Com’è finito il piano per cambiare ExxonMobil da dentro

Dopo le pressioni di un "fondo attivista", la grande azienda petrolifera ha annunciato un piano per ridurre le emissioni, giudicato poco convincente

(Dean Mouhtaropoulos/Getty Images)
(Dean Mouhtaropoulos/Getty Images)

L’azienda petrolifera statunitense ExxonMobil, una delle più grandi e ricche al mondo, ha annunciato un piano per ridurre le emissioni di gas serra, tra i principali responsabili del cambiamento climatico. Il nuovo piano è stato presentato a circa otto mesi da una mezza rivolta all’interno del suo consiglio di amministrazione, in seguito all’ingresso di Engine No. 1, un piccolo “fondo attivista” che si era prefissato l’obiettivo di cambiare le politiche ambientali della compagnia petrolifera per renderle più sostenibili. Il nuovo piano è stato accolto con interesse, ma vari osservatori e analisti lo hanno definito deludente e inadeguato.

ExxonMobil estrae circa il 3 per cento del petrolio e offre il 2 per cento dell’energia a livello globale: ottiene la maggior parte dei propri ricavi dalla vendita di carburanti con i marchi Exxon, Mobil ed Esso. La società è guidata da Darren Woods, che il 18 gennaio scorso ha svelato il nuovo piano aziendale per l’ambiente, sostenendo di volere tagliare la produzione di gas serra e di raggiungere la neutralità carbonica nelle attività gestite direttamente dalla compagnia entro il 2050.

La neutralità carbonica è un obiettivo che sempre più paesi e aziende promettono di voler raggiungere per contrastare il cambiamento climatico. Insieme al suo sinonimo “emissioni zero”, è un concetto vago, perché la sua applicazione può variare molto a seconda di come ci si vuole arrivare, ma capire cosa significa è comunque un buon modo per farsi un’idea delle politiche sul clima di governi e aziende.

Con neutralità carbonica ed emissioni zero si intende una condizione in cui per ogni tonnellata di gas come l’anidride carbonica (CO2, uno dei principali gas serra) che si diffonde nell’atmosfera se ne rimuove altrettanta. Si arriva quindi alla neutralità carbonica quando si smette di aggiungere gas serra nell’atmosfera oltre la quantità che si riesce a toglierne.

In molti casi le aziende che promettono la neutralità carbonica non attuano particolari cambiamenti strutturali e puntano molto sui meccanismi di compensazione delle emissioni di CO2 come i “carbon offset”. In pratica acquistano crediti da aziende che attuano progetti ad alta efficienza energetica e sostenibilità ambientale con i quali “annullano” l’impatto delle loro emissioni, che continuano però a esistere più o meno immutate rispetto a prima. Questo sistema, che ha favorito lo sviluppo di numerosi progetti per ridurre in generale le emissioni, ha ricevuto nel tempo critiche perché spesso i crediti sono generati da aziende poco affidabili o sulle quali è difficile effettuare controlli.

Almeno sulla carta, il piano di ExxonMobil non farà molto affidamento sui carbon offset e prevede già a partire dai prossimi anni interventi decisi, indispensabili per raggiungere l’obiettivo del 2050. Entro il 2030 la società ridurrà le proprie emissioni del 20 per cento rispetto ai livelli del 2016, intervenendo in modo più incisivo nelle sue divisioni che si occupano della ricerca di nuovi giacimenti e nelle estrazioni. Ogni divisione avrà propri obiettivi e i rispettivi dirigenti saranno responsabili del loro raggiungimento, senza la possibilità di scambi con i settori che si riveleranno più virtuosi.

Il piano prevede la sostituzione di macchinari con strumentazioni di nuova generazione, che inquinano e consumano meno. ExxonMobil ha inoltre promesso di ridurre le emissioni di metano da alcuni giacimenti, un altro gas serra a forte impatto, e di esplorare la costruzione di sistemi per la sottrazione dell’anidride carbonica dall’atmosfera.

Le nuove iniziative per l’ambiente ricalcano alcune delle richieste che aveva espresso il “fondo attivista” lo scorso maggio, ma non convincono vari osservatori. ExxonMobil ha calcolato la fattibilità del progetto solo sulle proprie attività senza tenere in considerazione le emissioni prodotte dalle sue numerose società partner, con le quali gestisce soprattutto i siti di estrazione degli idrocarburi. L’azienda ha inoltre preso in considerazione le emissioni che derivano direttamente dalle proprie attività e dal proprio consumo di energia, senza considerare le emissioni dovute all’impiego dei suoi prodotti come i carburanti da parte dell’industria e dei singoli privati.

Finora ExxonMobil non ha mostrato particolare interesse per le fonti rinnovabili, dalle quali si possono ottenere ricavi più contenuti rispetto a quelli garantiti dal commercio degli idrocarburi. La società sta comunque investendo per lo sviluppo di biocarburanti, sistemi per la sottrazione dell’anidride carbonica dall’atmosfera e per la ricerca sull’impiego dell’idrogeno come combustibile, che garantirebbe il mantenimento di una filiera simile all’attuale con stazioni di rifornimento (le automobili a idrogeno devono fare il pieno, a differenza di quelle a batteria che vengono ricaricate collegandole a una presa di corrente).

Altre società petrolifere hanno avviato iniziative per ridurre le emissioni di gas serra derivanti dall’impiego dei loro prodotti, seppure con piani vaghi o che comprendono il progressivo passaggio all’elettrico con la produzione di energia da fonti rinnovabili. Come ricorda l’Economist: «Gli utenti privati da soli producono l’80-90 per cento dei gas serra legati ai combustibili fossili. Ignorarli nei conteggi sull’anidride carbonica e gli altri gas inquinanti sembra fare molto comodo».