Le misteriose caverne nei ghiacciai

Esplorandole alcuni geologi avventurosi hanno scoperto cose interessanti sulla loro formazione e sul loro ruolo nello scioglimento dei ghiacci

(Mario Tama/Getty Images)
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Quando gli occhi del geologo Jason Gulley si abituarono all’oscurità, videro un abisso ampio e profondissimo. Gulley era appeso a una corda in nylon e si stava calando in un cosiddetto “mulino” della calotta glaciale della Groenlandia, come vengono chiamate le grandi gole che si formano in estate e in autunno sulla superficie di ghiaccio. Era il 2018 e Gulley studiava i ghiacciai già da anni, tuttavia non si aspettava di trovare una caverna così grande. «L’unica cosa che riuscivo a pensare era: “Tutto questo non dovrebbe stare qui”» ha scritto di recente sul New York Times, in un racconto in prima persona sui suoi viaggi alla scoperta delle caverne nei ghiacciai, luoghi ancora poco esplorati ma che possono farci capire meglio la portata delle conseguenze del cambiamento climatico.

 

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Anche se quella in Groenlandia – fatta nel 2018 – fu la sua spedizione più avventurosa, Gulley nel corso dei suoi studi ha visto tanti ghiacciai ridotti a «formaggio svizzero», come scrive lui, cioè pieni di cavità. Nel suo articolo, racconta di aver iniziato a studiare questo fenomeno nel 2004, quando ancora era uno studente di geologia in Kentucky (Stati Uniti). A quell’epoca conobbe il glaciologo Doug Benn, che stava studiando lo scioglimento dei ghiacciai sull’Everest, sotto ai quali ci sono grosse caverne che provocano il prosciugamento dei laghi glaciali (con conseguenze talvolta catastrofiche per gli insediamenti a valle).

L’origine della formazione di queste caverne era ignota, e quindi Benn e Gulley ritennero che l’unico modo per scoprirla era andare ad esplorarle, mapparle e analizzarle: «Anche se non avevo mai visto un ghiacciaio, e anche se Doug aveva solo fatto brevi spedizioni di questo tipo, pensammo che combinando l’esperienza in glaciologia e alpinismo di Doug con il mio passato da esploratore di caverne avremmo potuto andare a vederne alcune tra le più alte al mondo, e magari pure sopravvivere».

 

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Partirono nel novembre del 2005, trascorrendo sette settimane a studiare le caverne nei ghiacci a quasi 5.000 metri di quota. «Boccheggiando per l’aria rarefatta, sopravvivemmo a frane, cadute di pezzi di ghiaccio e crolli dei pavimenti delle caverne. E imparammo lentamente i segreti delle cavità nei ghiacciai». Quello che scoprirono Gulley e Benn è che le cavità sui ghiacciai intorno all’Everest si formano per via di stratificazioni (bande) di detriti porosi che si trovano all’interno dei ghiacci. L’acqua dei laghi in superficie fluisce attraverso queste bande sciogliendo il ghiaccio circostante e formando la caverna, che si amplia sempre di più man mano che il ritmo dello scioglimento e il flusso di acqua aumentano.

«Avendo svelato il mio primo mistero scientifico, ne fui conquistato» racconta Gulley, che nel 2006 completò il suo percorso di studi e cominciò a esplorare e mappare decine di caverne nei ghiacciai in giro per il mondo, insieme a Benn e ad altri «avventurosi collaboratori» con cui è andato nel corso degli anni in Alaska, in Nepal, nelle isole Svalbard e in Norvegia; nel frattempo Gulley ha imparato anche come fotografare le caverne e condividere così le informazioni con gli altri scienziati e scienziate che non hanno le sue stesse competenze tecniche per avventurarsi in quei posti.

 

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Questi viaggi hanno permesso a Gulley di documentare «il ruolo da mediatore che le caverne dei ghiacci hanno nel modo in cui i ghiacciai reagiscono al cambiamento climatico». Gulley per esempio ha scoperto che in Alaska e nelle isole Svalbard – che si trovano molto a nord della Norvegia – le caverne seguono l’andamento delle fratture presenti negli strati di ghiaccio e convogliano l’acqua provocata dallo scioglimento del ghiacciaio verso il fondo dello stesso. Quando poi la portata di queste acque aumenta in estate, la superficie di contatto tra la terra e il ghiacciaio si “lubrifica” facendo sì che il ghiacciaio scivoli più in fretta rispetto a quanto farebbe senza lo scioglimento (e senza le caverne).

Fino al 2018, comunque, Gulley non era mai riuscito a esplorare le profondità dell’enorme calotta glaciale della Groenlandia, piena di gole e caverne verticali profondissime. Gulley quella volta andò al seguito di Will Gadd, canadese, cinquantenne e noto scalatore autore di imprese piuttosto estreme (nel 2015 fu la prima persona a scalare la parete ghiacciata delle cascate del Niagara). «A un primo sguardo, io e Will eravamo davvero una coppia strana per una spedizione» ricorda Gulley. «Will è uno dei più grandi scalatori di ghiaccio al mondo, sponsorizzato dalla Red Bull, vincitore degli X Games, la competizione di sport estremi della ESPN. […] Io invece sono un professore di geologia all’University of South Florida, parlo agli studenti della fisica delle falde acquifere. […] Diciamo che non frequentiamo lo stesso ambiente».

A Gadd era venuta l’idea di fare un documentario incentrato sul cambiamento climatico dopo aver assistito alla drastica riduzione dei ghiacciai durante la sua carriera di scalatore. Alla Red Bull piacque l’idea e Gadd contattò Gulley come esperto della materia, che peraltro proprio in quel periodo stava studiando la formazione dei mulini, le aperture verticali sulla superficie della calotta della Groenlandia.

Ogni estate, spiega Gulley, sulla superficie della calotta glaciale in Groenlandia si formano laghi e fiumi per via delle alte temperature. Queste acque finiscono poi nei mulini della calotta e fluiscono verso il letto roccioso alla sua base, creando lo stesso fenomeno dell’Alaska e delle Svalbard: la calotta si muove più in fretta e fa finire grandi quantità di ghiaccio nell’oceano. All’epoca della chiamata di Gadd, Gulley si era fatto un’idea di come potevano apparire le caverne sottostanti. Tuttavia voleva tornarci in autunno, quando i flussi di acqua si arrestano per via delle temperature più basse e diventa relativamente sicuro esplorare le caverne. Quindi accettò subito l’offerta.

 

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Mentre si calava nella caverna, Gulley capì che non erano affatto come se le aspettava. «Avendo lavorato in molte caverne nei ghiacciai così diverse tra loro, pensavo di conoscerle bene. Ma mentre penzolavo nel mezzo di quel gigantesco pozzo nella calotta glaciale della Groenlandia, sconcertato dalla sua vastità, capii che le caverne dei ghiacciai riservavano ancora delle sorprese per me, e che c’erano ancora misteri da risolvere».

Alcuni glaciologi ritengono che nei prossimi anni le temperature in aumento causeranno un ulteriore scioglimento della calotta, che provocherà a sua volta nuove caverne in zone dove non si erano ancora formate e facendo scivolare la calotta sul letto sottostante ancora più velocemente. Tutto ciò potrebbe accelerare l’innalzamento del livello dei mari, che è causato dallo scioglimento dei ghiacci terrestri. Probabilmente per questo motivo le spedizioni nei mulini della Groenlandia stanno aumentando: nel 2017 ce n’era stata un’altra condotta dal geologo italiano Francesco Sauro e sponsorizzata da Moncler.

All’epoca della spedizione Sauro aveva raccontato di essere riuscito a calarsi nel mulino poco prima che le condizioni meteorologiche lo rendessero impossibile: «Siamo riusciti a calarci negli ultimi giorni: con le temperature tra -17 e -18°C il fiume si era ghiacciato in superficie. Siamo scesi fino a 70 metri, poi ce n’erano altri 100, ma si sentivano in continuazione i boati dovuti al crollo di blocchi di ghiaccio e ci siamo fermati». Secondo Sauro, le caverne dei ghiacciai meritano di essere studiate sia per «scoprire come queste grotte si formano e cosa ci vive lì, come i microrganismi che influenzano la fusione del ghiaccio», sia per indagare il passato. Durante la prima discesa in uno dei mulini, un microbiologo che partecipava alla spedizione riuscì «a campionare il ghiaccio ogni 3 metri. Ciò permette di ricostruire la biologia del passato molto meglio che con i carotaggi».

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