La “whistleblower” che ha messo nei guai Facebook

Si chiama Frances Haugen, ed è l'ex dipendente che ha permesso le recenti inchieste del Wall Street Journal sul social network

Frances Haugen durante l'intervista al programma "60 minutes"
Frances Haugen durante l'intervista al programma "60 minutes"

Domenica, nel corso del programma televisivo 60 Minutes del canale statunitense CBS, Frances Haugen, ex dipendente di Facebook, ha rivelato di essere la whistleblower di una serie di inchieste su Facebook pubblicate negli ultimi giorni dal Wall Street Journal (whistleblower – chi fischia per richiamare l’attenzione su qualcosa – è il termine con cui si definisce una persona che denuncia pubblicamente o riferisce alle autorità attività illecite all’interno di un’organizzazione pubblica o privata). Le inchieste hanno rivelato come il social network avrebbe privilegiato i profitti alla lotta contro la disinformazione, e sarebbe stato a conoscenza dei potenziali effetti negativi che questa scelta avrebbe avuto sulla salute mentale delle persone.

Nell’intervista a 60 Minutes, Haugen ha detto che «la cosa che ho visto dentro Facebook più e più volte era che c’erano conflitti di interesse tra ciò che era utile per le persone e ciò che era utile per Facebook. E Facebook, più e più volte, ha scelto di ottimizzare i propri interessi, come fare più soldi».

Frances Haugen ha 37 anni, è un’ingegnera informatica statunitense e per 15 anni ha lavorato in grandi società tecnologiche, come Google e Pinterest.

Aveva iniziato a lavorare a Facebook nel giugno del 2019 entrando a far parte del “Civic Integrity team”, una squadra composta da circa 200 persone che aveva il compito di vigilare sulle elezioni in giro per il mondo e analizzare come il social network avrebbe potuto essere usato da governi stranieri per scopi illeciti o per diffondere notizie false.

Al suo team erano stati dati tre mesi per realizzare un sistema che potesse rilevare violazioni di questo tipo, un tempo che lei considerava troppo esiguo per un compito così grande: il team, infatti, non era poi riuscito a fare quanto richiesto.

Haugen ha detto che dentro Facebook c’erano gruppi che avevano compiti enormi, come ad esempio il team responsabile dell’individuazione e della lotta allo sfruttamento delle persone, di cui facevano parte però pochissime persone. Secondo Haugen, Facebook avrebbe volutamente scelto di non incentivare iniziative volte a migliorare la sicurezza degli utenti, per esempio assumendo più persone in questi gruppi.

– Leggi anche: La campagna di trasparenza di Facebook non sta andando benissimo

Il 2 dicembre 2020, poche settimane prima dell’assalto al Congresso degli Stati Uniti – alla cui riuscita in parte contribuì la diffusione di notizie false tramite Facebook –, il fondatore e capo del “Civic Integrity team”, Samidh Chakrabarti, aveva annunciato lo scioglimento del gruppo. Chakrabarti aveva detto anche che si sarebbe preso un congedo dal lavoro per “ricaricarsi”, e pochi mesi dopo si era dimesso da Facebook.

Haugen, scoraggiata dalla mancanza di volontà da parte di Facebook di investire nel contrastare la diffusione delle notizie false, la sera stessa del 2 dicembre aveva deciso di scrivere a un giornalista del Wall Street Journal che l’aveva contattata in precedenza, e aveva iniziato a rivelare le informazioni riservate di cui era a conoscenza. Haugen ha detto che molti di questi documenti erano disponibili a tutti i dipendenti di Facebook, senza nessuna forma di protezione, su Facebook Workplace, la piattaforma utilizzata dai lavoratori del social network per lavorare in gruppo.

Dopo aver lavorato in remoto per alcuni mesi da Porto Rico, dove si era trasferita da San Francisco, nell’aprile del 2021 Haugen si era dimessa. Nel frattempo aveva però fornito al Wall Street Journal molto del materiale che è poi finito nelle inchieste del giornale su Facebook.

Nei documenti riservati consegnati da Haugen ce n’era uno che mostrava come Facebook, nonostante avesse ricevuto un rapporto sui disagi psicologici provocati sugli adolescenti da Instagram (social network di proprietà di Facebook), non avesse preso nessuna iniziativa per risolvere il problema. A causa di quest’inchiesta, la sottocommissione per la protezione dei consumatori del Senato degli Stati Uniti ascolterà ora sia i dirigenti di Facebook sia Haugen.

Prima di lasciare Facebook, Haugen aveva copiato di nascosto decine di migliaia di pagine di ricerche interne che mostravano come l’azienda avesse mentito sui progressi fatti per contrastare l’odio, la violenza e la disinformazione. Haugen ha detto che alla base del problema ci sarebbero stati gli algoritmi introdotti nel 2018, che secondo lei sarebbero stati pensati per aumentare l’engagement (il coinvolgimento degli utenti): e per Facebook, un modo facile per aumentare l’engagement sarebbe stato quello di pubblicare contenuti che instillassero paura e odio negli utenti. «È più facile infondere nelle persone la rabbia che altre emozioni», ha detto Haugen.