostro mondo, che ha una notevole capacità aggregativa».

Nel 2021 gli Extraliscio hanno partecipato a Sanremo insieme a Davide Toffolo dei Tre allegri ragazzi morti. Per Moreno il Biondo è stata un’occasione unica per riportare l’attenzione sul mondo delle balere e della musica tradizionale, nello spirito del festival e con una band piuttosto insolita. Il liscio, dice, è il vero genere che appartiene all’Italia: ha sempre mantenuto la forza della tradizione e un’innovazione straordinaria. «Se finora ha fatto ballare milioni di persone non può certo morire così».