Sessant’anni di “Jules e Jim”

Il film di François Truffaut che, a ben vedere, più che di loro parlava di lei, Catherine

(Jules e Jim)
(Jules e Jim)

Stando a quanto avrebbe raccontato lui stesso anni dopo, nei primi anni Cinquanta François Truffaut era lungo la Senna e stava facendo una cosa molto parigina: rovistare in una di quelle scatole che nelle librerie di seconda mano contengono i libri che costano meno. Aveva 21 anni, era già un critico ma non ancora un regista e trovò il libro semi-autobiografico Jules et Jim, scritto un paio di anni prima dal 74enne Henri-Pierre Roché. Lo prese, lo lesse e, come avrebbe ricordato in seguito, pensò: «Se mai un giorno riuscirò a fare film, ne farò un film».

Fin dalla prima occhiata lo avevano attratto il titolo e il fatto che fosse il primo libro di Roché, basato però sui ricordi di decenni prima. Poi gli piacquero anche la storia –un triangolo amoroso tra due uomini e una donna – e il modo in cui Roché la rievocava, «con scabrosità ma anche purezza».

In una sua recensione di un «western scarso», ma che «per un quarto d’ora raccontava con freschezza l’indecisione di una donna tra due uomini», Truffaut parlò del romanzo di Roché, il quale la lesse e gli scrisse una lettera. Ne seguirono diverse altre, e dopo I quattrocento colpi e Tirate sul pianista, Truffaut diresse Jules e Jim, uno dei primi e più apprezzati film della Nouvelle Vague, che uscì il 24 gennaio 1962, sessant’anni fa oggi. Diretto da un regista non ancora trentenne, ispirato dai ricordi di gioventù di un autore ultrasettantenne.

Roché, che morì nel 1959 e che quindi non vide mai il film tratto dal suo libro, era nato nel 1879 e prima di diventare scrittore era stato giornalista e appassionato e mercante d’arte. Ebbe modo di frequentare, tra gli altri, Marcel Duchamp. La storia di Jules e Jim è ispirata alla sua profonda amicizia con lo scrittore tedesco Franz Hessel (tra le altre cose traduttore di alcuni libri di Marcel Proust) e della relazione che entrambi ebbero con la scrittrice tedesca Helen Grund, che di Hessel fu anche moglie. Roché pensò di scrivere il libro, basato sui suoi ricordi e sui suoi diari personali, già negli anni Quaranta, dopo la morte di Hessel, ma a causa di ripensamenti e riscritture uscì solo nel 1952. Il Jules e Jim arrivò dopo che l’autore aveva pensato a Une amitié, un’amicizia.

Dopo aver deciso di farci un film e dopo averne parlato con Roché, Truffaut fece avere una copia del libro ricca di suoi appunti allo sceneggiatore e dialoghista Jean Gruault, che gli fece avere una sceneggiatura di 200 pagine. Da lì Truffaut ricordò di aver lavorato di «forbici e colla» per accorciare le scene, lasciandosi inoltre grandi spazi di libertà per quando avrebbe dovuto girarle. Scelse gli attori – l’austriaco Oskar Werner nella parte di Jules, il francese Henri Serre in quella di Jim e poi Jeanne Moreau per la parte di Catherine, la donna amata da entrambi – e a proposito di lei, già piuttosto famosa, disse di aver lavorato molto per «de-intellettualizzarla» rispetto ai suoi precedenti film, al fine di rendere la sua recitazione «più fisica e più dinamica».

Il film racconta una storia ambientata prima, durante e dopo la Prima guerra mondiale, con in mezzo un matrimonio e la nascita di un bambino, il tutto girato con una troupe composta solo da quindici persone. Inizia raccontando l’amicizia tra i due, prosegue con la relazione di Jules e Catherine, cui seguono la guerra, la crisi tra i due e la relazione di Catherine con Jim, nel frattempo sempre amico di Jules. C’è un momento in cui i tre vivono insieme, tra l’altro con la figlia di Jules e Catherine, poi arrivano però nuovi problemi e nuove tensioni. Il finale («Jules, guardaci bene») non è un lieto fine.

Si dice che alla prima proiezione del film andò, in incognito, Helen Grund, a cui era ispirata Catherine. Pare invece che Truffaut fosse così nervoso che anziché presentarsi all’anteprima del suo film andò a guardarsene uno dei fratelli Marx.

A chi vide il film quella prima volta e a moltissimi dei critici che lo videro dopo, Jules e Jim piacque molto. Perché nonostante i pochissimi soldi e le poche persone con cui era stato girato, copriva una storia pluridecennale e lo faceva con molte trovate innovative: sembra infatti che per ottenere lo stile fluido e quasi sfuggevole di certe sue scene furono montate cineprese su biciclette. Altre scene sono invece composte da lunghi e lenti piani sequenza che seguono blandamente i personaggi.

A questi tipi di inquadratura e ripresa Truffaut alternò poi una narrazione in terza persona funzionale al suo voler citare quasi alla lettera certi passaggi del libro, l’uso del fermo immagine, l’inserimento di vere scene di guerra e la sperimentazione di tutta una serie di approcci e tecniche di montaggio peculiari della Nouvelle Vague e quasi antitetiche rispetto a certe convenzioni della grammatica cinematografica di Hollywood, il tutto in un film che riesce a passare dal comico e dal quasi farsesco al drammatico.

Il film piacque molto in Francia, ma poi anche all’estero, nell’immediato e poi per decenni. Il critico Roger Ebert ne scrisse nel 2004: «Nel modo con cui è fatto questo film c’è una gioia che è fresca ancora oggi e che fu audace allora». Secondo lui, «la tragedia [di Jules, Jim e Catherine] è che condividono una magica gioventù, per cui l’età adulta non sa trovare spazio, visto che nessuno accordo pratico su come gestire le loro vite può replicare la libertà dei loro primi giorni parigini. I due maschi possono provare a scendere a patti con la faccenda, ma non Catherine». Secondo Ebert – e non solo secondo lui – «in realtà Jules e Jim è il film di Catherine».

«Jules e Jim», scrisse ancora Ebert, «è uno di quei rari film che sa quanto velocemente possono pensare i suoi spettatori, e che le emozioni contengono le loro stesse spiegazioni. Parla di tre persone che non sanno ammettere che il loro momento di perfetta felicità è finito, e lo inseguono in luoghi tristi e cupi». Ebert terminò la sua recensione con una citazione di Truffaut: «Inizio un film credendo che sia divertente, e strada facendo mi accorgo che solo la tristezza può salvarlo».

Si tende spesso a dire o scrivere, per celebrare film in bianco e nero di oltre mezzo secolo fa, che sembrano girati oggi o comunque non sono segnati dal peso degli anni. È spesso un’esagerazione, visto che cambia il modo scrivere, girare, montare e recitare. Tuttavia, è fuor di dubbio che Jules e Jim – oggi come allora un film difficile, per esempio a causa delle sue molte ellissi narrative – abbia influenzato molto del cinema successivo. Si citano spesso, a questo proposito, il suo impatto su Gangster Story e su tutta la Nuova Hollywood che a esso si ispirò (Ebert scrisse che «in Jules e Jim si vedono nascere gli anni Sessanta»), ma anche su certi aspetti di film più recenti come Thelma e Louise o perfino Quei bravi ragazzi.

– Leggi anche: Il film che cambiò i film

Truffaut, che nel 1974 avrebbe diretto Le due inglesi, tratto dal secondo libro di Roché, disse di Jules e Jim: «È un inno alla vita e alla morte, una dimostrazione dell’impossibilità di qualunque combinazione amorosa al di fuori della coppia».