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  • Mercoledì 3 novembre 2021

In Etiopia i ribelli si stanno avvicinando alla capitale Addis Abeba

È l'ultimo sviluppo della guerra iniziata un anno fa nella regione del Tigrè, che nel frattempo è diventata più estesa e preoccupante

Un bombardamento a Macallè, la capitale della regione etiope del Tigrè (AP Photo, File)
Un bombardamento a Macallè, la capitale della regione etiope del Tigrè (AP Photo, File)

Martedì il governo dell’Etiopia, guidato dal primo ministro Abiy Ahmed, ha dichiarato lo stato di emergenza nel paese e ha chiesto ai cittadini etiopi di prepararsi a difendere con le armi la capitale Addis Abeba dall’attacco di due gruppi ribelli. Nel fine settimana, infatti, i separatisti del Fronte di liberazione del Tigrè (TPLF) e l’Esercito di liberazione degli Oromo (OLA), che avevano annunciato un’alleanza militare lo scorso agosto, avevano preso il controllo di Dessiè e Combolcià, due città che si trovano lungo l’autostrada che collega la regione del Tigrè, nel nord dell’Etiopia, ad Addis Abeba. I due gruppi sembrano ora muoversi verso sud, e il governo federale teme che possano raggiungere la capitale e tentare di conquistarla.

La situazione attuale in Etiopia è assai confusa e sorprendente allo stesso tempo. L’Etiopia era considerata fino a un anno fa il paese più stabile del Corno D’Africa e nel 2019 il primo ministro Abiy Ahmed aveva vinto il Nobel per la Pace per i suoi sforzi nel concludere un accordo di pace con la vicina Eritrea, con cui l’Etiopia era formalmente in guerra dal 1998. Abiy era anche elogiato a livello internazionale per avere avviato una serie di importanti riforme democratiche nel paese.

Un anno fa, tuttavia, l’esercito federale aveva iniziato una grossa operazione militare nella regione settentrionale del Tigrè, con l’obiettivo di sconfiggere i separatisti del Fronte di liberazione del Tigrè (TPLF), il partito che ancora oggi controlla il governo locale. Il TPLF era stato per molti anni la forza dominante nel governo federale, nonostante i tigrini fossero una netta minoranza etnica in Etiopia; il partito aveva però perso molta della sua influenza con l’arrivo al governo di Abiy, nel 2018, pur mantenendo il suo ruolo centrale a Macallè, la capitale del Tigrè.

Il governo federale, con l’operazione militare iniziata un anno fa, sperava di prendere presto il controllo della regione separatista, anche grazie all’intervento dei militari eritrei, che erano entrati in Etiopia per combattere a fianco dell’esercito etiope.

Nel giro di poco tempo però la situazione si era complicata notevolmente. I ribelli del TPLF, che negli ultimi decenni avevano accumulato grande esperienza militare occupando ruoli di rilievo nell’esercito etiope, avevano inizialmente subìto pesanti sconfitte ma poi lo scorso giugno erano riusciti a riconquistare gran parte della regione. I combattimenti erano stati violentissimi e diverse organizzazioni per la difesa dei diritti umani avevano parlato di gravi crimini di guerra e contro l’umanità compiuti da entrambe le parti. Il governo aveva quindi imposto un embargo sul Tigrè, che impedisce ancora oggi l’arrivo di beni di prima necessità come cibo e medicine.

Nelle ultime settimane, in maniera piuttosto inaspettata, le operazioni militari si sono estese anche fuori dalla regione del Tigrè.

Tra domenica e lunedì il TPLF e l’Esercito di liberazione degli Oromo – che combatte per i diritti degli oromo, il più grande gruppo etnico dell’Etiopia – hanno detto di avere conquistato Combolcià e Dessiè e di avere l’intenzione di raggiungere Addis Abeba. L’alleanza militare tra i due gruppi è ancora più significativa se si considera che il primo ministro Abiy è di etnia oromo. Nell’ultimo anno, comunque, gli scontri tra gli oromo e le forze di sicurezza federali si sono intensificati e hanno portato alcune fazioni oromo a riorganizzarsi per combattere il governo centrale, accusato di discriminazioni e violenze. Un servizio esclusivo di BBC ha raccontato qualcosa di più sull’Esercito di liberazione degli Oromo.

Il governo federale ha negato di avere perso il controllo completo delle due città ed è difficile verificare in maniera indipendente la situazione attuale, viste le grosse limitazioni imposte dal governo etiope all’attività dei giornalisti internazionali.

Il governo federale ha comunque reagito con grande allarme, dichiarando lo stato di emergenza, un provvedimento che gli permetterà nei prossimi sei mesi di adottare misure eccezionali come imporre checkpoint e coprifuochi, e di affidare molti poteri alle forze di sicurezza. Tra le altre cose, chiunque sarà sospettato di avere legami coi “terroristi” – e il governo etiope considera “terroristi” i gruppi ribelli separatisti – potrà essere arrestato anche senza un mandato, e tutti i cittadini in età per prestare servizio militare potranno essere chiamati a combattere. L’amministrazione locale della capitale Addis Abeba ha inoltre ordinato ai residenti di comunicare alle autorità le armi in loro possesso e prepararsi a difendere la città, in caso di attacco.

Oltre a un grosso problema di sicurezza, che al momento è difficile da valutare ma che potrebbe presto coinvolgere anche Addis Abeba, la situazione attuale sta provocando un grave danno alla reputazione del primo ministro Abiy Ahmed.

A settembre gli Stati Uniti, formalmente amici dell’Etiopia, avevano minacciato il governo di Abiy di imporre delle sanzioni se non fosse stato avviato un processo di pace con i ribelli. Il governo aveva accusato a sua volta l’Occidente di neocolonialismo e aveva espulso sette importanti funzionari dell’ONU dal paese, tra cui una persona che si occupava di coordinare l’arrivo degli aiuti umanitari nel Tigrè. Martedì il presidente americano Joe Biden ha detto che rimuoverà i privilegi commerciali che gli Stati Uniti mantenevano con l’Etiopia a causa delle «estese violazioni dei diritti umani riconosciuti internazionalmente» di cui si sono rese responsabili le forze di sicurezza etiopi.

Il conflitto, che prosegue da un anno, ha provocato una grossa crisi umanitaria nella regione del Tigrè, lasciando centinaia di migliaia di persone senza l’accesso a beni di prima necessità. Migliaia di persone sono state uccise e più di 2 milioni e mezzo sono state costrette a lasciare le loro case.