Deridere le morti per COVID-19 dei no vax non salva vite

Oltre a essere inumano, non è la strategia vincente se l'obiettivo è convincere gli indecisi a vaccinarsi, per il bene di tutti

Caricamento player

Da qualche mese si leggono spesso sui quotidiani articoli sulla morte per COVID-19 di persone non vaccinate. Notizie di questo tipo circolano molto sui social network per mostrare l’importanza della vaccinazione per ridurre il rischio di sviluppare forme gravi della malattia, ma talvolta vengono condivise con toni ironici o denigratori nei confronti delle persone coinvolte e più in generale di chi esita a vaccinarsi o dichiara di essere “no vax”.

Si leggono spesso messaggi che più o meno esplicitamente alludono al fatto che un morto di COVID-19 non vaccinato “se la sia cercata”, implicando che sarebbe stato sufficiente vaccinarsi per evitare il decesso. La condivisione di questi contenuti contribuisce a polarizzare ancora di più il confronto tra la grande maggioranza favorevole ai vaccini e la minoranza (solitamente più rumorosa e sovraesposta dai media) di chi è contrario alla vaccinazione. Anche se i due schieramenti vengono spesso rappresentati come nettamente definiti, i margini sono molto più sfumati con una rilevante porzione della popolazione che non esclude di vaccinarsi, ma che fatica a ottenere informazioni affidabili e autorevoli per compiere una scelta informata.

Il tema è dibattuto da tempo, ma nelle ultime settimane è stato affrontato da alcuni osservatori e opinionisti soprattutto negli Stati Uniti, con riflessioni sull’importanza di non ironizzare e dileggiare la morte del prossimo: possono apparire ovvie e scontate, eppure molti sembrano dimenticarle nel momento in cui si parla di individui non vaccinati durante una pandemia.

Michael Gerson, autore dei discorsi di George W. Bush quando era presidente e da tempo editorialista del Washington Post, ha scritto un articolo a inizio agosto invitando già dal titolo a rivedere le priorità e a recuperare umanità: «Non dovremmo essere crudeli sulle morti da COVID. Dovremmo concentrarci sul fare in modo che si vaccinino tutti».

Gerson scrive che, da quando sono diventati disponibili i vaccini contro il coronavirus, molti hanno iniziato a sentire un senso di rivincita nel constatare che i contagi e le morti continuassero ad aumentare nelle parti degli Stati Uniti dove maggiore era lo scetticismo sui vaccini: «Questa reazione, per la maggior parte, non è stata contro singoli individui o famiglie, ma contro un gruppo di persone. Ma naturalmente anche questo gruppo è la somma di individui morti e di famiglie in lutto».

I commenti alle notizie di questi decessi mostrano il compiacimento di alcune persone per il dolore di altre, meccanismo acuito dal fatto che la soddisfazione viene espressa quasi sempre online, in contesti dove non c’è un vero e proprio contatto con le persone che hanno subìto il lutto. La distanza e il distacco fanno sì che alcuni percepiscano una maggiore spersonalizzazione, sentendosi liberi di commentare con ironia, di fare battute, dileggiare o preparare meme da mettere in circolazione sui social e sulle applicazioni per scambiarsi messaggi.

Chi lo fa pensa, più o meno consapevolmente, che la morte di un non vaccinato sia una sorta di inevitabile sanzione per essere stato incosciente, e che per questo sia “più giusta” e accettabile. Gerson ricorda che allora lo stesso ragionamento dovrebbe essere applicato ai molti altri comportamenti non salutari che seguiamo ogni giorno:

Dio ci aiuti se tutti noi avessimo la salute che ci meritano, quando mangiamo in modo poco equilibrato, quando non facciamo attività fisica, o quando ignoriamo i sintomi di una malattia: tutte cose che potrebbero fare aumentare il rischio di morte più di avere qualche esitazione a vaccinarsi. Alcuni di noi assumono la propria sconsideratezza a piccole dosi di continuo.

Gerson riconosce che naturalmente è peggio quando il comportamento sconsiderato di qualcuno si riflette sugli altri, come può avvenire nel caso di una mancata vaccinazione se ciò rende più probabile la trasmissione di una malattia. Eppure, anche fumare o bere molto alcol hanno un costo sociale che viene sostenuto dalla comunità e che siamo ormai abituati ad accettare.

Come hanno scritto altri osservatori, anche a causa della caratterizzazione che ne fanno i media, la maggior parte della popolazione tende a vedere le persone che decidono di non vaccinarsi come un blocco monolitico altamente ideologizzato, che non potrà mai cambiare idea. In realtà gli individui decidono di non vaccinarsi per mille ragioni diverse e ogni morte di un non vaccinato è una storia a sé, con le complessità e le sfaccettature tipiche della vita di ogni essere umano. Gioirne o scherzarci sopra non porta molto lontano, soprattutto se l’obiettivo è convincere il maggior numero possibile di quelle persone incerte a rompere le esitazioni e a vaccinarsi.

Come ha scritto Elizabeth Bruenig sull’Atlantic, la comprensione di ciò che spinge una persona a non vaccinarsi non può passare dal dileggio, soprattutto se riguarda la morte di qualcuno che la pensava come quella persona. Occorre fare un po’ di ginnastica mentale e provare a capire quali informazioni siano più persuasive per il destinatario, non per sé stessi.

Esclusi i no vax convinti, nella maggior parte dei casi gli esitanti alla vaccinazione hanno semplicemente paura, perché non sanno come funziona davvero un vaccino o perché sono stati terrorizzati dall’enorme quantità di informazioni – spesso contraddittorie – messe in circolazione dalle istituzioni, dai media e condivise sui social network. Gli esempi nell’ultimo anno non sono mancati, basti pensare alla confusione sui rarissimi casi di problemi circolatori legati alla somministrazione del vaccino di AstraZeneca, e segnalano un fallimento nel raggiungere un’ampia porzione della popolazione con le giuste informazioni.

Scrive Bruenig:

Ciò che mi colpisce delle risposte dei non vaccinati – a differenza della caricatura fornita spesso dai loro peggiori rappresentanti – è che sembra esserci una volontà significativa nel prendere in considerazione la vaccinazione, anche se dubito che i mezzi di persuasione siano descrizioni raccapriccianti di decessi o allusioni al fatto che i non vaccinati stessi siano colpevoli della morte di chi viene contagiato. Ci sono paure e dubbi e probabilmente una quantità significativa di polarizzazione negativa – la terribile inclinazione di ogni parte politica nel mostrare il proprio peggio quando riceve critiche – aggravata dalla presenza dei mezzi di comunicazione tradizionali e dei social media. Ma lo scetticismo preclude alla certezza. Ciò significa che ci può essere ascolto, con il giusto tipo di persuasione.

Bruenig ha provato a mettere in pratica questi assunti con uno dei suoi zii: vive in Texas, non si è vaccinato e dice di non essere ancora convinto sull’opportunità di farlo perché i vaccini contro il coronavirus sono in circolazione da troppo poco tempo. Alla domanda se si fosse informato sul processo di autorizzazione ha risposto di no, perché buona parte dell’informazione è colpevolista nei confronti di chi non si vaccina, ma al tempo stesso non fornisce dettagli utili per fare una scelta più consapevole. Ha poi aggiunto di non trovare rilevanti o persuasivi gli articoli sui morti non vaccinati, di non dar loro peso.

Dopo avere discusso sul modo in cui vengono sviluppati i vaccini e su altri aspetti, la conversazione è terminata sulle opzioni a disposizione su vaccinarsi e con un orientamento più possibilista, ha concluso Bruenig:

Mi sono sentita bene dopo la nostra chiacchierata. Voglio che mio zio, mia zia, i miei cugini, il mio altro zio e il resto della mia famiglia sparpagliata tra Texas e Louisiana stiano bene. E penso – ma non posso provarlo – che desiderare questo per qualcuno sia in qualche modo più persuasivo dei toni politicamente duri e macabri che dominano attualmente il confronto pubblico.

– Leggi anche: Si fa presto a dire “no vax”