Per gli italiani che abitano negli Stati Uniti è complicato tornare a casa
Nella loro casa americana, s'intende, perché con un visto di lavoro non possono rientrare da paesi considerati a rischio, come l'Italia
Il 13 marzo 2020, per limitare il rischio di contagi da coronavirus, il governo statunitense guidato da Donald Trump sospese qualsiasi viaggio negli Stati Uniti considerato non essenziale o urgente di persone provenienti da uno dei paesi dell’area Schengen, tra cui anche l’Italia, oltre che Regno Unito, Brasile e Sudafrica. I destinatari della misura erano turisti o possessori di visto che nei 14 giorni precedenti al loro ingresso in territorio statunitense erano stati in un paese considerato a rischio.
Alla fine del gennaio 2021 gli stessi divieti sono stati confermati dal nuovo presidente Joe Biden.
Da allora la lista dei paesi a rischio non è stata modificata, nonostante la situazione epidemiologica sia cambiata notevolmente: in Italia è migliorata molto, per esempio, mentre in altri paesi esclusi dalla lista è radicalmente peggiorata. Il risultato è stato assai paradossale: molti italiani che vivono negli Stati Uniti e che erano tornati per un periodo in Italia sono stati costretti a trascorrere i 14 giorni precedenti al loro ritorno in un paese diverso, magari con una situazione epidemiologica peggiore rispetto a quella italiana: come Turchia, Croazia o Messico. E questa situazione sta proseguendo ancora oggi.
Le misure restrittive imposte dal governo americano non valgono per tutti: non valgono per i cittadini statunitensi e per le persone in possesso della Green Card, che infatti da maggio possono venire in Italia per turismo; ma coinvolgono molti cittadini europei che hanno un visto di lavoro. È difficile quantificare con precisione quanti si trovino oggi in questa situazione: secondo alcune testimonianze pubblicate da Avvenire e dal Fatto Quotidiano sarebbero migliaia, che vivono regolarmente negli Stati Uniti, hanno lavoro, famiglia, bambini iscritti alle scuole americane, case e proprietà.
Il 2 marzo il governo americano ha annunciato una modifica al divieto, che non ha avuto molti effetti: i confini sono stati riaperti alle persone con motivi riconducibili a «un’eccezione di interesse nazionale», chiamata con l’acronimo NIE – National Interest Exemption. L’eccezione deve essere verificata da un funzionario del consolato e riguarda soprattutto i lavoratori di settori come i servizi finanziari, la produzione di metalli primari, macchinari, dighe ed impianti idroelettrici, il settore energetico e chimico, l’industria della difesa, strutture governative, l’assistenza sanitaria, il settore nucleare e quello dei trasporti.
Fucsia Fitzgerald Nissoli, deputata di Forza Italia eletta nella Circoscrizione Estero – Nord e Centro America, ha segnalato che il programma che regola i cosiddetti NIE va a rilento. «Troppo spesso le richieste di NIE, anche se fortemente motivate, vengono respinte», ha scritto in una lettera pubblicata da Formiche.net. «Nei casi migliori vengono approvate ma dopo settimane di stallo e rinvii. Una situazione che sta danneggiando le aziende nostrane che investono negli Stati Uniti portando diversità, ricchezza, fondi e lavoro».
I tempi lunghi per le richieste sono confermati anche dall’avviso che si può leggere sul sito dell’ambasciata americana in Italia: «L’Ambasciata e i Consolati degli Stati Uniti in Italia non sono ancora in grado di riprendere i servizi di visti immigranti e non immigranti di routine. I regolari servizi di visto riprenderanno il prima possibile ma non siamo in grado di fornire una data specifica in questo momento».
Secondo Fitzgerald Nissoli, la soluzione più semplice sarebbe l’inserimento nel programma NIE di tutte le categorie di visto, compresi quelli per imprenditori (E-2), ricercatori, atleti e artisti (O-1) e del personale altamente specializzato (H1-B), semplificandone l’accesso e automatizzando le pratiche. La deputata ha scritto una lettera alla speaker della Camera degli Stati Uniti, Nancy Pelosi, per raccontare le difficoltà che devono affrontare molti italiani e chiedere un intervento al governo.
Anche gli imprenditori che partecipano al GEI, Gruppo Esponenti Italiani, un’associazione newyorkese, hanno scritto un appello rivolto direttamente al presidente Joe Biden. Il GEI chiede un trattamento di reciprocità, cioè di applicare alle frontiere statunitensi gli stessi controlli di sicurezza previsti dal 16 maggio per i cittadini americani che arrivano in Italia. Al momento tutti gli appelli non hanno ricevuto risposta dal governo americano, che ha confermato le restrizioni.