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  • Mercoledì 30 giugno 2021

Cosa fare dei documenti della Stasi

Ne discute la Germania, che dopo averli resi accessibili al pubblico per decenni li sta trasferendo in una nuova sede

Una parte del catalogo cartaceo dei documenti della Stasi, fotografati nel 2017 a Berlino, in Germania (Sean Gallup/Getty Images)
Una parte del catalogo cartaceo dei documenti della Stasi, fotografati nel 2017 a Berlino, in Germania (Sean Gallup/Getty Images)
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Giovedì 17 giugno si è concluso uno dei principali passaggi formali per trasferire l’immenso fondo archivistico della Stasi, la polizia segreta della vecchia Germania Est comunista, in una nuova sede dell’Archivio federale (Bundesarchiv). L’agenzia governativa che negli ultimi trent’anni si era occupata della catalogazione dei documenti e di renderli pubblici ai cittadini che volevano consultarli è stata sciolta, e la notizia ha riportato nel dibattito nazionale le discussioni sulla gestione dell’eredità storica e archivistica della Stasi, a due anni dall’annuncio del trasferimento dei documenti che già allora era stato criticato da politici, storici ed ex dissidenti.

Il timore dei critici è che il trasferimento renda più difficile la consultazione dei documenti, interrompendo la tradizione di trasparenza dell’archivio e finendo così per oscurare la memoria del periodo comunista. Ma le autorità assicurano che l’accesso continuerà a essere garantito, e diversi storici sono favorevoli alla riorganizzazione di una struttura che finora aveva avuto un carattere temporaneo, in modo da facilitare la ricerca accademica.

Stasi sta per Ministerium für Staatssicherheit (“Ministero per la Sicurezza di Stato”). Era l’apparato statale incaricato sostanzialmente di fare spionaggio interno, ed era celebre per l’efficacia e la pervasività con cui assolveva la sua funzione. Nei quarant’anni in cui fu attiva, la Stasi raccolse informazioni su circa 6 milioni di tedeschi, un terzo della popolazione della Germania Est. Dopo la caduta del muro di Berlino fu smantellata, ma a gennaio del 1990 i “comitati di cittadini” dissidenti del regime organizzarono un assalto alla sede di Berlino impedendo ai funzionari di continuare con la distruzione dei documenti che avevano iniziato con i tritacarte o strappandoli a mano.

– Leggi anche: Gli archivi della Stasi

L’agenzia chiusa due settimane fa, chiamata comunemente Stasi-Unterlagen-Behörde (“Ufficio per i documenti della Stasi”), entrò in funzione il 3 ottobre 1990, giorno in cui la Germania venne riunificata e la Repubblica Democratica Tedesca (la Germania Est) a guida comunista cessò ufficialmente di esistere. Da subito l’agenzia mise a disposizione tutti i documenti dell’archivio – che messi in fila formerebbero una striscia lunga 111 chilometri – ai cittadini, cosa piuttosto insolita quando si parla di informazioni così sensibili e riguardanti un passato così recente (di solito i documenti d’archivio vengono resi pubblici dopo 30 o 50 anni).

Dal 1991 al 2021 l’agenzia ha gestito quasi sette milioni e mezzo di richieste di accesso all’archivio, di cui quasi la metà arrivate da persone desiderose di sapere che informazioni avesse la Stasi sulla propria vita privata. All’inizio doveva essere una soluzione temporanea, ed è anche per questo che i documenti verranno trasferiti, ma poi è stata presa a modello anche da altri paesi del Sud America e dell’ex Unione Sovietica, dove sono stati adottati approcci simili per fare i conti con le dittature del passato.

Scaffali nella sede dell’Ufficio dei documenti della Stasi di Magdeburgo. Nei sacchi sono conservati documenti della Stasi fatti a pezzi prima dell’arrivo dei “comitati dei cittadini”: nella sede di Magdeburgo ci sono 9.000 sacchi di questo tipo (AP Photo/Jens Meyer)

Lo scorso marzo il capo dell’Ufficio dei documenti della Stasi Roland Jahn ha presentato l’ultimo rapporto sulla sua attività: nel 2020 ci sono state 23.686 richieste di accesso, oltre 10.000 in meno rispetto al 2019. Secondo l’emittente tedesca DW i numeri così alti quell’anno erano dovuti soprattutto al trentesimo anniversario della caduta del muro, in occasione del quale c’erano state estese discussioni e rielaborazioni degli eventi storici del periodo comunista e delle sofferenze che aveva causato negli abitanti della Germania Est. Molte delle persone che negli ultimi anni hanno voluto consultare l’archivio erano anche persone in cerca di informazioni sui loro parenti, per ricostruire la vita che avevano nella Germania divisa e confrontarla con la loro.

La storica Katja Hoer su The Spectator ha raccontato per esempio il caso del pastore Gernot Friedrich, che consultando l’archivio scoprì diverse cose che lo inquietarono: la Stasi aveva una pianta molto dettagliata del suo appartamento e altre informazioni sulla sua vita privata. Il motivo di tutta questa attenzione, racconta Friedrich, è che in quegli anni viaggiava spesso in segreto verso l’Unione Sovietica, muovendosi tra i paesi del blocco comunista e spacciando copie clandestine della Bibbia: «I sovietici temevano le copie della Bibbia come se fossero bombe».

Nonostante la decisione di chiudere l’agenzia sia arrivata solo lo scorso novembre con una votazione parlamentare, la discussione intorno alla sua esistenza e alla gestione dei documenti di cui si occupa è in corso da anni in Germania e non si è ancora conclusa. Di recente se ne sono occupati i principali quotidiani e settimanali nazionali, e sono intervenuti anche partiti politici cercando di sfruttare la questione a loro vantaggio: Alternative für Deutschland (AfD), la formazione di estrema destra che peraltro è molto popolare negli stati dell’ex Germania Est, ha criticato pubblicamente il trasferimento dei documenti alludendo a un tentativo di proteggere gli ex politici del regime che oggi sono membri del partito di sinistra Die Linke.

Due anni fa erano arrivate critiche anche da altri rappresentanti politici, che avevano paventato una minore trasparenza della gestione dell’archivio, e dallo storico Hubertus Knabe, secondo cui chiudere l’agenzia manderebbe un messaggio sbagliato alle vittime della Stasi: «Sembra che la politica voglia metterci una pietra sopra». Un altro problema citato da molti è che la digitalizzazione dell’archivio va molto a rilento (è arrivata solamente al 2 per cento dei documenti).

Ma altri ritengono che il trasferimento dei documenti sia un bene. Lo stesso Jahn, parlando con lo Spiegel, ha assicurato che l’accesso ai documenti rimarrà garantito a tutti anche dopo il trasferimento, e che anzi la nuova sistemazione servirà proprio a migliorarne la gestione, a renderla più sistematica, così da facilitare il lavoro degli storici che stanno cominciando a cercare interpretazioni del quadro generale di quel periodo, non solo dei singoli eventi.

Anche Katja Hoer è favorevole al trasferimento: «Gli storici e le storiche come me sono contenti di vedere i faldoni spostarsi dalla loro sistemazione temporanea a una permanente e gestita in modo più professionale» scrive Hoer. «La dissoluzione dell’Ufficio dei documenti della Stasi è parta della dolorosa lotta tedesca per fare i conti con il proprio passato».

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