Il Bond da ripassare prima di “No Time to Die”

Quello di “Agente 007 - Al servizio segreto di Sua Maestà”, l'unico interpretato da George Lazenby

Agente 007 – Al servizio segreto di Sua Maestà fu il sesto film su James Bond e il primo senza Sean Connery. Uscì nel 1969 e quello che già allora era l’agente segreto più famoso della storia del cinema era interpretato dal quasi sconosciuto George Lazenby, di dieci anni più giovane rispetto a Connery.

All’inizio del film, Bond salva una donna che sta annegando. Prima di potersi presentare per bene, finisce però nei guai, uscendone in puro stile bondiano. Nel frattempo, la donna appena soccorsa scappa da sola alla guida dell’Aston Martin di 007, che resta lì solo, stupito e scorato. Guardando l’auto che si allontana – ma anche un po’ verso lo schermo, di fatto rompendo la cosiddetta quarta parete – dice: «una cosa così non era mai successa a quell’altro». In inglese, «this never happened to the other fella».

Quell’altro era ovviamente Connery. E quella battuta è entrata a suo modo nella storia del cinema perché riuscì a spiegare in poche parole che lui era ancora Bond, ma un Bond diverso. Come ha scritto di recente Bilge Ebiri su Vulture, «mise in chiaro che nessuno doveva preoccuparsi troppo della coerenza di contenuti tra un Bond e l’altro, e tra un film di Bond e un altro». In altre parole, quella battuta, tra l’altro forse improvvisata da Lazenby, aprì la strada a tutti i successivi film di James Bond.

Ora che nei cinema è arrivato No Time to Die, il nuovo e ultimo film in cui l’agente 007 è interpretato da Craig, più di un articolo ha ricordato Al servizio segreto di Sua Maestà e il Bond interpretato da Lazenby, per più di una ragione.

Non ancora trentenne, Lazenby fu scelto per fare Bond perché Connery aveva detto di non poterne più di essere identificato solo con quel personaggio sempre più ingombrante. La decisione cadde su di lui dopo che il produttore Albert R. Broccoli e il regista Peter Hunt lo avevano visto recitare nella pubblicità di una barretta di cioccolato. Da quasi sconosciuto, l’australiano Lazenby si trovò quindi a dover prendere il posto del ben più famoso Connery, perlopiù in un momento in cui, sull’onda del successo dei primi film su Bond, ce n’erano in giro parecchi altri che provavano a imitarne le storie e il protagonista.

All’inizio il film piacque poco e Lazenby ancora meno. Gene Siskel, rispettato critico del Chicago Tribune, scrisse che non era degno di raccogliere l’eredità del suo predecessore, e nemmeno sembrava in grado di guidarne l’Aston Martin o indossarne gli abiti. «È un ragazzo, e di conseguenza molto meno uomo», scrisse Siskel, che aggiunse: «gli manca quel sorrisetto compiaciuto che Connery si portava appresso e sapeva trasmettere al pubblico». Molti altri criticarono il Bond di Lazenby per motivi simili, e ci fu anche chi ipotizzò che quel film sarebbe stato un fallimento e avrebbe messo fine alla saga.

Ci fu tuttavia anche chi apprezzò Lazenby e il suo approccio al personaggio: per esempio la critica femminista Molly Haskell, che su Village Voice scrisse: «il nuovo James Bond sembra più a suo agio come pedante genealogista che come lettore di Playboy, e sembra addirittura interessato all’idea che una donna sua pari possa essere meglio di un migliaio di playmates con cui fare festa». Haskell non era sola nel gradire quel nuovo Bond meno guascone e più vulnerabile, e a suo modo anche più cinico e tragico.

Di certo era tragico il film, visto che alla fine Bond sposava quella donna incontrata a inizio film, che però moriva dopo il matrimonio.

Il protagonista non era però l’unica peculiarità di Al servizio segreto di Sua Maestà, che comunque ebbe buoni incassi e finì con l’essere rivalutato anche da buona parte della critica. Come ha scritto di recente Cinemablend, «per una serie di film che si era fatta conoscere e apprezzare per le sue avventure ambiziose, i suoi gadget esagerati e le sue frasi lapidarie, quel film rappresentò un deciso cambio di rotta. I gadget erano più modesti e persino la trama era piuttosto semplice».

Ciononostante, Lazenby interpretò Bond solo in quell’occasione. Per il successivo film – Una cascata di diamanti, del 1971 – fu richiamato per un’altra e ultima volta Connery, e poi arrivarono, nell’ordine, Roger Moore, Timothy Dalton, Pierce Brosnan e Daniel Craig.

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Anche la scelta di Craig (così come quella di ogni altro Bond prima di lui) fu inizialmente criticata, tra le altre cose perché era ritenuto troppo basso e con occhi e capelli troppo diversi da come si pensava dovessero essere quelli di Bond. Ma anche lui riuscì a far cambiare idea a molti, perché seppur diverso dagli altri il suo Bond era credibile e coerente con se stesso. Inoltre, i Bond con Craig sono quelli che più hanno rischiato nel presentare un personaggio diverso da quello a cui molti spettatori si erano abituati, con implicazioni che in No Time to Die sono portate all’estremo.

«A conti fatti» ha scritto Ebiri su Vulture «il progetto principale dei film su Bond con Daniel Craig può essere visto facilmente come il tentativo di vedere fino a quanto non-Bond può diventare Bond». Senza dire troppo, nei film con Craig Bond si innamora di nuovo, si ritira, tradisce e viene tradito, e rischia di essere rimpiazzato. Addirittura, sempre secondo Cinemabland, Al servizio segreto di Sua Maestà è «il film di James Bond da andare a vedere prima di guadare No Time to Die».

Intanto l’82enne Lazenby – che dopo Bond non ebbe nessun altro ruolo a quel livello – è andato a vedere No Time to Die. Sembra gli sia piaciuto e ha scritto di aver trovato «un’interessante scelta musicale».

Il commento di Lazenby sulle musiche è un riferimento al fatto che all’inizio di No Time to Die c’è una sorta di citazione musicale della canzone “We Have All The Time In The World”. La canzone cantata da Louis Armstrong che si sente più volte in Al servizio segreto di Sua Maestà, e che è anche parte del suo finale.