Un vaccino per domarli

Diverse ricerche stanno cercando di sviluppare vaccini polivalenti per l'attuale coronavirus e soprattutto per quelli futuri

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Quando furono scoperti nei primi anni Sessanta, i coronavirus non ricevettero particolari attenzioni da parte dei produttori dei vaccini, perché sembrava che questo tipo di virus causasse per lo più lievi raffreddori. Oggi sappiamo che i coronavirus possono essere molto più pericolosi e l’ultimo anno e mezzo di pandemia ce lo ha dimostrato chiaramente, con oltre 180 milioni di casi rilevati e quasi 4 milioni di decessi registrati ufficialmente. Per questo motivo dallo scorso anno alcuni ricercatori hanno ripreso un’idea molto ambiziosa: creare un unico vaccino che funzioni contro i coronavirus che già conosciamo e contro quelli che arriveranno in futuro.

Un vaccino così versatile potrebbe essere la chiave per ridurre il rischio di nuove pandemie da coronavirus, con dosi disponibili in breve tempo e la prospettiva di condurre periodiche campagne di immunizzazione, per fare prevenzione. È un obiettivo difficile da raggiungere, ma le ricerche erano già in corso prima dell’attuale pandemia e alcuni centri di ricerca ritengono di essere a buon punto, anche grazie agli esiti positivi delle loro prime sperimentazioni.

SARS, MERS, COVID-19
Che i coronavirus potessero causare guai e non solo lievi raffreddori divenne evidente nel 2002, quando emerse il SARS-CoV (ora rinominato SARS-CoV-1 per distinguerlo dall’attuale coronavirus, SARS-CoV-2), il virus che causa la SARS, una malattia respiratoria molto pericolosa e con un alto tasso di letalità. Quando circolarono le prime segnalazioni di nuovi casi di SARS in Oriente, diversi ricercatori si diedero da fare per provare a sviluppare un vaccino, in una fase in cui non ne era mai stato realizzato uno contro i coronavirus e c’erano moltissime cose da capire sui loro meccanismi.

Il senso di urgenza venne meno quando la malattia fu contenuta, grazie al ricorso alla quarantena e all’isolamento dei contagiati. Rispetto alla COVID-19, la SARS era poco contagiosa e si trasmetteva tra una minore quantità di persone. L’epidemia fu fermata dopo meno di 800 decessi rilevati e la conclusione dell’emergenza portò a concentrare le attenzioni verso lo sviluppo di altri vaccini e farmaci.

Una decina di anni dopo, con l’epidemia di MERS causata da un altro coronavirus, si comprese che il passaggio di questi virus da altre specie animali alla nostra potesse essere più frequente di quanto inizialmente immaginato. Poteva quindi essere utile lo sviluppo di un vaccino in grado di contrastarne diversi tipi, in modo da non farsi trovare impreparati alla successiva epidemia.

Anche la MERS fu contenuta con relativa rapidità e le proposte iniziali per un vaccino di questo tipo si persero via via per strada, anche a causa dello scarso interesse da parte delle istituzioni sanitarie a finanziarne la ricerca. Nel 2016 una richiesta di finanziamento al governo degli Stati Uniti presentata da alcune ricercatrici fu respinta, nonostante avessero già svolto alcuni lavori sul tema.

Vaccino polivalente
Quella e altre ricerche furono riavviate dopo l’inizio della pandemia da SARS-CoV-2, portando a risultati importanti per lo sviluppo dei vaccini ora autorizzati. Altri ricercatori hanno mantenuto il loro obiettivo iniziale, cercando il modo di creare un vaccino contro i coronavirus in generale.

VBI Vaccines, un’azienda britannica, nel 2020 ha realizzato un prototipo di vaccino che imita l’involucro esterno del coronavirus, sul quale i ricercatori hanno collocato le proteine spike dei coronavirus che causano COVID-19, SARS e MERS. Queste proteine sono sfruttate dal virus per legarsi alle cellule del nostro organismo, in modo da sfruttarle per creare nuove copie di se stesso. Il nostro sistema immunitario ne rileva la presenza e produce anticorpi per bloccarle e per distruggere il coronavirus, in modo da essere preparato nel caso di un successivo incontro con il virus vero e proprio.

Il vaccino sperimentato in laboratorio su alcuni topi ha mostrato di offrire una buona protezione contro tutti e tre i tipi di coronavirus. I ricercatori hanno poi verificato se gli anticorpi prodotti fossero efficaci contro un altro tipo di coronavirus umano, anche se le proteine spike non erano state comprese nel vaccino. Dai test è emersa una capacità degli anticorpi di aggredire anche questo quarto coronavirus, come hanno spiegato in un loro studio preliminare.

Non è ancora completamente chiaro come mai il vaccino abbia portato a risultati di questo tipo. I ricercatori ipotizzano che nel momento in cui le cellule immunitarie si trovano davanti più proteine spike diverse tra loro non creano tanti diversi anticorpi, ma uno che possa andare bene contro tutte e tre. Questa sorta di anticorpi “jolly” manterrebbero poi alcune caratteristiche per essere efficaci anche nei confronti di coronavirus non ancora incontrati, con proteine spike diverse da quelle conosciute.

Un altro approccio, seguito da una collaborazione negli Stati Uniti che comprende l’Università di Saint Louis (Missouri), prevede di migliorare i sistemi di allarme che solitamente impiegano le cellule per indicare che qualcosa non sta funzionando come previsto, per esempio quando è in corso un’infezione. La loro idea è di sviluppare un vaccino che induca le cellule a segnalare la presenza di un qualsiasi coronavirus, in modo da fare intervenire il prima possibile il sistema immunitario. È un risultato molto difficile da raggiungere, ma un primo prototipo del vaccino è stato già realizzato e si sta lavorando ai test clinici iniziali per verificarne la sicurezza.

A inizio anno, un gruppo di ricerca del California Institute of Technology (Caltech) ha pubblicato i dati di un primo esperimento su un vaccino ad ampio spettro contro i coronavirus. Hanno costellato la parte centrale di una proteina (nanoparticella) con le proteine spike provenienti da otto diversi coronavirus. Poi hanno iniettato il vaccino in alcune cavie di laboratorio, notando la produzione di anticorpi in grado di legarsi a tutti e otto i coronavirus, in modo da impedire loro di legarsi alle cellule. Hanno inoltre riscontrato la capacità degli anticorpi di impedire il medesimo meccanismo con altri quattro coronavirus, le cui proteine spike non erano state inserite nel vaccino.

Non tutti i ricercatori sono però convinti dagli annunci ottimistici dei colleghi al lavoro sui vaccini polivalenti. Pur appartenendo alla stessa sottofamiglia, ogni coronavirus ha elementi specifici ed è difficile trovare quelli invece in comune. Alcuni confidano di superare il problema ricorrendo a modelli al computer e sistemi di intelligenza artificiale, per tracciare questi elementi e trovare similitudini. La ricerca si sta concentrando su proteine soggette più raramente a mutazioni, in modo da ridurre i rischi di avere vaccini meno efficaci contro alcune varianti.

L’interesse intorno a queste soluzioni è alto da parte delle aziende farmaceutiche e di biotecnologie. Un vaccino polivalente contro il coronavirus potrebbe aprire la strada a soluzioni simili contro altri tipi di virus.