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  • Mercoledì 22 dicembre 2021

Le elezioni in Libia non si faranno

Erano state fissate per il 24 dicembre, ma pochi giorni fa sono stati sciolti i comitati elettorali, dopo mesi di litigi sui candidati

Il capo del governo di unità nazionale libico, Abdel Hamid Dbeibeh, presenta la sua candidatura alla presidenza ( EPA/ansa)
Il capo del governo di unità nazionale libico, Abdel Hamid Dbeibeh, presenta la sua candidatura alla presidenza ( EPA/ansa)

Le elezioni in Libia fissate da tempo per il 24 dicembre non si faranno, come si temeva ormai da settimane. Lo ha confermato mercoledì una commissione parlamentare libica, dopo che era stato diffuso un documento risalente al 20 dicembre in cui il capo dell’Alta commissione elettorale, l’organo che dovrebbe supervisionare il voto, ordinava lo scioglimento dei comitati elettorali su tutto il territorio nazionale e metteva fine alle attività preparatorie.

I problemi nell’organizzazione delle elezioni si accumulavano da mesi, soprattutto riguardo ai criteri di selezione dei candidati per la presidenza. Negli ultimi mesi si erano presentati quasi 100 candidati, i più importanti dei quali avevano tutti caratteristiche considerate problematiche, controverse o per qualche motivo preoccupanti.

C’era Abdul Hamid Dbeibah, il primo ministro ad interim, che quando fu nominato con l’approvazione della comunità internazionale promise che non avrebbe partecipato alle elezioni per la presidenza. Poi aveva cambiato idea, e aveva fatto ricorso in tribunale per certificare che la sua promessa fosse soltanto morale, e non avesse forza legale. La commissione elettorale aveva accettato la sua candidatura, ma vari suoi rivali avevano fatto ricorso.

Si era candidato anche il maresciallo Khalifa Haftar, che fino a qualche mese fa era a capo delle milizie che avevano tentato di conquistare Tripoli nel tentativo di prendere il controllo di tutto il paese. Un altro candidato, forse il più controverso, era Saif Gheddafi, figlio dell’ex presidente deposto Muammar Gheddafi: nel 2015 Saif era stato giudicato colpevole di crimini di guerra e condannato a morte, poi però aveva ricevuto un’amnistia.

Per ciascuno di questi candidati, e per diversi altri, erano stati presentati ricorsi in tribunale, molti dei quali non sono stati ancora esaminati: è anche per questo che la commissione elettorale libica non ha mai approvato la lista ufficiale e definitiva dei candidati.

Le questioni giudiziarie non sono state le uniche a rendere impraticabile il voto. A differenza di quanto sperava l’ONU, assai impegnata nel processo di pace libico, negli ultimi mesi non era riuscito il processo di progressivo smantellamento (o almeno di depotenziamento) delle milizie impegnate in Libia, che oltre a essere bene armate sono ancora estremamente influenti dal punto di vista politico. Martedì, per esempio, mentre molti dei candidati presidenziali si stavano incontrando nella città di Bengasi per discutere del processo elettorale, diversi gruppi armati rivali si sono mobilitati a Tripoli, la capitale, bloccando strade e facendo temere l’inizio di nuovi scontri.

Non è chiaro cosa succederà ora, a quando verranno rimandate le elezioni o come si risolveranno i moltissimi problemi legati alla loro organizzazione. Diversi analisti temono che il rinvio del voto, e le tensioni tra milizie nemiche, possano portare a una crisi simile a quella che si produsse con le elezioni del 2014, quando la Libia si divise tra fazioni legate a due governi diversi, uno a est e uno a ovest, che iniziarono a combattersi in una sanguinosa guerra civile durata anni.