La sede di CasaPound non è ancora stata sgomberata

Diversamente da quanto aveva promesso la sindaca di Roma un mese fa: è una storia che va avanti da molti anni

Un attivista di CasaPound si affaccia dalla sede di via Napoleone III

(ANSA/GIUSEPPE LAMI)
Un attivista di CasaPound si affaccia dalla sede di via Napoleone III (ANSA/GIUSEPPE LAMI)
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Il 29 luglio, dopo una riunione in prefettura, la sindaca di Roma, Virginia Raggi, aveva annunciato con una certa sicurezza lo sgombero di un palazzo nei pressi della Stazione Termini occupato da molti anni da CasaPound, il gruppo politico neofascista più rilevante in Italia, che ne aveva fatto la sua sede. «Lo avevo detto anni fa, ora finalmente ci siamo», aveva detto Raggi riferendosi al palazzo, che si trova in via Napoleone III. Lo sgombero però non è ancora avvenuto.

Dello sgombero si parla ormai da molti anni. Dal 2019 un account di Twitter pone ogni giorno la stessa domanda: «Hanno sgomberato la sede di Casapound?». La risposta, invariabilmente, è no: anche se l’annuncio di fine luglio sembrava non lasciare dubbi.

Lo sgombero è atteso dagli stessi militanti che presidiano la sede, e che in passato avevano lasciato intendere di essere pronti a morire pur di continuare l’occupazione; ma anche dai candidati alla carica di sindaco di Roma e dai partiti che li sostengono, pronti a fare della questione un argomento di scontro elettorale in vista delle elezioni del 3 e 4 ottobre. Nel giugno del 2020 anche Matteo Salvini fece sapere la sua opinione: «Quel palazzo non è pericolante. Mi sembra che le priorità di Roma siano ben altre».

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Il palazzo di via Napoleone III, nel quartiere Esquilino, fu occupato il giorno di Santo Stefano del 2003. Il sito di Casapound ricorda così l’evento: «Lo stereotipo reazionario che vuole l’occupazione di edifici disabitati come pratica esclusiva della sinistra è pugnalato a morte». Il palazzo ha sei piani e ospita 20 appartamenti. È di proprietà dell’Agenzia del Demanio ed era utilizzato negli anni Sessanta dal ministero della Pubblica Istruzione. Per molti anni è poi rimasto disabitato. Subito dopo l’occupazione da parte del gruppo neofascista, l’agenzia del Demanio presentò una denuncia: poi più nulla. Nel 2016 vennero tagliate acqua e luce, poi misteriosamente riallacciate.

A occupare lo stabile furono alcuni militanti che avevano come ritrovo il pub Cutty Surk di Roma, che si vantava, all’ingresso, di essere «il pub più odiato d’Italia». Il leader del gruppo era, ed è ancora oggi, Gianluca Iannone, un passato nel Movimento Politico Occidentale poi sciolto con il decreto Mancino contro l’odio razziale, e frontman del gruppo musicale Zetazeroalfa il cui pezzo forte del repertorio è “Cinghiamattanza“. Il testo fa così: «Primo me sfilo la cinta due inizia la danza tre prendo bene la mira quattro cinghiamattanza. Questo cuoio nell’aria sta ufficializzando la danza solo la casta guerriera pratica cinghiamattanza».

Ai concerti i seguaci degli Zetazeroalfa si sfilano la cintura e iniziano a frustarsi tra di loro. Un altro pezzo, “Guerra”, recita: «Tempesta d’acciaio per giovani cuori. Resa dei conti per i traditori. Brucia nel sole la mia bandiera. Nessun compromesso: bandiera nera!».

Prima di arrivare in via Napoleone III, il gruppo di militanti, che già allora si dava il nome di CasaPound, aveva occupato uno stabile in via Tiberina, chiamato CasaMontag (Montag era il nome del protagonista di un celebre romanzo di Ray Bradbury, Fahrenheit 451). Erano gli anni di altre occupazioni che venivano chiamate OSA, Occupazioni a scopo abitativo, o ONC, Occupazioni non conformi. CasaPound si presentava allora come movimento “nuovo” nel panorama dell’estrema destra: «In netta controtendenza rispetto alle sclerosi veterodestrorse, si comincia a concepire il fermento artistico e giovanile come pietra angolare e non come pericolosa effervescenza da contenere», si legge ancora oggi sui loro siti.

Gridavano slogan come «Né rossi né neri ma liberi pensieri», ma poi il 29 aprile di ogni anno si ritrovavano al campo X del cimitero Maggiore di Milano per celebrare i morti della Repubblica sociale italiana al grido di «Presente!» e con braccia tese. I giornali li definivano, e lo fanno ancora oggi, “fascisti del terzo millennio”.

In realtà CasaPound è ben radicata nella storia del ventennio del secondo millennio: i suoi militanti definiscono Mussolini «il più grande statista della storia». Si dichiarano fascisti ma non lo fanno più pubblicamente, dopo le decine di procedimenti giudiziari («Fascisti sì, ma non fessi», dicono). Anzi, in passato hanno spesso giocato con una certa ambiguità e apertura al mondo di sinistra, perlopiù per accreditarsi in ambienti e contesti diversi dal loro.

Nella sede di via Napoleone III sono passati per alcuni dibattiti Enrico Mentana, Piero Sansonetti, Giampiero Mughini. L’ex membro delle Brigate Rosse Valerio Morucci ci è andato per presentare un suo libro. All’ingresso della sede di via Napoleone III tra le frasi di Mussolini spiccano anche quelle di Ernesto Che Guevara. C’è il nome di Julius Evola ma anche quello dello scrittore portoghese Fernando Pessoa, di Platone e di capitan Harlock, fumetto giapponese e poi serie televisiva di fine anni Settanta. Ma anche del poeta irlandese William Butler Yeats e di Leon Degrelle, capo del contingente belga delle SS (la polizia paramilitare nazista).

Mentre nascevano le varie sedi in giro per l’Italia e venivano messe in campo iniziative di solidarietà (solo e rigorosamente per italiani bianchi), i militanti finivano nei guai per aggressioni ai danni di militanti di sinistra. Solo dal 2011 al 2016 venti militanti sono stati arrestati e 359 denunciati.

La festa per il decimo anniversario di apertura della sede di CasaPound a Torino (LaPresse/Nicolò Campo)

CasaPound diceva di essere contro ogni discriminazione ma intanto organizzava manifestazioni contro i campi nomadi e d’estate, sulle spiagge italiane, ronde di militanti prendevano di mira i venditori ambulanti stranieri – attività che non sono mai state abbandonate. Nel 2019 nei quartieri romani di Torre Maura e di Casal Bruciato, i presidi di CasaPound hanno impedito a diverse famiglie rom di abitare gli appartamenti ai quali avevano diritto, con insulti e minacce anche di morte. E una settimana fa, a Pozzallo, in Sicilia, militanti di CasaPound hanno fatto una manifestazione contro l’immigrazione. Lo striscione recitava «A difesa dei sacri confini».

Il successo di CasaPound non si limita alla politica. I suoi dirigenti sono titolari di pub, case editrici, ristoranti – la catena Osteria Angelino, di cucina romana, è presente a Roma e Milano ma anche a Malaga, in Spagna, e a Lima, in Perù – e di un’azienda di abbigliamento: la Pivert fondata da Francesco Polacchi, ex portavoce della sezione giovanile di CasaPound, Blocco studentesco. I giubbotti Pivert sono stati indossati ostentatamente da Matteo Salvini nel periodo di forte alleanza tra la Lega e CasaPound, fra 2013 e 2014, durante il quale CasaPound sostenne attivamente alcuni candidati della Lega alle elezioni europee.

C’è una foto storica che ritrae, all’Osteria Angelino, Matteo Salvini e altri dirigenti della Lega a cena con Gianluca Iannone e Simone Di Stefano, rispettivamente fondatore e segretario di CasaPound. Oggi l’alleanza con la Lega sembra essersi molto raffreddata, e CasaPound si è avvicinata a Fratelli d’Italia.

– Leggi anche: I rapporti fra Matteo Salvini e l’estrema destra italiana

Nel 2019 il Movimento decise anche di presentarsi alle elezioni europee, ma raccolse un misero 0,3 per cento a livello nazionale. Un risultato che fece dire ai al suo fondatore: «In seguito all’esperienza delle ultime elezioni europee e al termine di una lunga riflessione sul percorso del movimento dalla sua fondazione a oggi, CasaPound Italia ha deciso di mettere fine alla propria esperienza elettorale e partitica».

Se l’interesse verso CasaPound è aumentato negli anni, non altrettanto si può dire dell’interesse per la casa occupata di via Napoleone III. Non c’è mai stato, dal 2003 ad oggi, un vero tentativo di liberazione del palazzo.

Nel 2007, quando era sindaco Walter Veltroni, il palazzo fu inserito nell’elenco di stabili con persone in emergenza abitativa. Due anni dopo il sindaco Gianni Alemanno provò a collocarlo fra quelli che il Comune avrebbe potuto acquisire dal Demanio per 11 milioni e 800 mila euro. Non se ne fece nulla perché le opposizioni espressero la loro contrarietà temendo una cessione in comodato d’uso al movimento neofascista.

Nel 2016, il palazzo di via Napoleone III venne inserito nuovamente nella lista di quelli (circa 80) da sgomberare; la Corte dei Conti ha valutato un danno erariale di 300mila euro per ogni anno di occupazione. Nell’agosto 2019 la sindaca Raggi ottenne di fare rimuovere la scritta CasaPound dall’edificio; un anno dopo la Procura di Roma chiese al gip il sequestro preventivo dell’immobile.

Due erano le indagini per cui si chiedeva il provvedimento: una per occupazione abusiva e un’altra per istigazione a delinquere per odio razziale. Il gip decise per il sequestro preventivo, notificato a chi si trovava all’interno dello stabile, però respinse la seconda accusa: «Deve osservarsi che il materiale probatorio acquisito in atti non è sufficiente per poter affermare la sussistenza del fumus criminis relativo all’articolo 604 bis del codice penale». Ovvero istigazione a delinquere per motivi di discriminazione etnica, razziale o religiosa. Per quanto riguardava la programmazione dello sgombero, la parola veniva data al Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza.

(ANSA/ANGELO CARCONI)

Si è arrivati così al 29 luglio e all’annuncio di Virginia Raggi. «L’idea», ha detto Raggi, «è quella di poterlo prendere noi in carico e trasformarlo in un edificio di case popolari. Vogliamo arrivare a conclusione di questa triste vicenda nel più breve tempo possibile». La sindaca ha anche detto che «verrà effettuato un censimento sulle persone presenti all’interno in modo che coloro che hanno delle fragilità possano essere assistiti in altro luogo dagli assistenti sociali di Roma Capitale. Chi non ha alcun diritto, invece dovrà lasciare quegli spazi immediatamente. La legge è uguale per tutti».

Nella sede di CasaPound di via Napoleone III vivono oggi una ventina di famiglie, tra cui quelle dei dirigenti del movimento.

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