La proliferazione di roditori in Friuli Venezia Giulia, spiegata

È stata collegata a un caso della cosiddetta “febbre da topo”, ed è un fenomeno che si ripete ciclicamente

Un esemplare di Myodes glareolus, comunemente detto arvicola rossastra o arvicola dei boschi (Evan James Shymko, Wikimedia)
Un esemplare di Myodes glareolus, comunemente detto arvicola rossastra o arvicola dei boschi (Evan James Shymko,

A metà giugno in Friuli Venezia Giulia è stato riscontrato un caso di contagio della cosiddetta “febbre da topo”, dopo che nelle settimane precedenti erano stati accertati diversi focolai della stessa malattia in Slovenia. Questa malattia si manifesta con febbre, emorragie e problemi ai reni ed è provocata dagli hantavirus, presenti nei roditori in tutto il mondo.

I recenti casi di “febbre da topo” sono stati collegati all’eccezionale proliferazione di alcune specie di roditori in certe zone della Slovenia e anche nel Friuli Venezia Giulia: seppur di portata maggiore alla media è un fenomeno naturale che si ripete ciclicamente e secondo zoologi ed epidemiologi non dovrebbe far allarmare.

Il caso di “febbre da topo” in Friuli riguardava in un cittadino sloveno che abita a Cervignano, in provincia di Udine, pochi chilometri a ovest di Monfalcone. I primi casi in Slovenia, invece, erano stati riscontrati a gennaio e al 10 giugno risultavano contagiate in totale 213 persone. Secondo il giornale Primorski Dnevnik, citato dal Corriere della Sera, 64 di queste abitavano nella Goriška, la regione occidentale della Slovenia che confina con Gorizia, la città dove si era presentato al pronto soccorso l’uomo contagiato in Italia.

La malattia provocata dagli hantavirus è caratterizzata da febbre, mal di testa, dolori addominali e lombari e fotofobia, ovvero la difficoltà a stare nei luoghi molto illuminati; dopo alcuni giorni, può provocare anche problemi ai reni, pressione bassa, emorragie e, molto raramente, il coma. È un classico esempio di “zoonosi”, ovvero il passaggio di una malattia dagli animali all’uomo. Il virus infatti si trasmette tramite le urine, le feci o la saliva dei roditori, che per esempio possono disperdersi sugli ortaggi nei campi, contagiando chi poi ingerisce gli alimenti contaminati.

L’epidemiologo Fulvio Zorzut ha detto a Trieste Prima che c’erano già stati alcuni casi di “febbre da topo” sia nel 2002 che nel 2012, per lo più in Slovenia e Croazia, e ha spiegato che salvo rari casi il virus non viene trasmesso da persona a persona: questa caratteristica rende molto più facile il contenimento dei contagi, rispetto per esempio alla circolazione del coronavirus. Nessuna tra le persone contagiate in Slovenia, comunque, è morta, e anche il paziente ricoverato a Gorizia non era in condizioni gravi.

Secondo Zorzut, probabilmente i focolai di questa malattia sono legati alla proliferazione di topi che negli ultimi mesi è stata osservata in diverse aree della regione.

Lo zoologo del museo di Storia naturale di Udine, Luca Lapini, ha raccontato a Udine Today che a inizio maggio le autorità del Friuli Venezia Giulia avevano chiesto agli esperti indicazioni su come comportarsi nei confronti delle diverse segnalazioni di albergatori e malgari che avevano notato «impressionanti invasioni di roditori».

Da alcune settimane infatti erano state osservate quantità di topi sopra la media in diverse zone della regione: dalla val di Resia, vicino al confine con la Slovenia, alla val d’Arzino, dove scorre l’omonimo torrente, che confluisce nel Tagliamento. In alcuni casi, i roditori erano stati osservati in boschi e paesi, mentre in altri erano stati trovati morti, come è accaduto in una pozza del torrente Arzino, dove ne erano stati contati circa 300.

Lapini ha detto che si tratta di un fenomeno normale che si ripete ciclicamente, anche se a ritmi non costanti, e che non merita particolare attenzione.

Secondo gli esperti la proliferazione riguarda alcune specie selvatiche, come il Myodes glareolus, un roditore della famiglia dei cricetidi, conosciuto come arvicola rossastra o arvicola dei boschi, e l’Adodemus flavicollis, cioè il topo selvatico dal collo giallo. Il fenomeno è piuttosto complesso e varia da zona a zona, ma sostanzialmente si verifica in presenza di certe condizioni ambientali.

In particolare, primavere ed estati secche favoriscono l’impollinazione anemofila (cioè tramite il vento) di faggi e abeti rossi, che porta a un aumento della produzione dei frutti di cui si cibano tra gli altri cervi, caprioli e cinghiali, ma anche tutti i roditori selvatici. Temperature invernali miti, unite alla grande abbondanza di cibo, significano poi una mortalità ridotta per i roditori, col risultato che durante la primavera successiva si avrà una pullulazione, ovvero un aumento demografico improvviso. In questi casi, è possibile che i più piccoli si allontanino per cercare cibo, arrivando anche nelle città e nelle abitazioni.

L’aumento della popolazione di roditori può avere conseguenze sull’ecosistema ed essere collegato alla trasmissione di virus come gli hantavirus, ma generalmente è un fenomeno che si esaurisce rapidamente. Quando aumenta la presenza di roditori, infatti, gli animali e gli uccelli carnivori tendono a nutrirsi quasi esclusivamente di loro, anziché di lepri e fagiani o quaglie, e questa è la causa principale della conclusione del fenomeno; un’altra causa può essere la minore disponibilità di risorse che possono essere consumate dalla popolazione di roditori più abbondante del solito.

Se nelle foreste boreali del Nord Europa il fenomeno si presenta in vaste aree più o meno puntualmente, alle nostre latitudini la pullulazione si verifica con cadenza per lo più triennale, quinquennale o decennale, spiegava già nel 2012 un comunicato del museo di Storia naturale di Udine che era stato diffuso in occasione di un’altra pullulazione in Friuli Venezia Giulia. Allora era stata osservata una proliferazione straordinaria di roditori in alcune aree tra le alpi Carniche e le prealpi Giulie (come Pierabech e Tarvisio); un fenomeno analogo era stato osservato anche nel 1993.

La cosa importante che hanno ripetuto gli esperti è evitare iniziative spontanee di derattizzazione, perché l’impiego di composti chimici potrebbe avvelenare tutta la catena alimentare. Piuttosto, come viene specificato nelle indicazioni del ministero della Salute per prevenire la circolazione dell’hantavirus, se si è osservata la presenza di topi si dovrebbero disinfettare accuratamente le superfici e si dovrebbe cercare di impedire l’accesso in casa dei roditori isolando gli ambienti domestici con materiali adeguati.

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