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  • Giovedì 24 giugno 2021

Come gli inglesi hanno cambiato i campi da calcio

Storia dei manti erbosi immacolati: c'entrano i vantaggi sulla precisione e la spettacolarità del gioco, e la Premier League

Un addetto alla manutenzione del manto erboso allo stadio del Manchester United a Manchester, in Inghilterra (Michael Regan/Getty Images)
Un addetto alla manutenzione del manto erboso allo stadio del Manchester United a Manchester, in Inghilterra (Michael Regan/Getty Images)

Tra gli elementi inconfondibili delle partite di calcio c’è sicuramente un manto erboso, meglio se verdissimo e immacolato. Eppure non è sempre stato così. Fino a qualche decennio fa i campi da calcio potevano trasformarsi in un pantano scivolosissimo o in distese di terra polverosa a seconda delle stagioni: le cose sono cominciate a cambiare per motivi ben precisi dalla fine degli anni Ottanta e in particolare nel Regno Unito, il paese da cui ancora oggi proviene la maggior parte degli esperti che fanno in modo che i campi da calcio siano quelli che vediamo.

Gli interventi per tenere in ordine i campi da calcio vanno a completo beneficio della qualità dello spettacolo. Riducono infortuni, migliorano lo svolgimento delle partite, evitano che queste vengano cancellate in casi di maltempo. Queste attenzioni hanno inoltre cambiato il modo di giocare, agevolando soprattutto la scorrevolezza delle partite e contribuendo di conseguenza alla crescita della popolarità del calcio in televisione e di tutto quello che ci gira attorno.

Quando l’allenatore catalano Pep Guardiola arrivò al Manchester City nel 2016 chiese che l’erba fosse tagliata al livello esatto di 19 millimetri per velocizzare il suo gioco palla a terra, ma alla fine, su consiglio degli esperti, si dovette accontentare di un’altezza di 23 millimetri, perché col clima freddo e piovoso di Manchester l’erba ci avrebbe messo troppo tempo per riprendersi. Nella stagione successiva, l’allenatore tedesco del Liverpool Jurgen Klopp si lamentò che il campo di Anfield rallentava il gioco della squadra: anche grazie al lavoro sul terreno, l’anno dopo il Liverpool rimase imbattuto in casa.

I cosiddetti “groundskeeper” sono esperti dei campi da gioco che studiano come migliorare la qualità del terreno e curare la crescita e lo stato del manto erboso affinché le condizioni di gioco siano ideali. Oltre a occuparsi del taglio dell’erba e ad assicurarsi che non ci siano buche o avvallamenti, impiegano sistemi sofisticati di aerazione per aumentare i livelli di umidità e ossigeno nel terreno, o utilizzano particolari sostanze per favorire la crescita dell’erba.

(Justin Setterfield/Getty Images)

La storia dei campi da calcio cominciò a cambiare in particolare nei primi anni Novanta, con la nascita del nuovo campionato inglese, la Premier League, e la trasmissione sempre più frequente e capillare delle partite in televisione. Gli introiti sempre maggiori permisero alle società sportive di spendere più soldi per comprare giocatori migliori e pagarli di più, ma anche di fare più investimenti per prevenire i loro infortuni e fare in modo che potessero giocare al meglio delle loro capacità.

Uno degli aspetti su cui si concentrarono in particolare i club inglesi, racconta il Guardian, fu proprio quello di rendere i campi da gioco sempre più perfetti. Come ha spiegato Geoff Webb, responsabile dell’Associazione nazionale degli operatori che si occupano della gestione dei terreni, alcune emittenti televisive indicavano nei loro contratti che i campi di calcio dovevano essere in condizioni perfette: se il calcio voleva diventare un brand a livello internazionale, doveva essere anche bello da vedere.

Fino a pochi anni prima non era raro che nei campi di calcio si formassero lastre di ghiaccio per via delle temperature invernali più rigide, o che si sollevassero nuvole di terra e polvere per la siccità nei periodi estivi. In caso di abbondanti piogge, poi, il terreno poteva diventare poco sicuro e poco praticabile, tanto da costringere le società a cancellare le partite.

Per questa ragione dagli anni Ottanta iniziarono a diffondersi le alternative sintetiche, che però nel 1995 vennero vietate dalla FA — la federazione inglese — perché la superficie dura dei campi permetteva rimbalzi più alti, e in questo senso avvantaggiava le squadre che erano abituate a giocare su campi di erba sintetica.

(Getty Images)

I groundskeeper ottennero così ancora più visibilità e importanza all’interno delle loro società. Oggi esistono anche premi che riconoscono la loro professione e le loro capacità, come il “Groundsman of the Year”, assegnato dalla FA, e il “Top Turf Influencer award” (“turf” vuol dire manto erboso).

Secondo Richard Hayden, autore della guida ufficiale della FIFA sul mantenimento dei campi, in questo ambito il Regno Unito è avanti di dieci anni rispetto a ogni altro paese. «Se vuoi lavorare con la tecnologia vai alla Silicon Valley. Ecco, il Regno Unito è la Silicon Valley dei manti erbosi», ha detto Hayden al Guardian.

Il settore della gestione dei terreni nel Regno Unito vale più di 1 miliardo di sterline (1,17 miliardi di euro) all’anno e impiega 27mila persone, dagli specialisti di concimazione agli scienziati che studiano prodotti per rendere l’erba ancora più verde e bella da vedere. Il Regno Unito è il paese più avanzato anche per le tecnologie che ci girano attorno, comprese quelle per i tosaerba e i vari strumenti di manutenzione.

Le tecniche per la cura del manto erboso dei campi da calcio sono impiegate anche per la manutenzione dei campi da golf, rugby o tennis, e vengono insegnate in alcuni corsi specifici, per esempio al Myerscough college di Preston, vicino Manchester.

(Clive Rose/Getty Images)

Secondo molti esperti, uno dei protagonisti di quella che il Guardian definisce una «rivoluzione» fu Steve Braddock, che arrivò all’Arsenal nel 1987 da ventitreenne e ancora oggi sovrintende undici campi gestiti dalla società. Braddock era famoso per la sua meticolosità e l’attenzione a non lasciare segni dopo gli interventi. Fu il primo a proporre di aggiungere sabbia al terreno per far drenare l’acqua più velocemente; inoltre stabilì che il campo dovesse essere risanato a ogni fine stagione con metodi via via più innovativi per estirpare erbacce che altrimenti avrebbero impedito all’erba di crescere in maniera uniforme e di rimanere ben salda al terreno.

Grazie alla loro precisione e all’efficacia dei loro metodi, i groundskeeper del Regno Unito sono anche quelli più richiesti all’estero. Il nordirlandese Jonathan Calderwood, due volte “Groundsman of the year”, è considerato uno dei migliori. Nel 2013 passò dall’Aston Villa al Paris Saint-Germain, la ricca e famosissima squadra parigina. Nel 2014 Laurent Blanc, l’allora allenatore del PSG, disse che almeno 16 dei punti che aveva ottenuto la squadra in quella stagione potevano essere attribuiti direttamente al lavoro di Calderwood sul campo.

Per dare l’idea, la preparazione dei campi da calcio dove attualmente vengono disputate le partite degli Europei di calcio è iniziata più di due anni fa, il 25 aprile del 2019, quando un gruppo di esperti, agronomi e consulenti si era riunito a Londra per valutare lo stato dei vari campi da gioco e stabilire il calendario degli interventi di manutenzione. Ogni stadio di quelli in cui si stanno giocando le partite degli Europei ha un suo esperto di manto erboso nominato dalla UEFA che sovrintende gli addetti che si occupano di manutenzione durante il resto dell’anno: tutti i “pitch expert” (esperti del campo di gioco) selezionati per gestire i campi degli Europei di quest’anno sono inglesi, tranne due, che sono irlandesi.

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