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  • Sabato 18 settembre 2021

La misteriosa morte di Dag Hammarskjöld, sessant’anni fa

Ancora oggi le ragioni dello schianto che causarono la morte dell'allora segretario generale dell'ONU rimangono controverse

L'ex segretario generale dell'ONU Dag Hammarskjöld (AP Photo)
L'ex segretario generale dell'ONU Dag Hammarskjöld (AP Photo)

Poco dopo la mezzanotte del 18 settembre 1961, sessant’anni fa, la torre radio della città di Ndola, nell’allora Rhodesia del Nord, cioè l’attuale Zambia, comunicò per l’ultima volta con i piloti di un Douglas DC-6 della compagnia charter svedese Transair. L’aereo aveva appena iniziato le manovre per l’atterraggio. Qualche minuto dopo l’una di notte si schiantò nella foresta vicino alla città. È difficile conoscere l’orario preciso perché le ricerche iniziarono solo dieci ore dopo. Quando i soccorritori arrivarono sul luogo dello schianto, vicino al relitto del DC-6 trovarono il corpo di Dag Hammarskjöld, il segretario generale dell’ONU. Per ragioni mai del tutto chiare, Hammarskjöld aveva un asso di picche infilato nel colletto della camicia.

A sessant’anni di distanza, la morte di Hammarskjöld è ancora un caso controverso e molti degli esperti che si sono occupati di questa vicenda si rifiutano di considerarlo vittima di un incidente.

Dag Hammarskjöld, nato nel 1905 a Jönköping, una città della Svezia meridionale, divenne il segretario generale dell’ONU nell’aprile del 1953. Erano tempi piuttosto difficili per la diplomazia: la Guerra di Corea era nella sua fase conclusiva e la Guerra Fredda era una realtà, la fine del colonialismo era imminente e la situazione in Medio Oriente era piuttosto delicata. Quando divenne segretario generale, Hammarskjöld si impegnò per dare all’ONU più autonomia, con una sua amministrazione e un gruppo di funzionari stabile, e poteri di intervento durante le crisi internazionali.

Per dimostrare che questa politica sarebbe stata lungimirante e decisiva in delicate situazioni diplomatiche, Hammarskjöld si occupò in prima persona di negoziati e trattative: trattò il rilascio di prigionieri statunitensi durante la guerra di Corea, inviò forze dell’ONU per impedire che degenerasse la crisi di Suez e intervenne anche nella rivolta ungherese del 1956. Appoggiò anche il processo di decolonizzazione, sostenendo i diritti delle piccole nazioni che cercavano l’indipendenza e attirandosi così molte critiche da parte dei paesi occidentali.

Dag Hammarskjöld (terzo da sinistra) arriva a Leopoldville, oggi Kinshasa, in Congo, per la missione di pace (AFP/Getty Images)

Quando il suo aereo si schiantò, Hammarskjöld stava negoziando il cessate il fuoco tra il Congo, che nel 1960 divenne indipendente dal Belgio, e la provincia del Katanga, nel sudest del paese, che si era dichiarata indipendente nello stesso anno. L’indipendenza del Katanga era sostenuta da soldati belgi con l’interesse delle compagnie minerarie europee. Moise Tshombe, leader secessionista del Katanga, rifiutò la proposta di sostituire i soldati belgi con quelli dell’ONU: temeva infatti di perdere il sostegno militare alla secessione. Il governo del Congo, invece, era sostenuto dall’Unione Sovietica, che si dichiarò insoddisfatta del ruolo assunto dall’ONU. Nel 1961 Hammarskjöld andò nell’Africa meridionale per incontrare le parti in causa e negoziare un cessate il fuoco.

Alle 18 del 17 settembre, l’aereo con a bordo il segretario dell’ONU e altre quindici persone partì dalla capitale del Congo, Leopoldville (oggi Kinshasa), per raggiungere Ndola, a sudest, dove avrebbe dovuto incontrare il leader secessionista Tshombe. L’unico superstite dello schianto avvenuto poco dopo l’una di notte fu Harold Julian, una guardia del corpo, che morì tre giorni più tardi. Prima di morire, Julian aveva raccontato alle autorità che prima dello schianto c’era stata un’esplosione nell’aereo. Poche settimane dopo la sua morte, a Dag Hammarskjöld fu assegnato il premio Nobel per la Pace.

Il relitto dell’aereo su cui volava Hammarskjöld (Photo by Central Press/Hulton Archive/Getty Images)

Nei decenni seguenti, la morte di Hammarskjöld generò una quantità incredibile di teorie del complotto secondo le quali, a seconda dei casi, sarebbe stato ucciso dagli spari di una persona assoldata dalla CIA o da truppe americane di terra, da un pilota belga che sosteneva di aver abbattuto l’aereo, o ancora da un mercenario sudafricano che gli avrebbe sparato in testa dopo che era sopravvissuto allo schianto.

Il funzionario dell’ONU che identificò per primo il suo corpo giurò che Hammarskjöld aveva un foro in fronte della grandezza di una pallottola. L’autopsia, durante la quale fu fatta anche una radiografia del corpo di Hammarskjöld, non confermò però questa tesi. L’ONU scartò anche una serie di altre teorie, come la ricostruzione secondo cui un presunto mercenario sudafricano chiamato Swanepoel si sarebbe vantato di aver partecipato all’omicidio, mentre era ubriaco.

Ancora oggi, l’incidente rimane controverso per almeno due ragioni. La prima è la mancanza di prove. Solo il 20 per cento dell’aereo potè essere esaminato perché il restante 80 per cento era andato distrutto. Inoltre le indagini furono condotte con una certa superficialità: molte delle persone che avevano assistito allo schianto non furono ascoltate.

Nel 2011 il Guardian pubblicò le conclusioni di un operatore umanitario svedese, Göran Björkdahl, che nei tre anni precedenti aveva intervistato presunti testimoni oculari del disastro che vivevano nei villaggi vicini. Secondo Björkdahl, le testimonianze e gli altri elementi da lui scoperti proverebbero che un secondo aereo abbattè il DC-6 che trasportava Hammarskjöld, e che l’esercito rhodesiano intervenuto nella zona del disastro nascose le prove e ritardò i soccorsi.

Nel 2016 l’ONU riaprì l’inchiesta sulla morte di Hammarskjöld. In un primo rapporto definì «plausibile» la presenza di un secondo aereo e suggerì di chiedere ai governi coinvolti di dimostrare di avere svolto controlli approfonditi dei registri di volo. Un’inchiesta di Associated Press pubblicata nel 2011 dal Washington Post sostiene invece che la causa più probabile dello schianto sia stato un errore dei piloti dovuto alla stanchezza.

Nel maggio del 2015, un americano, Paul Abram – che sostiene di aver prestato servizio in una postazione d’ascolto della NSA a Candia, in Grecia – ha raccontato al gruppo di esperti dell’ONU di aver ascoltato un’intercettazione radio la notte della morte di Hammarskjöld, in cui una persona non americana con un accento marcato aveva detto: «Gli americani hanno appena abbattuto un aereo dell’ONU».

(AFP/Getty Images)

La seconda ragione delle controversie è legata all’abbondanza di nemici che Hammarskjöld si era fatto nel corso della sua carriera. In quegli anni in Congo c’era un notevole movimento di agenti dei servizi segreti di Stati Uniti, Regno Unito, Unione Sovietica e Germania occidentale. Il paese aveva enormi ricchezze minerarie, in gran parte concentrate nella provincia del Katanga, dove fra l’altro veniva estratto l’uranio, essenziale per lo sviluppo delle armi nucleari. Gli Stati Uniti temevano che l’intervento dell’ONU in Africa avrebbe consegnato all’Unione Sovietica il dominio del continente. L’Unione Sovietica, invece, pensava che Hammarskjöld fosse un tirapiedi occidentale.

L’operato di Hammarskjöld è stato molto importante per definire e ampliare i ruoli e i compiti del segretario generale delle Nazioni Unite e della stessa organizzazione. La risolutezza della sua leadership, ricorda il suo principale biografo Brian Urquhart, «non è mai stata eguagliata»: è un merito ancor più notevole in un periodo storico che fu assai complesso e pericoloso.