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  • Domenica 30 gennaio 2022

Si può muovere col vento una nave mercantile?

In molti ci stanno provando con varie soluzioni, per ridurre emissioni e costi: ma per ora i motori servono

di Paolo Bosso

La nave Oceanbird di Wallenius Marine (foto Oceanbird)
La nave Oceanbird di Wallenius Marine (foto Oceanbird)

Spostare oggi una moderna nave mercantile con le vele sembrerebbe bizzarro quanto remare con le mani: ma c’è chi ci sta lavorando seriamente a livello ingegneristico e chi ha già effettuato delle prove in mare, con l’intento di ridurre l’impatto ambientale delle grandi navi usate nei commerci mondiali. Ed esiste già una nave, una portarinfuse (cioè una nave pensata per trasportare carichi che non sono container: in questo caso acciaio) che da anni naviga tra i porti di Asia e Stati Uniti con un sistema diverso dalle vele ma sempre sfruttando il vento, i rotori.

L’obiettivo, almeno per il momento, non è sostituire i motori tradizionali ma ridurne i consumi, tagliando le emissioni di gas serra e i costi di trasporto.

Le tecnologie attuali non permettono di spingere col solo vento navi da oltre un centinaio di migliaia di tonnellate di stazza, come le attuali navi mercantili più grandi, ma neanche quelle da qualche decine di migliaia di tonnellate. Una vela alta oltre cento metri, come sarebbe necessaria per navi del genere, destabilizza l’assetto, rischia di urtare le gru di banchina in porto e non passa sotto i ponti, a meno di retrarli telescopicamente. Ma non sono pochi gli studi di ingegneria navale che si stanno cimentando in progetti del genere, focalizzandosi su due sistemi distinti, le vele e i rotori, cioè dei grossi cilindri rotanti. Entrambi utilizzano il vento. Le prime si basano sulla portanza, quella della vela tradizionale, i secondi sulla differenza di pressione tra un lato e l’altro di un grande cilindro che ruota velocemente.

Per quanto riguarda la vela, uno dei progetti più curiosi, unico nel suo genere, è quello di Michelin: si chiama Wing Sail Mobility, o “Wisamo”, e le vele ricordano l’ala di un aereo. Sono di materiale plastico, gonfiabili, telescopiche, molto più ampie di una vela in tessuto. Funzionano in retrofitting, cioè migliorano l’assetto di navigazione tradizionale, quello spinto dalle eliche a motore, senza sostituirlo. Secondo il produttore francese di pneumatici potrebbero far risparmiare fino a un quinto del carburante.

Tra giugno e dicembre dello scorso anno, sul lago Neuchâtel, in Svizzera, si è tenuto il primo test con una vela di circa cento metri quadri su una tipica barca da regata di 12 metri, di proprietà del velista francese Michel Desjoyeaux.

A fine febbraio saranno organizzati test in condizioni più realistiche, con vele tra i 250 e i 450 metri quadri di estensione, a bordo della Pélican, una portacontainer da 22 mila tonnellate di stazza lunga oltre 170 metri. Terminato l’allestimento, per la seconda metà dell’anno, con le condizioni meteo ideali, dovrebbero iniziare le prove in mare.

Se il test avrà successo si passerà alla fase successiva, quella della progettazione e costruzione in serie, ma in ogni caso ci vorranno anni, se tutto va bene, prima di vedere navi del progetto Wisamo in giro.

Attualmente le incognite per questo tipo di vela sono troppe e le cose da capire tante per darle per scontate. Se funzionano e non generano problemi strutturali alla nave, e il costo di installazione e gestione vale il risparmio sul carburante, le vele di Michelin potrebbero essere utilizzate su qualsiasi nave mercantile: portacontainer (che trasportano prodotti di consumo), traghetti, portarinfuse (che trasportano grano, acciaio, legno), gasiere e petroliere.

A novembre scorso l’azienda francese Ayro, specializzata in propulsione eolica, ha ottenuto un finanziamento da oltre due milioni di euro dal Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca per sperimentare le “Winnew”, vele che a differenza di quelle di Michelin, gonfiabili, sono fatte di un materiale plastico simile al tessuto delle vele tradizionali. Il profilo è invece lo stesso delle Michelin, quello della vela alare dei grandi catamarani da regata. Sono ampie oltre 350 metri quadri e basate su un progetto chiamato “Oceanwings 363”.

Per la fine dell’anno ne saranno realizzate quattro, per installarle sulla Canopée, una nave in costruzione di tipo ro-ro, che trasporta cioè le automobili uscite dalle fabbriche o i camion che si imbarcano sulle navi per accorciare le lunghe percorrenze (in Italia questo tipo di trasporto, quello dei mezzi pesanti via mare, è stato definito dagli armatori “autostrada del mare”). La vela di Ayro è alta 121 metri ed è stata commissionata da ArianeGroup, joint venture della compagnia europea Airbus e del gruppo francese Safran. Sulla carta, dovrebbe far risparmiare fino al 45 per cento di carburante.

A settembre del 2020 Wallenius Marine, un grande studio svedese di ingegneria navale, ha annunciato “Oceanbird”, un progetto per una nave car carrier da 7 mila auto di capacità, spinta da cinque vele rigide telescopiche alte quasi cento metri, esteticamente una via di mezzo tra una vela e un rotore. Ci lavora in joint venture paritetica con la connazionale Alfa Laval, specializzata sui materiali, e vi partecipano tra gli altri il politecnico di Stoccolma KTH Royal Institute of Technology e il progettista nautico SSPA. Entro la fine di quest’anno dovrebbero tenersi le prime prove in mare per arrivare, se il sistema funziona, a installare questo tipo di vele sulle car carrier nel 2024.

Un tipo di vela su cui si sta investendo molto, e che pare sia la più promettente, è quello basato sulle vele dei catamarani dell’America’s Cup. L’ha ideata BAR Technologies, società di Portsmouth fondata dall’ingegnere Simon Schofield, si chiama “WindWings” e ci collabora la multinazionale statunitense alimentare Cargill. Le vele sono rigide, telescopiche, in resina col telaio in acciaio, pensate per essere montate su navi cisterna. Sono progettate, come tutte le altre descritte finora, per spiegarsi da sole e ruotare autonomamente seguendo il vento. Il risparmio medio di carburante dovrebbe essere intorno al 30 per cento.

Secondo i calcoli di BAR, una portarinfuse da 210 mila tonnellate di portata coadiuvata da tre vele da 50 metri di altezza potrebbe far risparmiare alla compagnia marittima fino a 1,5 milioni di dollari l’anno sul carburante. Con cinque vele se ne risparmierebbero 2,5 milioni. Sono attualmente in costruzione in Cina e dovrebbero essere montate su una nave entro questa estate per i primi test.

La seconda tecnologia di cui si parla molto è quella dei rotori, che a differenza delle vele telescopiche o gonfiabili costituiscono un sistema apparentemente più praticabile, anche perché è sperimentato da anni su una nave operativa. I rotori sono, di fatto, enormi cilindri rotanti piantati sul ponte della nave, il cui funzionamento si basa sulla pressione differenziale: semplificando molto, quando il vento colpisce il rotore il flusso d’aria accelera da un lato e decelera dall’altro, creando una differenza di pressione che spinge avanti l’imbarcazione.

Il progetto più concreto è quello dell’armatore giapponese Mitsui OSK Lines, che a novembre scorso ha fatto un accordo col gruppo minerario brasiliano Vale per lavorare a uno dei prototipi più ambiziosi, una portarinfuse. A differenza delle portacontainer e dei traghetti ro-ro, navi di questo tipo esistono solo molto grandi.

Lo studio, ancora in fase di progettazione, sta lavorando a una nave da 200 mila tonnellate di stazza che supera i 200 metri di lunghezza. La base è un rotore di Anemoi Marine Technologies, pensato apposta per i mercantili, sperimentato nel 2018 su una portarinfuse “ultramax”, una delle classi più grandi al mondo, intorno alle 400 mila tonnellate di stazza (per intenderci, Costa Concordia, che era una grande nave da crociera, aveva poco più di 100 mila tonnellate di stazza). Sono rotori costosissimi, tra i 350 mila e il milione di dollari ciascuno, più mezzo milione di sola installazione.

L’idea di utilizzare i rotori su una nave così grossa non è fuori dalla realtà. C’è già una nave che da qualche anno naviga con quattro rotori di Anemoi alti quindici metri: la Afros, una portarinfuse da 63 mila tonnellate di stazza, lunga 200 metri, che serve i porti della Corea del Sud e degli Stati Uniti. Dopo anni di navigazione, Afros ha risparmiato, a seconda delle condizioni di navigazione e del carico, tra il 3 e il 15 per cento del carburante. Allo studio ci sono rotori di prossima generazione che potrebbero ridurre i consumi fino al 30 per cento.

Secondo Gavin Allwright, segretario dell’International Windship Association, un’associazione nata nel 2014 con lo scopo di mettere vele sui mercantili, sono state circa una ventina le navi sperimentate con vele o rotori nel 2021 e quest’anno potrebbero arrivare a quaranta. Non sono nulla rispetto ai quasi 60 mila mercantili in giro per il mondo ogni giorno ma, come abbiamo detto, sono prototipi che non nascono per sostituire i motori tradizionali. «Possiamo imbrigliare il vento? Sì. Possiamo farlo a un costo tollerabile per il mercato? Questa è la domanda a cui stiamo cercando di rispondere», secondo Allwright.