Il nuovo nome di Facebook ha un significato particolare in ebraico

Meta significa "morta", cosa che da giorni viene molto presa in giro

(AP Photo/Tony Avelar)
(AP Photo/Tony Avelar)

Da quando Facebook ha annunciato che cambierà nome in Meta, qualche giorno fa, la notizia è stata molto presa in giro in Israele e dai giornali online che si occupano di cose ebraiche. In ebraico la parola meta, “מתה”, è un aggettivo femminile che significa «morta».

L’hashtag #FacebookDead è da allora piuttosto popolare in Israele, e l’associazione fra le due parole è molto ripresa soprattutto da chi pensa che Facebook abbia cambiato nome, fra le altre ragioni, per distogliere l’attenzione da una serie notevole di recenti scandali che secondo alcuni ha danneggiato irrimediabilmente l’immagine dell’azienda.

Meta è l’abbreviazione di metaverso, cioè una nuova piattaforma online, più coinvolgente di quelle permesse dalle tecnologie attuali, in cui l’azienda intende concentrare la maggior parte delle proprie risorse ed energie nei prossimi anni. Nelle lingue occidentali il prefisso meta- proviene dalla preposizione del greco antico metà, “μετά”, che significa “con”, “dopo”, ma anche “in mezzo a”. Proprio quest’ultimo significato sembra abbia ispirato il nome del metaverso, un ambiente immaginato come a metà fra la realtà concreta e l’internet tradizionale.

Il greco e l’ebraico appartengono a famiglie linguistiche molto diverse – il greco è una lingua di origine indoeuropea, l’ebraico è una lingua semitica, cioè nata in Medio Oriente – e può capitare che due parole che si pronuncino nello stesso modo abbiano significati profondamente diversi.

– Leggi anche: Dopo Internet ci sarà il “metaverso”?

Anche la principale associazione israeliana di volontari in contesti di emergenza, ZAKA, ha partecipato alle prese in giro twittando «Non preoccupatevi, ci pensiamo noi» con l’hashtag #FacebookDead.

La decisione di Facebook è arrivata a pochi giorni di distanza dalla diffusione di numerosi documenti interni forniti a vari giornali americani dalla whistleblower ed ex dipendente dell’azienda Frances Haugen. I documenti, chiamati “Facebook Papers”, amplificano e raccontano nel dettaglio i fallimenti della dirigenza di Facebook nel contenere la disinformazione e l’incitamento all’odio e alla violenza sulla piattaforma, a volte per carenza di mezzi tecnici, e a volte per non danneggiare i profitti che derivano dall’attività delle persone su Facebook.