Draghi e Conte trattano sulla riforma della Giustizia

Dopo il loro incontro sembra si possa arrivare all'approvazione della legge in tempi rapidi, con qualche modifica gradita al M5S

Giuseppe Conte fuori da palazzo Chigi dopo l'incontro con il presidente del Consiglio Mario Draghi, Roma 19 luglio 2021 (ANSA/GIUSEPPE LAMI)
Giuseppe Conte fuori da palazzo Chigi dopo l'incontro con il presidente del Consiglio Mario Draghi, Roma 19 luglio 2021 (ANSA/GIUSEPPE LAMI)

Lunedì il presidente del Consiglio Mario Draghi ha incontrato il nuovo leader politico del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte per un atteso colloquio (una trattativa, in realtà) sulla riforma della Giustizia presentata dalla ministra Marta Cartabia, uno dei pacchetti di leggi più importanti tra quelli che l’Italia deve fare per ottenere i finanziamenti europei del Recovery Fund e che il governo vorrebbe approvare entro agosto.

Dalle dichiarazioni successive e dalle ricostruzioni dei cronisti politici sembra che Draghi e Conte si siano messi abbastanza d’accordo, intendendosi sul sostegno del M5S alla legge in cambio di qualche modifica gradita. Una soluzione che potrebbe andare bene a tutti, consentendo l’approvazione della riforma in tempi rapidi, ma con qualche vittoria simbolica per il M5S, che esce da un momento di grande difficoltà.

Il partito di Conte, peraltro principale forza della maggioranza, era molto ostile ad alcuni dei provvedimenti della riforma Cartabia, che smantellerà quella che aveva voluto l’ex ministro Alfonso Bonafede nel 2018. Anche se malvolentieri, la delegazione del partito al governo l’aveva approvata al Consiglio dei ministri di inizio luglio, perché era capitata in un momento di grave crisi e confusione interne, in cui di fatto nel partito non comandava nessuno.

Il punto più controverso della riforma riguarda i tempi della giustizia penale: la legge di Bonafede, conosciuta come “Spazzacorrotti”, aveva eliminato la prescrizione dopo le sentenze di primo grado, sia di condanna che di assoluzione. Adottando quindi un approccio molto giustizialista. Con la nuova riforma, la prescrizione rimane così – cioè cessa di decorrere dopo la sentenza di primo grado – ma vengono introdotti tempi fissi oltre i quali scatta l’improcedibilità e il processo dovrà dunque fermarsi: sono previsti due anni per il processo d’Appello e un anno per quello in Cassazione. È insomma un aggiustamento in senso garantista della riforma Bonafede.

La riforma introduce in pratica al posto della prescrizione del reato quella del processo, attraverso l’improcedibilità. Ci sono però delle eccezioni per i reati gravi, come mafia, terrorismo, traffico di droga, violenza sessuale, rapina, estorsione, sequestro, e dopo l’insistenza del M5S anche per corruzione e concussione: in questi casi i tempi dei processi potranno essere prorogati fino a tre anni per l’Appello e a un anno e mezzo per la Cassazione.

L’accordo del Movimento 5 Stelle sulla riforma in Consiglio dei ministri era arrivato in un momento particolare, di crisi interna e assenza di leadership, quando Beppe Grillo e Giuseppe Conte si insultavano e si contendevano la guida del partito. Le tensioni si erano poi risolte e l’incontro con Draghi sulla riforma della Giustizia è stato di fatto la prima prova da nuovo leader per Conte, motivo per cui c’erano abbastanza aspettative.

Il colloquio tra Conte e Draghi è durato circa quaranta minuti e nonostante qualcuno avesse addirittura ipotizzato che potesse finire con una crisi nella maggioranza sembra essere andato meglio del previsto. Conte ha confermato la volontà del M5S di sostenere il governo Draghi, ma sembra abbia ottenuto la possibilità di fare dei cambiamenti alla riforma della Giustizia, senza stravolgerla.

Sui giornali di oggi circola il contenuto di alcune proposte di modifica che farà il M5S: l’obiettivo principale sarà eliminare dalla riforma quello che il partito considera un “rischio di impunità”. Come ha riassunto Repubblica, l’entrata in vigore della riforma potrebbe essere collegata all’effettiva assunzione di magistrati e cancellieri soprattutto nelle corti di Appello in difficoltà, in modo da rinforzare e velocizzare i processi di secondo grado (e quindi ridurre quelli annullati per aver superato la scadenza). Il processo di Appello potrebbe durare sempre tre anni per tutti i reati (ora è di due anni, tranne che per i reati considerati più gravi). E per calcolare i tempi dell’Appello non si partirebbe più dalla notifica della sentenza di primo grado, ma da quando viene emesso il decreto di citazione in giudizio delle parti: un altro sistema per posticipare un po’ la scadenza oltre la quale scatta l’improcedibilità.

Per sapere i contenuti precisi delle modifiche – sulle quali anche il Partito Democratico sarebbe in linea generale d’accordo – si dovrà comunque attendere la presentazione degli emendamenti, entro le 18 di martedì.