Un lontanissimo pianeta sopravvissuto alla morte della sua stella

Simile a Giove, è in orbita intorno a una nana bianca e offre qualche indizio sulla fine che farà il nostro sistema solare

di Emanuele Menietti – @emenietti

MOA-2010-BLG-477L b e la sua stella di riferimento, in un'elaborazione grafica (NASA)
MOA-2010-BLG-477L b e la sua stella di riferimento, in un'elaborazione grafica (NASA)

A 7.500 anni luce da noi – circa 70 milioni di miliardi di chilometri – c’è un pianeta che è riuscito a sopravvivere alla peggior cosa che possa succedere in un sistema solare: la morte della sua stella di riferimento. MOA-2010-BLG-477 L b, il pianeta, è stato identificato da un gruppo di astronomi e potrebbe offrire nuovi importanti spunti per capire che ne sarà del nostro sistema solare, quando tra 5 miliardi di anni il Sole diventerà sempre più instabile e collasserà poi in una nana bianca, una piccola e flebile stella.

L’analisi di MOA-2010-BLG-477 L b (che da qui in poi lo chiameremo MOA b per praticità) e della sua stella è stata da poco descritta sulla rivista scientifica Nature e costituisce di per sé un grande risultato nella ricerca, considerata la distanza di quel sistema solare da noi e la sua bassissima luminosità.

Microlente gravitazionale
Gli astronomi sono riusciti a rilevarne la presenza attraverso la microlente gravitazionale, un effetto che si verifica quando il campo gravitazionale di una stella agisce come una lente d’ingrandimento, mettendo a fuoco la luce di un’altra stella lontana.

Il fenomeno si verifica quando la stella osservata (che sta davanti rispetto a chi la osserva) è perfettamente allineata con la stella che viene messa a fuoco (che sta dietro). Se la stella che agisce come lente ha anche un pianeta che le orbita intorno, l’effetto può essere ulteriormente amplificato e può fornire un valido indizio per dedurre la presenza di un nuovo esopianeta (cioè un pianeta esterno al nostro sistema solare).

Per essere apprezzata, la microlente gravitazionale richiede un allineamento dei corpi celesti che vengono osservati, cosa che si verifica di rado e che richiede quindi una costante osservazione di milioni di stelle. È un’attività svolta da diversi osservatori in giro per il mondo, anche perché l’allineamento dura di solito poco tempo, giorni o settimane nel migliore dei casi, essendo l’intero sistema in movimento, compreso il punto di osservazione.

Stelle morenti
La nuova ricerca segnala che MOA b ha una dimensione simile a Giove, il più grande pianeta del nostro sistema solare, e che si trova in orbita intorno alla sua nana bianca, che un tempo era paragonabile per caratteristiche al nostro Sole. Superata la lunga fase di stabilità, tipica delle stelle come la nostra, divenne una gigante rossa e collassò in una nana bianca, durante un processo evolutivo estremamente turbolento che di solito causa la distruzione dei pianeti in orbita nelle vicinanze.

Se avesse orbitato un poco più vicino alla sua stella, MOA b probabilmente non ce l’avrebbe fatta e sarebbe stato incenerito o fatto a pezzi, una sorte che quasi certamente toccherà alla Terra quando il Sole evolverà verso una gigante rossa. I ricercatori hanno identificato somiglianze tra quel lontano sistema solare e il nostro, anche in termini di che cosa ci si potrà attendere qui nei paraggi quando si avvicinerà la fine del Sole.

Le stelle sono giganteschi reattori nucleari, che ogni secondo fondono in elio centinaia di milioni di tonnellate di idrogeno nel loro nucleo, rilasciando enormi quantità di energia. Quando l’idrogeno diventa scarso, le reazioni nucleari rallentano e la stella inizia a espandersi e ad avere una temperatura superficiale più bassa, da qui il nome gigante rossa. Nel caso del Sole, questo processo farà si che Mercurio e Venere, i pianeti a lui più vicini, saranno inglobati e inceneriti dalla fase espansiva. La Terra potrebbe non essere incenerita, ma sarà comunque distrutta dalla gravità del Sole. Marte potrebbe invece scamparla, mentre i pianeti gassosi che si trovano nel sistema solare esterno (Giove, Saturno, Urano e Nettuno) saranno spinti verso orbite più distanti.

Trascorso almeno un miliardo di anni da gigante rossa, il Sole inizierà a collassare evolvendo in una nana bianca, concentrando circa metà della propria massa attuale (pari a 333mila volte la massa della Terra) in una sfera grande all’incirca come il nostro pianeta. A quel punto il sistema solare per come lo conosciamo oggi sarà difficilmente riconoscibile.

Superstite
Per lungo tempo gli astronomi avevano ipotizzato che i pianeti potessero sopravvivere alla morte delle loro stelle di riferimento, ma finora non avevano trovato molti indizi per averne la certezza. MOA b era stato notato per la prima volta nel 2010, grazie al lavoro di una collaborazione tra centri di ricerca in Nuova Zelanda e in Giappone che si chiama Microlensing Observations in Astrophysics (MOA). Successive osservazioni realizzate con il telescopio Keck-II alle Hawaii si sarebbero rivelate inconcludenti: nonostante la strumentazione molto potente i corpi celesti cercati avevano una luce troppo flebile per essere colta.

Con questa conferma indiretta, i ricercatori realizzarono nuovi calcoli concludendo che si trattasse di un pianeta simile a Giove in orbita intorno a una nana bianca. Determinarono poi la sua orbita: circa 2,8 volte più distante rispetto a quella della Terra intorno al Sole. Una simile distanza, rapportata al nostro sistema solare, equivale più o meno alla zona della fascia principale, l’area ricca di asteroidi che si trova tra Marte e Giove.

Un paio di anni fa un altro gruppo di ricercatori aveva notato la presenza di un anello di polveri e gas intorno a una nana bianca, i probabili resti di un pianeta che aveva fatto la fine che potrebbe spettare tra qualche miliardo di anni alla Terra. Osservazioni analoghe erano state segnalate in vari studi, ma nessuno era come MOA b.

Ricerche di questo tipo stanno aiutando gli astronomi a comprendere meglio l’evoluzione dei sistemi solari, i cui esiti possono essere in alcuni casi meno catastrofici di quanto si immaginasse un tempo. I dati indicano che potrebbero esserci molti pianeti sopravvissuti alla morte delle loro stelle.