Couchsurfing.com non è più quello di una volta

Il sito per dormire gratis sul divano di sconosciuti era amato da tantissimi viaggiatori, ma negli ultimi anni è diventato un'altra cosa

(Christopher Furlong/Getty Images)
(Christopher Furlong/Getty Images)

Ci sono stati anni, non molto tempo fa, in cui Couchsurfing.com era usato e apprezzato da molti, anche in Italia. Era comodo, popolare e – dettaglio per nulla indifferente, vista l’età e le finanze di molti suoi utenti di allora – del tutto gratuito. Permetteva infatti di dormire gratis (sui divani o dove c’era spazio) a casa di altre persone che avevano offerto un posto. Senza dover pagare niente, con Couchsurfing si poteva quindi pernottare gratis un po’ ovunque nel mondo, e magari farsi pure nuovi amici ospitando o venendo ospitati da altri.

In un recente articolo che ne ha ricostruito la storia, il sito Input ha scritto che Couchsurfing è stato «il più grande sito di scambio di ospitalità e uno dei più grandi esperimenti della gift economy», l’economia del dono. “È stato” perché, sebbene ancora esista, non è più così grande e non è nemmeno più gratis. Entrambe le cose hanno un po’ a che fare con la pandemia, ma anche con una serie di problemi che Couchsurfing iniziò ad avere diversi anni fa. Come ha detto a Input un ex dipendente che ci ha lavorato dal 2007 al 2020, «è ormai quasi un decennio che Couchsurfing spezza molti cuori».

Couchsurfing fu concepito a fine anni Novanta da Casey Fenton, un programmatore del New Hampshire che, dice lui, durante una vacanza in Egitto si rese conto che «il mondo non era quel posto spaventoso che pensavo», e aveva cominciato a viaggiare. Nel 1999, prima di una vacanza in Islanda, l’allora ventunenne Fenton riuscì a ottenere il database degli studenti di un’università di Reykjavik e mandò a circa 1.500 indirizzi una mail in cui chiedeva ospitalità gratuità. Gli risposero alcune decine di studenti e finì per stare a casa di uno di loro. Sul volo di ritorno gli venne l’idea e il 12 giugno 1999 registrò il dominio “couchsurfing.com”.

Per dare struttura al sito e concretezza all’idea, Fenton si mise a collaborare con l’amico Daniel Hoffer e con i web designer Sebastien Le Tuan e Leonardo Bassani da Silveira, che fondarono con lui Couchsurfing. Pare tuttavia che la maggior parte del lavoro lo facesse Fenton: «penso che gli piacesse passare tempo con noi e che decise che fosse interessante fondare insieme una società», ha detto Hoffer, che lo aveva conosciuto lavorando con lui in una società di consulenza.

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I quattro cofondatori ragionarono insieme su quale forma dare a Couchsurfing: Hoffer propose di fare qualcosa di simile a quello che poi sarebbe stato Airbnb (che esiste dal 2007), ma finì per prevalere l’approccio di Fenton, che voleva fare invece una sorta di associazione non profit e credeva che Couchsurfing dovesse avere, secondo una definizione di Hoffer, «la missione sociale di facilitare la comprensione interculturale».

«Era una visione utopica», ha scritto Input, ma funzionò. Nel giugno 2004 il sito andò online, entro Natale gli utenti erano già più di seimila e nel 2005 divennero quasi 50mila. Il milionesimo utente arrivò nel 2009.

Tutto ciò mentre Couchsurfing non aveva rilevanti entrate, ma nemmeno ingenti uscite. Buona parte di chi collaborava al sito lo faceva in modo volontario, e buona parte di tutto quel che riguardava Couchsurfing era gestito da un gruppo di varia composizione i cui membri vivevano e lavoravano girando il mondo: alle Hawaii e in Alaska, in Thailandia e in Nuova Zelanda. Di uno di questo soggiorni, Input ha scritto che i membri del collettivo «passarono svariate ore al giorno nella vasca idromassaggio riscaldata o attorno al falò sempre acceso». Secondo alcuni resoconti, pare si facessero anche tanta festa e molto sesso.

L’attività era tenuta in piedi da una sorta di collettivo itinerante al cui centro c’era sempre Fenton. «È una di quelle persone che ti fanno desiderare di piacergli», ha detto di lui una ex dipendente. Un’altra ha invece detto: «scherzavamo sempre sul fatto che Couchsurfing fosse un culto […]. Di certo aveva alcuni prerequisiti. Una guida carismatica, un gruppo che vive insieme, norme sociali che da fuori sembrano strane».

Man mano che il sito cresceva, emersero però i problemi legati a quel tipo di gestione. Nel 2006, per esempio, il sito non resse il troppo traffico che generava e si rischiò che la maggior parte dei suoi dati andasse perduta. «Couchsurfing così come lo conoscevamo non esiste più» scrisse Fenton in un drammatico messaggio agli utenti. Ma nel giro di qualche settimana si trovò un modo per risolvere il problema e Couchsurfing tornò online.

Dopo quell’incidente Fenton provò a mettere un po’ d’ordine a Couchsurfing, e per un po’ sembrò riuscirci. O quantomeno riuscì a tenere in piedi il sito e far crescere i suoi utenti. Con l’ingrandirsi del sito crebbero però anche i problemi: alcuni dovuti alle attività dell’azienda e al suo voler essere una non profit, altri legati ad accuse di molestie successivi ad alcuni incontri avvenuti tramite il sito, altri ancora relativi a quel che succedeva nell’azienda. Casey Shultz, che per Couchsurfing si occupò di questioni legali e finanziarie, ha detto a Input, per esempio: «c’era senza dubbio la sensazione che le donne dovessero fare solo le assistenti e che per loro non ci fosse modo di salire di livello. Le riunioni più importanti, quasi tutte fatte solo da uomini, erano fatte in una stanza scherzosamente nota come “Monte Olimpo”».

Un altro problema era che, come ha scritto Input, Couchsurfing si trovò con «tantissime persone che volevano farsi ospitare e con relativamente poche persone che erano disposte a ospitare».

Nel 2011, in una riunione organizzata in Umbria a Palazzo Massarucci, Fenton annunciò che Couchsurfing avrebbe cambiato approccio: avrebbe smesso di voler essere una non profit e avrebbe iniziato ad accettare finanziamenti dagli investitori. Fenton annunciò anche che la guida dell’azienda l’avrebbe presa Hoffer, il cofondatore che già da tempo voleva fare di Couchsurfing qualcosa di simile a quello che nel frattempo era diventato Airbnb, e che negli ultimi anni aveva perlopiù fatto altro, al punto che molti dei membri del “collettivo” presenti in Umbria non l’avevano mai visto.

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Hoffer aveva fatto buoni studi e accumulato interessanti esperienze, ma «non aveva il carisma di Fenton». Pare che a quell’annuncio molti piansero.

Quella che sarebbe dovuta essere una ripresa fu invece l’anteprima di una caduta. Che lo stesso Fenton sembra avesse intravisto. Ricordando quel periodo ha detto infatti a Input che quel cambio di direzione aziendale fu forzato dall’impossibilità di continuare a non generare profitti. Ha aggiunto: «sapevo che questo avrebbe distrutto la nostra comunità, e sapevo che non eravamo Airbnb, sebbene agli investitori dicevamo di esserlo».

Nel 2012 Hoffer fu sostituito da Tony Espinoza, che arrivava da MTV e che, in breve, ebbe ancora più difficoltà del suo predecessore a inserirsi nella “cultura aziendale” di Couchsurfing. Perché pare che volesse anche lui airbnbizzare Couchsurfing e poi perché, tra le altre cose, dovette scontrarsi con il fatto che buona parte di chi si occupava di Couchsurfing era tradizionalmente solito lasciare tutto per andare un po’ di giorni al Burning Man, il festival in cui decine di migliaia di persone creano una città nel deserto, fanno festa, bruciano un grande fantoccio, poi smontano tutto e tornano a casa. «Era una parte importante della nostra cultura aziendale», ha detto a Input un ex dirigente.

Visto che Hoffer e Fenton erano ancora nell’azienda, sebbene messi un po’ in disparte via via che l’azienda riceveva finanziamenti e cambiava struttura, le tensioni tra loro ed Espinoza crebbero. Secondo Input i due arrivarono anche a progettare una sorta di «colpo di stato». Non ebbero successo e, in sintesi, furono allontanati. «Vorrei poter parlare di tutto questo» ha detto Fenton «ma non voglio cause legali».

Nel 2015, dopo un nuovo giro di finanziamenti milionari, la guida dell’azienda fu presa da un certo Patrick Dugan, che vuole far sapere poco su quel che fa e del quale in effetti si sa poco. Prima di occuparsi di Couchsurfing aveva lavorato a Palantir, la controversa azienda tecnologica del cofondatore di PayPal Peter Thiel.

Couchsurfing continua a esistere, ma secondo Input «è evasivo su molte questioni», da Dugan in giù. Per esempio, «non risponde a domande su quanti siano i suoi membri», che secondo il suo sito sono 14 milioni se si guarda da una parte e 12 se si guarda da un’altra, poco più sotto.

Soprattutto, però, nel maggio 2020 – in piena pandemia – c’è stato un drastico cambio di approccio e il sito è diventato a pagamento. In molti paesi (Italia compresa) sia i nuovi iscritti che quelli che lo erano da decenni devono infatti pagare per poter accedere. È presentata come una “donazione” per far fronte all’emergenza Covid, ma è obbligatoria e non è nemmeno chiaro se e quando verrà abolita.

Intanto, Couchsurfing ha sperimentato e in parte implementato alcune nuove funzioni, per esempio per permettere a persone di incontrarsi e passare tempo insieme anche senza dormire gli uni dagli altri. Tra le tante altre cose deve però vedersela – oltre che con Airbnb, che comunque offre un servizio di altro tipo, sempre a pagamento – con altri siti simili che provano di emularne le fortune o raccoglierne l’eredità. Uno è couchers.org, un altro ancora è bewelcome.org, da cui è a sua volta nato il sito trustroots.org.

Come ha detto una professoressa intervistata da Input, «penso che sarò sempre una couchsurfer, ma non so se continuerò per sempre a usare Couchsurfing».

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