Perché Netflix funziona così bene

Una parte difficilmente replicabile del suo successo sta nell'efficacia della sua infrastruttura tecnologica, e ha a che fare con una scelta di dieci anni fa

(Netflix)
(Netflix)

Ci sono molte ragioni per spiegare l’impatto e il successo che Netflix ha avuto e continua ad avere nonostante abbia rivali ricchi e potenti come Amazon, Apple e Disney. Tra le più citate ci sono il fatto che iniziò a occuparsi di streaming prima di tutti, guadagnando così un vantaggio competitivo i cui benefici ancora persistono e il fatto che sia quasi ovunque e che da quasi ovunque possa tirare fuori dal cappello un successo globale come Squid Game

C’è però un aspetto tecnologico di Netflix che spesso viene trascurato – o quantomeno ormai dato per scontato da molti – che è stato e continua a essere determinante e quasi imprescindibile per il suo successo. Finora Netflix non ha mai avuto rilevanti problemi che ne impedissero l’uso a un considerevole numero di utenti. In genere, se c’è una connessione almeno decente, Netflix risulta sempre accessibile.

Non è una cosa scontata: è capitato che avessero problemi in tutto il mondo social network giganteschi come Instagram, Facebook e WhatsApp, piattaforme come Disney+ e su scala ridotta anche Dazn. Netflix invece no, non a quei livelli: difficilmente rallenta e di rado mostra una rotellina che gira al posto delle immagini in movimento. Nonostante la pandemia e milioni di persone a casa a guardare serie tv, nonostante le tante lingue di doppiaggio e sottotitoli spesso disponibili, nonostante tutti gli abbonati che in un certo periodo finiscono col guardare tutti insieme una certa serienonostante miliardi di ore di contenuti riprodotti ogni mese, Netflix non crasha, non va down.

Come ha di recente raccontato The Verge esistono ragioni precise che hanno a che fare con la scelta, che Netflix fece ormai più di dieci anni fa, di un sistema per cui ha finora speso oltre un miliardo di dollari e con cui riesce a muovere in autonomia per la rete internet mondiale i suoi pesanti contenuti audiovisivi, dai suoi server fino ai nostri schermi. Prima di parlare un po’ più nel dettaglio del sistema, che si chiama Open Connect e che The Verge ha definito “l’ingrediente segreto di Netflix” , bisogna però parlare brevemente di come in genere fanno i contenuti – tutti i contenuti – ad essere diffusi ovunque da piattaforme come Netflix.

Una buona parte di merito per come certi contenuti, anche pesanti alcuni giga, arrivano su computer, tablet, smartphone, smart tv, Fire TV Stick e Chromecast va alle CDN: una sigla che sta per Content Delivery Network (“Rete per la consegna di contenuti”). Le CDN sono sparse per il mondo e servono a rendere più vicina, e quindi più veloce ed efficace, la consegna di contenuti: fra cui video, ma anche siti e file di altro tipo. Lo fanno prendendosi per sé le copie dei contenuti, per poi smistarle in autonomia al posto dei server di partenza.

Semplificando, ogni CDN copia i contenuti presenti sul server di origine di un sito e li inserisce nei server dei propri centri dati in giro per il mondo. Quando un utente richiede quei contenuti, le CDN li hanno già pronti, senza bisogno di andarli a prendere dal server originario. Le CDN sono insomma fisicamente più vicine agli utenti rispetto ai server di origine e con la loro presenza aiutano a smistare, organizzare, dirigere e decongestionare il traffico internet. Il sito How Video Works la spiega così:

Un singolo server video risponde alle numerose richieste di streaming da dispositivi in giro per il mondo in modo simile a quello con cui un solo cassiere risponde a numerose richieste di clienti che, dopo aver scelto i loro prodotti, sono in coda alla cassa.

Il risultato non è piacevole né per il singolo cassiere né per i clienti. Le CDN, invece, sono qualcosa di paragonabile ad altri cassieri che gli danno una mano aprendo altre casse.

Un’altra cosa importante: la maggior parte delle CDN e dei POP (“point of presence”, cioè “punti di presenza”) con cui sono organizzate sul territorio è gestita da tre grandi aziende: Fastly, Akamai e Cloudflare. Oltre che alla rete internet e agli imprescindibili servizi offerti dai fornitori di accesso a Internet, la maggior parte dei siti e delle app si appoggia quindi alle CDN di una di queste tre aziende. Di conseguenza, come ha scritto The Verge, anche «la maggior parte dei servizi di streaming si affida a CDN di terze parti» per portare documentari, film e serie in giro per il mondo.

Netflix invece no. Perché ha Open Connect, un sistema di CDN interno a Netflix, una rete con un solo e unico scopo: consegnare i contenuti di Netflix a ogni utente che – magari dopo mezz’ora di ricerche, dubbi ed elucubrazioni varie – decide cosa guardare.

Netflix ci iniziò a lavorare nel 2011, quando House of Cards ancora non esisteva e non molto dopo che l’azienda aveva smesso di fare soldi noleggiando DVD. E The Verge esagera un po’ nel definirlo “ingrediente segreto”, perché sebbene se ne parli in effetti poco, se ne sa molto. Già nel 2016 Ken Florance, vicepresidente Netflix dell’area dedicata alla “consegna di contenuti”, spiegò:

«Dal lancio del servizio di streaming nel 2007, Netflix ha rappresentato una quota significativa e crescente del traffico Internet in tutti i mercati in cui era presente. Anche se le CDN di terze parti facevano un buon lavoro nel distribuire i contenuti di Netflix (in aggiunta a contenuti Internet di ogni genere), ci siamo resi conto che noi potevamo essere molto più efficienti, grazie alle nostre conoscenze sull’utilizzo di Netflix da parte degli abbonati».

Dal 2011 Netflix ha speso oltre un miliardo di dollari in Open Connect, dice di avere almeno 17mila suoi server in oltre 150 paesi e ha piani per aggiungerne altri ancora. Sono server che ricevono e conservano in copia i contenuti di Netflix, e solo quelli, così che siano già pronti all’uso ovunque e che non siano intasati da contenuti esterni.

Gina Haspilaire, vicepresidente di Open Connect, ha detto a The Verge: «Con Open Connect noi portiamo una copia di Bridgerton fino al punto più vicino al tuo fornitore di servizi internet [o ISP, da Internet Service Provider]. A volte proprio dentro la rete dell’ISP. Così facendo evitiamo che l’ISP debba andare a prenderlo per poi trasferirlo a tanti altri server». In un trasferimento che comporta tempi e possibili problemi (anche su internet, maggiore è la strada e più sono i possibili incidenti o rallentamenti), ma anche costi di vario genere.

Così come altri servizi fanno su altre CDN, anche su Open Connect Netflix manda ai suoi server tre copie di ogni contenuto (a loro volta divise in tanti spezzoni più piccoli, ma questa è un’altra questione), ognuna con un diverso livello di risoluzione, e quindi di grandezza del file. Così da aver pronta la copia giusta per ogni esigenza e, se necessario, passare da una all’altra. Succede anche su altri servizi – è piuttosto facile accorgersene per esempio guardando una partita di calcio – ma Open Connect permette a Netflix di farlo in maniera tendenzialmente fluida, senza fastidiose interruzioni. «Adattiamo il contenuto alla qualità della rete, e non il contrario», ha spiegato Haspilaire.

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Open Connect è inoltre perfettamente integrato con le altre componenti di Netflix, e funziona bene anche perché riesce a sfruttare i dati sui gusti dei propri utenti, rielaborati da appositi algoritmi. «Siamo in grado», spiegò Florence cinque anni fa, «di utilizzare sofisticati modelli di popolarità per assicurarci che il file giusto sia sul server giusto al momento giusto». In altre parole, Netflix sa cosa è popolare in un certo posto in un certo momento, e ha molti elementi per provare a prevedere cosa potrebbe diventarlo.

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The Verge ha scritto che Open Connect ha due tipi di server: alcuni servono a gestire la consegna veloce dei contenuti, altri servono invece più che altro come deposito, e possono arrivare a ospitare fino a 350 terabyte di dati (cioè 350mila gigabyte). Se un contenuto diventa di successo, viene preventivamente spostato dai server di deposito a quelli per la consegna veloce.

Qualche settimana fa, prima ancora che qualcuno facesse partire il primo episodio di Squid Game, Netflix aveva la serie già pronta in qualche suo server quanto più vicino possibile al posto in cui si trovava il primo spettatore. Va da sé che, per quanto possibile, Netflix posiziona i server di Open Connect in base a dove ha abbonati o spera di guadagnarne in futuro.

Il successo di Open Connect sta però in quanto e come Netflix riuscì a costruirne le premesse anni fa, quando i suoi abbonati erano giusto qualche milione, quasi tutti negli Stati Uniti (oggi sono circa 200 milioni in tutto il mondo). Secondo Haspilaire fu creato perché l’azienda «sapeva di dover costruire un’infrastruttura tecnologica in grado di sostenere il livello di traffico previsto in caso di successo. Sentivamo che ce l’avremmo fatta e sapevamo che l’internet di allora non era in grado di sostenere il livello di traffico che ci sarebbe servito nel mondo».

Ben prima di crescere, Netflix predispose insomma la struttura necessaria a sostenerla nel caso in cui fosse cresciuta, aggiornandola poi nel tempo: una scommessa che ha pagato, decisamente.

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