Che ne sarà della fabbrica dei gianduiotti

La cassa integrazione straordinaria chiesta per i lavoratori di Caffarel ha aperto la crisi di uno dei marchi storici dell'alimentare italiano

L'impacchettatura delle uova pasquali con carta colorata alla Caffarel, nel 1953 (Archivio storico LaPresse)
L'impacchettatura delle uova pasquali con carta colorata alla Caffarel, nel 1953 (Archivio storico LaPresse)
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All’inizio di giugno Caffarel, storica azienda piemontese che produce cioccolatini di alta qualità, appartenente al gruppo svizzero Lindt & Sprüngli, ha annunciato 90 esuberi su 328 dipendenti e un anno di cassa integrazione straordinaria per tutti i lavoratori, a rotazione. Non è una fabbrica di cioccolato come le altre, per molte ragioni: fondata quasi duecento anni fa, nel 1826, Caffarel fa parte della storia imprenditoriale del Piemonte ed è nota soprattutto perché nel suo primo laboratorio è nato il gianduiotto, un cioccolatino a forma di barca rovesciata conosciuto e apprezzato in Italia ed esportato in molti paesi del mondo.

La ricetta originale, che viene seguita anche oggi, prevede un impasto con una certa dose di cacao, burro di cacao, zucchero, e l’utilizzo della nocciola tonda gentile delle Langhe finemente macinata. Inserito tra i prodotti agroalimentari tradizionali piemontesi, il gianduiotto è stato anche il primo cioccolatino confezionato singolarmente, avvolto da un rivestimento dorato in alluminio.


Ma Caffarel è un’azienda importante anche per altri motivi: si trova a Luserna San Giovanni, un comune di settemila abitanti nella val Pellice, una delle tre valli valdesi, a un’ora di auto da Torino, e con i suoi 328 dipendenti è una delle più grandi della zona. La maggioranza delle persone che lavorano nei reparti è rappresentata da donne, di cui molte con più di 40 anni e con una notevole esperienza, essenziale per mantenere l’elevata qualità dei prodotti. Come è successo in molte altre province italiane, la crisi di un’azienda così importante coinvolge centinaia di famiglie e rischia di avere pesanti conseguenze per tutto il territorio della val Pellice.

Nel 1998 Caffarel è stata comprata dalla multinazionale Lindt & Sprüngli, che grazie all’azienda piemontese ha acquisito nuove competenze nell’utilizzo della nocciola per la preparazione di alcuni dei suoi cioccolatini. Negli ultimi dieci anni la situazione economica di Caffarel è sempre stata precaria: le perdite sono aumentate costantemente, sempre ripianate dal gruppo Lindt.

Nel 2020, gli effetti dell’epidemia hanno causato un significativo peggioramento dei conti: secondo il report annuale diffuso da Lindt, in Italia le vendite sono calate del 24,3 per cento per effetto delle misure restrittive. Questo calo generale delle vendite dell’intero gruppo ha interessato in modo particolare i prodotti Caffarel, che per scelta di mercato propone i suoi cioccolatini soprattutto ai bar, chiusi per molti mesi nel 2020. Inoltre il lockdown introdotto in primavera e le chiusure nel periodo del Natale hanno compromesso le campagne di vendita durante le festività, i periodi più redditizi dell’anno.

Secondo alcuni osservatori, la volontà dell’azienda di puntare sulla qualità non è stata accompagnata da un’adeguata strategia di marketing in un segmento di mercato – bar e gelaterie di fascia medio alta – che negli ultimi anni si è sempre più ridotto. La rete di vendita non è stata modificata, la grande distribuzione è stata poco sfruttata e lo stesso vale per l’ecommerce.

Secondo il Corriere della Sera, tra le cause della crisi di Caffarel ci sono anche le «commissioni di management» e le «commissioni per uso delle licenze»: milioni di euro che ogni anno l’azienda deve versare a Lindt & Sprüngli. Le commissioni consistono in una tariffa oraria applicata dai dirigenti di Lindt per il loro tempo trascorso a colloquio con quelli di Caffarel, mentre le commissioni sulle licenze devono essere pagate perché Lindt & Sprüngli ha acquisito la proprietà intellettuale dei prodotti di Caffarel. «Entrambe le pratiche sono diffuse fra le multinazionali, perché spostano legalmente risorse a favore della casa madre (in questo caso, in Svizzera) senza farle emergere come profitti tassabili nel Paese della controllata (in questo caso, in Italia)», scrive il Corriere.

Il 1° giugno nella sede dell’Unione Industriale di Torino si è tenuto il primo incontro tra i rappresentanti dell’azienda e i sindacati, che hanno chiesto all’azienda di escludere il ricorso alla cassa integrazione straordinaria e di provare a gestire la crisi con un contratto di solidarietà per avviare un piano di riqualificazione professionale. Nell’incontro che si è tenuto venerdì 25 giugno, al termine di una trattativa durata sette ore, è stato trovato un accordo che prevede un anno di cassa integrazione straordinaria per ristrutturazione aziendale: coinvolgerà tutti i dipendenti a rotazione. Il 2 luglio l’accordo sarà discusso e votato dai lavoratori.

Il francobollo dedicato al marchio Caffarel, emesso il 24 aprile 2015, uno dei tre annulli dedicati ai grandi marchi alimentari italiani: gli altri erano il caffè Lavazza e il Fernet Branca. (Ansa)

Secondo Lara Calvani, segretaria della FLAI Cgil di Torino, le conseguenze di un numero così alto di esuberi sarebbero pesanti per i lavoratori e anche per l’economia del territorio. «I criteri della procedura di mobilità sono definiti dalla legge e prevedono una scelta delle persone licenziabili che garantisce più tutele a chi ha maggiore anzianità di servizio e figli», spiega. «Rischiano i lavoratori più giovani. I problemi sociali sarebbero enormi in un territorio dove è difficile trovare un nuovo posto di lavoro. Vogliamo tutelare un marchio che rappresenta la storia torinese per evitare licenziamenti in futuro».

Nonostante le difficoltà economiche, negli ultimi anni sono stati fatti investimenti in nuovi macchinari, anche se non tutti i lavoratori hanno acquisito le competenze per utilizzarli. I sindacati hanno chiesto all’azienda di riqualificare tutto il personale per lavorare sui nuovi macchinari e in questo modo cercare di incentivare la trasformazione digitale: l’obiettivo è arrivare a una riorganizzazione escludendo i licenziamenti, con un aumento della produzione e un cambio di strategia di marketing.