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  • Sabato 8 gennaio 2022

Il Turkmenistan vorrebbe spegnere la “Porta dell’Inferno”

È un grande cratere dentro al quale da 50 anni brucia un incendio: il presidente ha detto che sarà spento, ma non è la prima volta

Il cratere di notte (Vwpics/VW Pics/ZUMA Wire)
Il cratere di notte (Vwpics/VW Pics/ZUMA Wire)

Il presidente del Turkmenistan, Gurbanguly Berdymukhamedov, ha annunciato di voler estinguere un incendio che brucia da oltre 50 anni all’interno di un ampio cratere, che è noto come “Porta dell’Inferno” ed è diventato nel tempo una delle principali attrazioni turistiche del paese. Il cratere si trova a poca distanza da Derweze (scritto anche Darvaza), un paesino nel centro del Turkmenistan, ed è uno dei fenomeni geologici-ambientali più notevoli al mondo.

Le fiamme di color arancione bruciano giorno e notte, sono visibili nel deserto a chilometri di distanza e sprigionano un forte odore solforoso che si sente nell’aria anche piuttosto lontano dal cratere, cosa che ha contribuito al nome del luogo.

Berdymukhamedov, scrive BBC, ha annunciato che il grande incendio nel cratere sarà estinto perché potrebbe avere cattive conseguenze sulla salute delle persone che vivono nella zona, e perché rende più difficile lo sfruttamento dei giacimenti di gas naturale presenti nella zona. «Stiamo perdendo risorse naturali di valore che potrebbero produrre profitti importanti e che potremmo usare per migliorare il benessere del nostro popolo», ha detto Berdymukhamedov in un messaggio televisivo.

L’origine della “Porta dell’Inferno” è artificiale, e quasi certamente fu il risultato di un tentativo andato male di sfruttare un giacimento di gas.

Secondo la teoria più diffusa sulla formazione del cratere, nel 1971 alcuni geologi sovietici indicarono il luogo come un possibile giacimento di risorse naturali. Durante le loro esplorazioni, si imbatterono in una caverna piena di gas naturale, ma il terreno sotto le trivellazioni collassò improvvisamente lasciando una grande cavità del diametro di circa 70 metri. Per evitare la fuoriuscita di gas velenosi come il metano, i sovietici decisero di innescare un incendio, prevedendo che nell’arco di pochi giorni i gas sarebbero bruciati e la zona sarebbe tornata sicura (la pratica è utilizzata a volte quando il gas naturale è ritenuto troppo difficile da estrarre). Le fiamme, però, stanno bruciando ancora oggi, a oltre cinquant’anni di distanza; l’area, estremamente isolata, è diventata una meta turistica sempre più nota.

Altri esperti hanno teorie leggermente diverse. Per esempio l’esploratore George Kourounis, che nel 2013 fu il primo a calarsi all’interno del cratere, ha detto a National Geographic che secondo alcuni geologi locali il cratere si sarebbe formato negli anni Sessanta, ma che l’incendio si sarebbe sviluppato soltanto negli anni Ottanta.

In ogni caso, non è la prima volta che Berdymukhamedov, che governa un regime dittatoriale, annuncia che spegnerà il cratere senza poi farlo. Lo ordinò per esempio nel 2010, sempre dicendo che l’incendio rallentava lo sfruttamento delle risorse naturali. Nel 2018 Berdymukhamedov, che è a capo di un regime molto rigido ma piuttosto peculiare, ordinò peraltro che il luogo fosse rinominato “Lo splendore di Karakum”, dal nome dell’ampio deserto in cui si trova.

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