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  • Domenica 28 novembre 2021

Le vacanze in cui bisogna sopravvivere da soli

Sono organizzate da agenzie che abbandonano i turisti in luoghi remoti e desolati, promettendo esperienze uniche e gratificanti

Da una puntata della serie tv "The Office"
Da una puntata della serie tv "The Office"

Esistono agenzie di viaggi che propongono pacchetti vacanze piuttosto inusuali, in cui il succo dell’esperienza è sopravvivere dopo essere stati abbandonati in posti remoti e non popolati, senza guide né strumenti sofisticati per orientarsi. In un lungo articolo pubblicato sul New Yorker il giornalista inglese Ed Caesar ha raccontato l’esperienza che ha vissuto in prima persona con un viaggio di questo tipo, in cui ha descritto «le gioie – e le assurdità – del ritrovarsi abbandonati in un paesaggio desolato».

Per programmare la sua insolita vacanza Caesar si è rivolto all’agenzia di viaggi Black Tomato, che ha sedi negli Stati Uniti e nel Regno Unito e offre pacchetti di esperienze chiamati “Get Lost”, letteralmente “perdersi” o “sparire”. Il sito dell’agenzia promette viaggi che «aiutano le persone a staccare da tutto, vivere a pieno l’opportunità e sentirsi coinvolte per raggiungere un meraviglioso senso di soddisfazione», sostenendo che «delle volte bisogna perdersi per trovarsi», per esempio provando a cavarsela in posti «sconosciuti e inesplorati», senza sapere esattamente dove si sta andando o di cosa si avrà bisogno.

Nelle parole di Caesar, che per due giorni si è dovuto orientare da solo compiendo un percorso di quasi 29 chilometri a un’altitudine di più di 2mila metri sulla catena montuosa dell’Atlante, in Marocco, sono viaggi dove si hanno «pochi preconcetti e nessun controllo».

Black Tomato si basa sull’idea che i turisti abituati a viaggi esclusivi vogliano esperienze diverse rispetto a soggiorni lussuosi e comodi, e siano disposti per così dire a guadagnarsi la loro vacanza con qualche tipo di sforzo fisico o di gesto positivo. Per questo organizza viaggi in cui i suoi clienti devono sopravvivere praticamente da soli nella steppa della Mongolia, nella giungla del Costa Rica o nel deserto della Namibia e poi, alla fine del percorso, vengono ricompensati con un soggiorno in un albergo di lusso. Alcuni pacchetti viaggio di questo tipo costano anche 15mila dollari a persona. Tra chi li richiede ci sono per esempio capi di grosse startup tecnologiche, ma anche coppie in viaggio di nozze e persone single piuttosto avventurose.

Come ha spiegato Caesar, chi sceglie di fare un viaggio di questo tipo non sa dove andrà, fino all’ultimo. L’agenzia si occupa di organizzare i trasporti e l’itinerario in base a poche preferenze espresse dal cliente, per esempio il tempo che si ha a disposizione, garantendo comunque che l’esperienza verrà fatta in tutta sicurezza (ci torniamo). Prima di partire dà anche alcune indicazioni sulle cose da portare: nel caso del giornalista, che aveva scoperto di dover volare da Manchester a Marrakesh solo due giorni prima della partenza, vestiti leggeri, crema solare, scarponi e una giacca a vento.

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Una volta atterrato all’aeroporto, Caesar era stato accolto da una guida del posto che collaborava con l’agenzia ed era quindi stato accompagnato per circa 10 ore al punto di partenza del suo viaggio, in «un Marocco che la maggior parte dei marocchini non conosce», secondo le parole della stessa guida. Lì un altro collaboratore dell’agenzia – un ex comandante della Marina reale britannica, chiamato Phil Asher – gli aveva raccontato alcune cose sull’itinerario che avrebbe dovuto percorrere, dandogli alcune raccomandazioni di base su come orientarsi.

Le regole dell’esperienza prevedevano che non potesse portare con sé telefono, tenda o fiammiferi, e se mai fosse stato in pericolo avrebbe dovuto chiedere aiuto tramite uno dei due dispositivi GPS forniti dall’agenzia. Caesar aveva quindi iniziato il suo viaggio con uno zaino che conteneva tra le altre cose una bussola, mappe di carta e caricabatterie per i GPS; un sacco a pelo, un materassino e un telo impermeabile; alcuni snack, cibo disidratato e 3 litri d’acqua. Aveva anche portato un vecchio telefono senza scheda SIM per poter fare qualche foto.

Secondo le istruzioni, il giorno seguente avrebbe dovuto salire un dislivello di circa 300 metri per andare verso la vetta di un monte e poi raggiungere un punto ben preciso entro una certa ora, dove i collaboratori dell’agenzia gli avrebbero fatto trovare altri 3 litri d’acqua. Da lì, avrebbe dovuto proseguire verso ovest, attraversando scarpate e valli desertiche e seguendo il letto di un fiume in secca per arrivare alla destinazione finale.

Caesar ha scritto di aver avuto problemi di fatica e orientamento, comprensibilmente, ma ha anche detto di aver vissuto un’esperienza «profondamente gratificante».

Durante l’itinerario era riuscito a orientarsi consultando le mappe e seguendo gli escrementi delle capre o le poche impronte di scarponi trovate sul percorso. Si era ricordato come accendere un fuoco grazie alle istruzioni che gli aveva dato Asher e aveva imparato a distinguere in lontananza i pochi sentieri tracciati sul terreno sassoso, che in alcuni punti gli avevano fatto venire in mente le immagini trasmesse dai rover e dagli elicotteri sperimentali inviati su Marte.

In un altro tratto aveva capito di essere nella giusta direzione dopo aver notato un gruppo di nomadi con dei muli, rincontrati alcune ore dopo: erano persone impiegate da un’agenzia di viaggi francese per trasportare l’equipaggiamento necessario ad alcuni escursionisti e durante una chiacchierata ristoratrice gli avevano offerto tè berbero e sardine. Nel cammino Caesar aveva incontrato pochissimi animali e nel sentire vari fruscii e qualche sasso che rotolava si era ricordato delle raccomandazioni di Asher su scorpioni, serpenti e sui pericoli della montagna.

Alla fine del percorso, rivedendo il pick-up che lo aveva portato al punto di partenza, non voleva che l’esperienza finisse.

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Come previsto dal pacchetto vacanza, dopo i due giorni da solo sull’Atlante Caesar era stato sistemato in un hotel di lusso vicino a Ouarzazate, una città a tre ore e mezza di strada da Marrakech soprannominata “la porta del deserto” ma anche “la Hollywood del Marocco”, visto che ci sono stati girati diversi film. All’albergo aveva incontrato di nuovo Asher, ma aveva anche notato che sembrava sporco e affaticato quanto lui, scoprendo così che era stato seguito per tutta la durata del suo viaggio.

Asher era sempre rimasto alcune centinaia di metri più indietro rispetto a lui: quando aveva sentito rumore di sassi in lontananza, era Asher che lo seguiva; quando aveva ricevuto un suo messaggio sul GPS in cui gli chiedeva se stesse bene – l’unico in tutto il viaggio – era perché Asher aveva notato che stava andando fuori strada.

Caesar ha scritto che la sua esperienza è stata «sia reale che molto teatrale», con «un tocco di Westworld»: nel citare la nota serie televisiva in cui moltissime cose non sono quello che sembrano, diciamo, ha spiegato di non essere mai stato davvero scollegato, ma di «aver avuto il privilegio di vivere per un po’ di tempo con l’illusione di esserlo». «Sono stato in grado di viaggiare in questo modo soltanto perché un gruppo di esperti aveva preparato un itinerario adatto alla mia forma fisica e aveva controllato ogni mia mossa perché potessi sentirmi in pericolo senza tuttavia esserlo mai davvero», ha scritto Caesar: «La mia avventura è stata confezionata a pennello esattamente come il mio soggiorno in albergo», ha concluso.